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Appunti di
DIRITTO PRIVATO



PARTE PRIMA

CAPITOLO PRIMO: IL DIRITTO PRIVATO

1.1 Il diritto
Sistema di regole per la soluzione dei conflitti tra gli uomini. Proibire l’uso della violenza per la soluzione dei conflitti con l’applicazione di regole predeterminate. Queste regole compongono nel loro insieme un sistema. Mutano nel tempo e si diversificano nello spazio.
Fondamentale elemento di rottura nelle tradizioni del diritto è stata la transizione dalla società agricola a quella industriale.
Per ordinare una società occorre che ad una superiore autorità sia riconosciuta la prelimenare funzione di creare regole per la soluzione di conflitti e l’ulteriore funzione di applicare queste regole per risolvere i conflitti di volta in volta insorti.
Forme diverse di organizzazione giuridica come il sistema di common law nel quale le pronuncie dei giudici vincolano tutti i giudici che saranno chiamati a valutare un caso analogo.
Data la grande estensione del codice civile (quasi tremila articoli) il compito del giudice sta nello stabilire quale fra le diverse regole che coesistono entro il sistema è la regola secondo la quale risolvere il conflitto.
Il diritto si distingue per il carattere della coercività e i modi attraverso i quali si rende coercitivo e possono essere l’eliminazione delle conseguenze della trasgressione o l’assoggettamento ad esecuzione forzata.
Il diritto è posto da una superiore autorità ed obbliga tutti coloro che a quella autorità sono sottoposti, esso vige perché accettato se non da tutti almeno dalla maggior parte.

1.2 La norma giuridica
L’unità elementare del sistema del diritto è la norma giuridica, il sistema nel suo complesso prende il nome di ordinamento giuridico. Ciascuna norma consiste in una proposizione precettiva formulata in termini generali ed astratti e coloro a cui si rivolge sono i destinatari. A volte le norme contengono definizioni ed hanno la funzione di delimitare l’ambito di applicazione di altre norme (es. la definizione del contratto).
Sono precetti generali perché non si rivolgono a singole persone, sono precetti astratti perché non riguardano fatti concreti ma ipotetici.
Il provvedimento con il quale il giudice risolve un conflitto già insorto è la sentenza.
La precostituzione di regole corrisponde al principio di certezza del diritto secondo il quale i singoli devono sapere in anticipo quali sono i comportamenti giuridicamente leciti e quali no.
Le norme di diritto comune o di diritto generale hanno un alto grado di generalità ed astrattezza e si rivolgono dunque a chiunque o a qualunque fatto, sono invece di diritto speciale le norme con un limitato grado di astrattezza e generalità.

1.3 Il diritto e lo Stato
Lo Stato è la fondamentale organizzazione politica della convivenza umana, nella sovranità è il potere originario ossia non derivante da un potere superiore. Dello Stato si possono dare tre significati: Stato-comunità cioè una collettività di persone stanziate su un definito territorio e sottoposte ad un medesimo potere sovrano; Stato-ordinamento cioè sistema di norme giuridiche che regola quella collettività; Stato-apparato cioè con riferimento agli apparati che compongono l’organizzazione di uno Stato tramite i quali esso esercita la sovranità.
Un aspetto del rapporto tra Stato e diritto è il cosiddetto Stato di diritto cioè l’affermazione della supremazia del diritto sullo Stato a cui è esso stesso sottoposto. La statalizzazione del diritto regolatore delle società nazionali si realizza attraverso i codici, la costruzione dello stato di diritto si attua con le costituzioni.

1.4 Diritto privato e diritto pubblico
Diritto privato corrisponde a diritto che regola i rapporti fra privati e diritto pubblico equivale a diritto che regola i rapporti ai quali partecipa lo Stato o altro ente pubblico.
L’esatta qualificazione di diritto privato è quella di diritto comune cioè applicabile sia nei rapporti fra privati sia in quelli in cui partecipa lo Stato. Il diritto pubblico di distingue sulla base di due presupposti: riguarda solo i rapporti ai quali partecipa lo Stato e riguarda quei rapporti ai quali lo Stato partecipa quale ente dotato di sovranità.
È diritto pubblico quello che regola: l’organizzazione dello Stato e i poteri autoritativi. Si articola in sotto-sistemi: il diritto costituzionale, il diritto amministrativo, il diritto penale e il diritto processuale.
In Italia vige il cosiddetto stato a diritto amministrativo nel quale l’attività degli apparati dell’esecutivo dello Stato si svolge per atti autoritativi anche se in ogni caso la pubblica amministrazione non può fare uso di poteri autoritativi se non quando la legge la autorizzi a farlo.

1.5 Diritto oggettivo e diritti soggettivi
La parola diritto viene usata in senso soggettivo per indicare la pretesa di un soggetto a che altri assuma il comportamento prescritto da una norma.
In senso oggettivo il diritto impone di assumere dati comportamenti (obblighi) o imponendo loro di non assumere dati comportamenti (divieti).
I rapporti che le norme regolano sono chiamati rapporti giuridici e in essi si distingue un soggetto passivo (al quale la norma impone un dovere) e un soggetto attivo nell’interesse del quale quel dovere è imposto.
Non attribuiscono diritti soggettivi quelle norme di diritto pubblico che impongono obblighi e divieti a protezione di interessi solo generali. Tuttavia norme poste a tutela di interessi generali della società proteggono anche l’interesse particolare dei suoi membri.
Entro la categoria dei diritti soggettivi si distinguono: i diritti assoluti cioè quei diritti che sono riconosciuti ad un soggetto nei confronti di tutti e i diritti relativi che spettano ad un soggetto nei confronti di una o più persone determinate o determinabili.
La cosiddetta soggezione ricorre quando una norma espone un soggetto a subire passivamente le conseguenze di un atto altrui.
L’onere è il comportamento che il soggetto è libero di osservare o no ma che deve osservare se vuole realizzare un dato risultato. La potestà ricorre quando il diritto oggettivo attribuisce ad un soggetto una pretesa a protezione di un interesse altrui.

1.6 Fatti giuridici e atti giuridici
Il diritto oggettivo è norma che prevede fatti al verificarsi dei quali i doveri o i diritti si costituiscono, si modificano o si estinguono.
Per fatto giuridico si intende qualunque accadimento, naturale od umano al quale l’ordinamento giuridico ricollega un qualsiasi effetto giuridico costitutivo, modificativo o estintivo di rapporti giuridici.
I fatti giuridici producono effetti nei confronti del soggetto che li ha posti in essere sul solo presupposto che questi goda della capacità di intendere e di volere.
Una sottocategoria dei fatti giuridici sono gli atti giuridici cioè atti destinati a produrre effetti giuridici. Sono: dichiarazioni di volontà che non si ricollegano solo alla volontarietà del comportamento umano ma anche sulla volontà degli effetti, dichiarazioni di scienza cioè tramite i quali il soggetto dichiara di avere conoscenza di un fatto giuridico.
Ultimamente nel linguaggio giuridico si considerano come fatti giuridici i fatti naturali, come atti giuridici i fatti umani e si impiega il concetto di negozio giuridico per indicare gli atti giuridici.
CAPITOLO SECONDO: LE FONTI DEL DIRITTO PRIVATO

2.1 Il sistema delle fonti di diritto
Fonti di produzione sono i modi di formazione delle norme giuridiche, fonti di cognizione sono i tsti che contengono le norme giuridiche già formate.
In Italia le fonti del diritto sono di due ordini: le fonti del diritto nazionale basate sulla sovranità dello Stato italiano e le fonti del diritto sovranazionale basate sui poteri della Comunità europea.
Il sistema delle fonti ha questa gerarchia:
• Il trattato della Comunità europea e i regolamenti comunitari
• La Costituzione e le leggi costituzionali
• Le leggi ordinarie dello Stato
• Le leggi regionali
• I regolamenti
• Gli usi
La Costituzione è la legge fondamentale della Repubblica e deve la sua posizione sovraordianta alla sua natura di costituzione rigida che può essere modificata solo attraverso un preciso processo legislativo e non può essere quindi modificata dalle leggi ordinarie come accade per le costituzioni elastiche. Le leggi costituzionali sono le leggi per le quali la Costituzione formula una riserva di legge costituzionale.
Le leggi ordianrie sono quel procedimento di norme giuridiche che avviene per iniziativa del governo, del parlamento, dei consigli regionali o per iniziativa popolare. Allo stesso livello vi sono i decreti-legge che il governo può emanare in casi di straordianria necessità e i decreti legislativi che il governo emana su delega del parlamento.
Le leggi regionali sono una conseguenza dell’autonomia che lo Stato riconosce alle regioni in una serie di materie indicate nella Costituzione, materie nelle quali lo Stato può solo dettare le norme generali cui le regioni devono attenersi.
I regolamenti sono una fonte sottordinata alla legge. Si distingue fra regolamenti governativi di esecuzione, emanati per regolare nei particolari materie già regolate dalla legge, e regolamenti governativi indipendenti, destinati a regolare materie non regolate dalla legge.
La delegificazione consente l’emanazione di regolamenti con efficacia equivalente alla legge a due condizioni: che la materia da regolare non sia coperta da riserva assoluta di legge e che una legge autorizzi il governo a disciplinare tramite regolamento una data materia.
All’ultimo livello della scala gerarchica si collocano gli usi che sono una fonte non scritta e non statuale di produzione di norme giuridiche. Non è uso la cosiddetta prassi. Occorre per aversi un uso come fonte di diritto la convinzione che quel comportamento generalizzato sia ubbidienza ad una non scritta norma di diritto.
Il primato del diritto statuale sul diritto consuetudinario si manifesta in due principi: nelle materie non regolate da leggi o da regolamenti le consuetudini hanno piena efficacia, nelle materie regolate da leggi o da regolamenti la consuetudine ha efficacia solo in quanto sia da essi richiamata.

2.2 La codificazione e il principio di uguaglianza
I codici altro non sono se non leggi ordinarie. Si distinguono da esse per un fatto quantitativo ma soprattutto qualitativo, si presentano infatti come fonti di diritto generale. Le norme di diritto generale devono essere raccolte in unità di contesto. Alla base dell’idea di codice è il principio di uguaglianza. Le codificazioni vollero essere affermazione della statualità del diritto. Nel XX secolo la produzione di norme si è manifestata soprattutto con la proliferazione delle leggi speciali dato il rapido evolversi delle situazioni e una minore stabilità sociale.
L’antica tecnica di legiferazione si basava su due criteri: nei codici si dovevano ritrovare quelle norme destinate a regolare la generalità dei rapporti mentre nelle leggi speciali dovevano figurare quelle norme caratterizzate da particolari qualificazioni soggettive o oggettive; nei codici dovevano essere poste norme destinate a valere per un tempo illimitato e nelle leggi speciali norme suscettibili di essere sotituite in tempi più o meno brevi.

2.3 I modelli di codificazione: dalla separazione fra codice civile e codice di commercio al codice civile unificato
Il codice civile era fondamentalmente il codice della borghesia fondiaria mentre il codice di commercio era il codice della borghesia commerciale e industriale. Nel conflitto tra i due codici prevaleva quello di commercio. Nell’attuale codice civile le norme sulle obbligazioni e sui contratti si ispirano alla corrispondente disciplina del codice di commercio che del codice civile. Il codice civile unificato è composto di sei libri: il primo si occupa delle persone e della famiglia, il secondeo delle successioni a causa di morte, il terzo della proprietà, il quarto delle obbligazioni e dei contratti, il quinto le imprese e le società e il sesto disposizioni varie sulla tutela dei diritti.

2.5 L’uniformità internazionale del diritto privato
Dalla statualizzazione delle fonti è derivata la nazionalità del diritto privato e la sua differenziazione per società nazionali. A cominciare dalla fine dell’ottocento si punta alla formazione di un diritto privato uniforme tramite le convenzioni tra gli stati. Attualmente spetta alla Comunità europea formulare direttive cui gli stati membri sono tenuti ad adeguarsi con prorpia legge interna.

CAPITOLO TERZO: L’APPLICAZIONE DEL DIRITTO PRIVATO

3.1 Efficacia della legge nel tempo
Le leggi e i regolamenti entrano in vigore quindici giorni dopo la loro pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. La loro pubblicazione è diretta a rendele conoscibili da parte di chi deve osservarli ma è una conoscibilità astratta, ossia la possibilità che tutti ne vengano a conoscenza poiché vale il principio secondo il quale l’ignoranza della legge non scusa.
Le leggi cessano di avere efficacia per abrogazione espressa, cioè in forza di una successiva legge che ne fa espressa disposizione, per abrogazione tacita cioè per incompatibilità con una nuova legge.
La legge non dispone che per l’avvenire e non ha quindi effetto retroattivo se non in presenza di un ragionevole motivo che la giustifichi.

3.2 Il diritto internazionale privato
Si occupa di regolare i rapporti fra cittadini distati diversi e non comporta che sul territorio di uno stato si applichi sempre e solo il diritto di quello stato. La materia è regolata da una serie di norme dette norme di diritto internazionale privato. Ciascun stato formula le prorpie norme di diritto internazionale privato senza tenere in conto le norme formulate dagli altri stati. Spesso si stipulano convenzioni internazionali con le quali più stati si impegnano ad adottare norme omogeneee di diritto internazionale privato. Le norme italiano adottano fondalmente due criteri: uno è il criterio della legge nazionale secondo il quale si applica il diritto italiano a cittadini italiani e il diritto straniero a cittadini stranieri. In caso di rapporti misti a ciascuna delle parti si applicherà la propria legge nazionale. L’altro criterio è quello della legge del luogo per cui vale la legge del luogo nel quale le cose si trovano.
Lo straniero nelle materie in cui si applica la legge italiana è sempre sottoposto agli obblighi da questa previsti ma è ammesso a fruire dei diritti civili riconosciuti dall’ordinamentoitaliano solo a condizione di reciprocità.

3.3 L’interpretazione della legge
L’interpretazione, condotta secondo criteri fissati per legge, stabilisce che nell’applicare una norma non si può ad essa attribuire altro significato se non quello fatto palese o dal significato prorpio delle parole secondo la connessione tra esse (interpretazione letterale) o dalla intenzione del legislatore (interpretazione teleologica).
L’interpretazione secondo l’intenzione del legislatore può dare luogo alla cosiddetta interpretazione estensiva con la quale si attribuisce un significato più ampio di quello letterale e all’opposto vi è l’interpretazione restrittiva.
Ogni ordinamento giuridico deve essere in grado di dare una soluzione ad ogni possibile conflitto che si generi ma a colmare le eventuali lacune si provvede con l’applicazione analogica del diritto cioè riferendosi a disposizioni che regolano casi simili o analoghi. L’interpretazione analogica non è però ammessa per quanto riguarda le norme penali. Qualora non fossero presenti norme e nemmeno casi analoghi per dirimere un conflitto il giudiche deve decidere secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello stato.

3.4 La protezione giurisdizionale del diritto soggettivo
L’applicazione della legge da parte del giudice si presenta come protezione giurisdizionale dei diritti soggettivi. Il giudice interviene per proteggere i diritti vantati dai singoli solo se solleticitato dagli stessi. Chi si rivolge all’autorità giudiziaria è detto attore, la persona contro cui agisce è detto convenuto ed entrambi prendono il nome di parti. La controversia tra le due parti è detta causa e forma l’oggetto del processo che è l’insieme degli atti che si compiono nello svolgimento della funzione giurisdizionale. È detta azione la pretesa che l’attore vanta in giudizio e il convenuto può opporgli una o più eccezioni ma può anche contrattaccare avanzando una domanda riconvenzionale.
La giurisdizione civile è esercitatat a protezione di ogni diritto soggettivo, da essa si distingue la giurisdizione amministrativa che provvede alla tutela degli interessi legittimi del cittadino. La distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo è il diverso grado di protezione che la legge può riconoscere agli interessi umani, così i diritti soggettivi sono interessi dei singoli che la legge riconosce e protegge direttamente mentre gli interessi legittimi sono interessi che la legge protegge solo indirettamente in quanto coincidono con l’interesse pubblico.
Da tutto questo emergono due principi: il primo è che la pubblica autorità deve rispettare la legge, il secondo è quello secondo il quale tutti gli atti della pubblica amministrazione che siano in contrasto con la legge possono essere impugnati davanti alla giurisdizione amministrativa da qualunque cittadino abbia subito lesione di un proprio interesse legittimo.

CAPITOLO QUARTO: I SOGGETTI DI DIRITTO

4.1 Condizione giuridica della persona: la capacità giuridica, il nome, la sede, la morte presunta
Per il diritto l’uomo è una persona o un soggetto di diritto ed è inoltre centro di imputazione o punto di riferimento di diritti e doveri. Si definisce capacità giuridica l’attitudine dell’uomo ad essere titolare di diritti e di doveri e la si acquista al momento stesso della nascita e dura fino alla morte.il già concepito ma non ancora nato non ha capacità giuridica ma gli vengono riservati alcuni diritti come la successione al padre. La nascita è dichiarata da uno dei due genitori o da un loro procuratore speciale dando luogo alla formazione dell’atto di nascita. Questo atto e tutti gli altri atti dello stato civile fanno fede fino a prova contraria. Ogni persona è identificata con un nome e un cognome. Il cognome è quello del padre e se è figlio di ignoti il cognome viene scelto dall’ufficiale di stato civile. Se viene poi riconosciuto prende il nome del genitore che lo ha riconosciuto.
Il domicilio è il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari o interessi, la residenza è il luogo della dimora abituale della persona, la dimora è il luogo in cui la persona attualmente soggiorna ma non corrisponde al luogo in cui soggiorna abitualmente.
Se una persona scompare dal suo ultimo domicilio senza che se ne abbia più notizia può essere chiesta la nomina di un curatore dello scomparso. Trascorsi due anni viene dichiarata l’assenza della persona e immettere nel possesso temporaneo dei beni i suoi eredi. Essi possono fare prorpie le rendite che i beni producono ma non possono venderli o ipotecarli. Dopo dieci anni viene dichiarata la morte presunta e gli eredi ottengono la piena disponibilità dei beni e il coniuge può contrarre nuovo matrimonio. Se però esso ricompare i beni gli devono essere restituiti e il nuovo matrimonio perde di validità.

4.2 La capacità di agire: condizione dei minori, degli interdetti, degli inabilitati
La capacità di agire è l’attitudine del soggetto a compiere atti giuridici medianti i quali acquistare diritti o assumere doveri. Questa capacità presuppone una persona capace di provvedere ai propri interessi e si consegue al raggiungimento della maggiore età. Determinati atti giuridici sono riconosciuti al minore come la possibilità di contrarre matrimonio e di riconoscere un figlio. Egli è sottoposto alla potestà dei genitori o di un tutore. Essi compiono in suo nome gli atti giuridici mediante i quali il minore diventa titolare di dirtitti e di doveri. Per quanto riguarda gli atti di straordinaria amministrazione possono farlo solo per necessità o utilità evidente del minore. Il sedicenne che sia stato autorizzato a contrarre matrimonio è dalla data dello stesso emancipato, cioè acquista la piena capacità di agire limitatamente agli atti di ordinaria amministrazione
Il maggiore di età può trovarsi in condizioni di abituale infermità mentale che lo rendano incapace di provvedere ai propri interessi, in questi casi può essere privato della capacità di agire ed essere nominato per lui un tutore. Uno stato di interdizione è previsto anche per chi sia stato condannato all’ergastolo o debba scontare una reclusione per un tempo non inferiore ai cinque anni. Quando lo stato di infermità non è tanto grave da giustificare la totale privazione della capacità di agire può essere chiesta l’inabilitazione, gli viene affidato un curatore e la sua posizione corrisponde a quella del minore emancipato.

4.3 La persona fisica e la persona giuridica
Dell’uomo si dice che è una persona fisica, alle organizzazioni collettive si dà il nome di persone giuridiche. È persona giuridica ogni soggetto di diritto diverso dalla persona fisica. La persona giuridica è dotata di una propria capacità di agire.

4.4 I diritti delle personalità
Ci sono diritti soggettivi che si dicono solo trovati dal diritto oggettivo e sono i diritti dell’uomo, che si considerano esistenti indipendentemente da ogni diritto oggettivo che li riconosca. Si considerano come diritti spettanti all’uomo in quanto tale. Sono il diritto alla vita, all’integrità fisica, alla salute, al nome, all’onore, alla libertà personale, all’espressione del pensiero, alla riservatezza e altri. Sono diritti inviolabili da parte della pubblica autorità e da parte degli altri uomini.
Norme specifiche riguardano il diritto all’integrità fisica, al nome, alla propria immagine e al diritto morale d’autore e inventore. La loro violazione garantisce al danneggiato il diritto al risarcimento e se possibile alla reintegrazione in forma specifica.
I diritti della personalità sono diritti assoluti, cioè diritti protetti nei confronti di tutti, sono diritti indisponibili, cioè che il loro titolare non può alienare e sono inoltre imprescrittibili.
Al diritto sul proprio corpo si ricollega il principio secondo il quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per legge, se il paziente è un incapace il consenso è dato dal suo legale rappresentante.
Il diritto all’onore si desume dalle norme che puniscono l’ingiuria e la diffamazione. Chi lede l’ltrui onore non è tenuto a provare la verità o la notorietà del fatto che può essere solo chiesto dalla persona offesa.
Il diritto al nome è protetto sotto un duplice aspetto: come diritto all’uso del proprio nome e protezione contro l’azione di reclamo, come diritto all’uso esclusivo del prorpio nome contro l’azione di usurpazione. Una protezione analoga è data all’immagine della persona che ha così protezione del diritto alla riservatezza e del diritto di informazione del pubblico.

4.5 I nuovi diritti della personalità
È stato riconosciuto il diritto alla identità personale, definito come il diritto a che non sia travisata la propria immagine politica, etica o sociale. La giurisprudenza protegge inoltre un più generale diritto alla riservatezza, cioè il diritto che non siano divulgate informazioni attinenti la vita privata della persona anche se non lesive della sua dignità.


PARTE SECONDA

CAPITOLO QUINTO: I BENI E LA PROPRIETA’

5.1 I beni
Sono beni le risorse della natura e le cose che l’uomo stesso produce, le cose che soddisfano i suoi bisogni (beni di consumo) e i beni produttivi o mezzi di produzione. Le cose comuni di tutti sono cose che appartengono a tutti o non appartengono a nessuno. Le cose in quantità limitata sono quelle la cui utilizzazione da parte di alcuni implica l’esclusione del loro uso da parte degli altri. Su queste cose gli uomini hanno interesse a stabilire un rapporto di appartenenza e secondo il codice civile sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti. Sono beni le energie naturali se hanno un valore economico, cioè hanno attitudine a formare oggetto di scambio.
Ogni sistema giuridico asseconda la propensione dell’uomo a fare proprie le cose e a utilizzarle per il proprio vantaggio, regola i conflitti fra gli uomini per l’appropriazione delle cose determinando i modi di acquisto della proprietà, fonda la categoria dei beni pubblici come beni appartenenti alla società nel suo insieme.

5.2 I diritti sulle cose: la proprietà e gli altri diritti reali
I diritti sulle cose assumono il nome di diritti reali e sono sette: la proprietà, i diritti di superficie, l’enfiteusi, l’usufrutto, l’uso, l’abitazione e la servitù. Rispetto alla proprietà gli altri sei diritti reali si presentano come limitati o minori e come diritti su cosa altrui.
Secondo il codice il diritto di proprietà è: il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico.
La facoltà di godere delle cose indica la possibilità di usarla o meno, di trasformarla o di distruggerla. Sono frutti naturali quelli che provengono direttamente dalla cosa e frutti civili il denaro che il prorpietario ricava dalla cessione ad altri.
La facoltà di disporre delle cose è la disposizione giuridica delle cose intesa come facoltà di vendere o non vendere la cosa, di ipotecarla o darla in pegno (garanzie reali).
La pienezza del diritto di proprietà può escludetre chiunque altro dal godimento della loro disposizione.
I limiti alla facoltà di godere e di disporre indica che il proprietario non può giovarsi della cosa per compiere atti che non abbiano altro scopo che nuocere o racare molestia ad altri.
Gli obblighi del proprietario includono l’obbligo di consentire l’accesso al prorpio suolo al vicino che abbia necessità di entrarvi per eseguire opere sul proprio fondo, o l’obbligo di coltivare terreni agricoli pena l’espropriazione, l’obbligo di contribuire con il comune agli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria.



5.3 Le cose oggetto di diritti: la classificazione dei beni
Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti ma anche le cose che pur non appartenendo a nessuno possono formare oggetto di proprietà. Si distingue quindi tra beni in patrimonio (che sono di proprietà di qualcuno) e beni di nessuno ( che non hanno un proprietario pur potendo averlo).
Sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua e inoltre tutto ciò che è incorporato al suolo naturalmente o artificialmente. Al suolo oggetto di proprietà si dà il nome di fondo che può essere rustico o urbano. Sono beni mobili tutti gli altri beni comprese le energie naturali. I beni mobili circolano in modi assai più rapidi rispetto ai beni immobili. In una condizione intermedia si trovano i beni mobili registrati cioè iscritti in pubblici registri. Più cose mobili formano una universalità di cose se sppartengono ad un medesimo proprietario ed hanno una destinazione unitaria.
Sono pertinenze le cose destiante durevolmente al servizio o ad ornamento di un’altra cosa. Gli atti o i rapporti che hanno per oggetto la cosa principale comprendono, se non escluse, anche le pertinenze. Il rapporto pertinenziale può essere costituito solo dal proprietario.
Le cose composte sono cose che vengono unite fra loro in modo da formare un‘unica cosa e non possono essere separate senza che la cosa composta perda la propria identità.
Le cose fungibili appartengono a un genere all’interno del quale ogni bene e indifferentemente sostituibile con altri (denaro). Le cose infungibili sono quelle che esistono in un unico esemplare o che presentano caratteri distintivi.
Le cose consumabili si estinguono per l’uso, le cose inconsumabili consentono un uso ripetuto nel tempo anche se si possono deteriorare.

5.4 Proprietà pubblica e proprietà privata
I beni possono appartenere a privati, persone fisiche o enti privati, oppure allo Stato o altri enti pubblici. I beni che devono appartenere allo Stato sono: i beni demaniali dello Stato, delle regioni, delle provincie e dei comuni che si distinguono in demanio naturale e artificiale; i beni patrimoniali indisponibili dello Stato come le foreste, le miniere e le cose mobili di valore storico.
I beni demaniali sono inalienabili salvo che non siano stati classificati in beni del patrimonio pubblico. Hanno la qualificazione di cose fuori commercio e i privati non ne possono acquistare la proprietà neppure mediante il possesso. I beni del patrimonio disponibile dello Stato appartengono ad un ente pubblico che li detiene comportandosi come un qualunque privato.
Lo Stato può conseguire la proprietà dei beni tramite l’espropriazione per pubblica utilità che deve però essere retta da due principi fondamentali: la legalità cioè solo nei casi previsti dalla legge e solo nel rispetto delle procedure determinate dalla legge e corrispondendo un indennizzo al proprietario.
La nazionalizzazione consiste nell’espropriare imprese private già operanti salvo indennizzo, la requisizione sottrae temporaneamente il godimento della cosa che resta comunque di proprietà del privato.

5.5 La proprietà fondiaria
Il fondo è delimitato nello spazio sia in senso orizzontale che in senso verticale. La proprietà si estende sia nel sottosuolo che nello spazio sovrastante ma il proprietario non può opporsi ad attività che si svolgano a tale profondità nel suolo o tale altezza nello spazio che egli non abbia interesse ad escluderle cioè la proprietà si estende fin dove il proprietario riesce a dimostrare di avere un interesse ad esercitare il suo interesse.
I confini del fondo in senso orizzontale segnano il limite entro il quale ciascun proprietario può esercitare la sua facoltà di godimento. Così vi è la norma in materia di stillicidio secondo la quale il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque piovane scolino sul suo terreno o di compiere opere che possano recare danno al vicino.
Le distanze minire nel costruire edifici se su fondi confinanti devono essere tenute a distanza di almeno tre metri. Chi costruisce per primo può farlo ad una distnaza inferiore al metro e mezzo dal confine e costringere l’altro ad arrestrare la propria. Se il secondo viola la distanza il primo può chiedere la riduzione in pristino ossia la demolizione della parte che eccede le distanze minime. Se vengono prescritte distanze minime dal confine e non tra gli edifici allora anche il primo può essere soggetto alla riduzione in pristino. I pozzi devono essere costruiti a due metri dal confine, i fossi ad una distanza uguale alla loro profindità e gli alberi di alto fusto ad almeno tre metri.
Le luci (che devono essere munite di grate e inferriate) sono aperture nel muro che non consentono di affarciarsi sul fondo del vicino, le vedute sono quelle che consentono di affacciarsi. Le vedute devono essere costruite ad un metro e mezzo dal confine, chi abbia il diritto di costruire in aderenza può accecare le luci ma non le vedute.
La regolazione per l’immissione da un fondo all’altro di fumo, calore e rumore si basa sul criterio della normale tollerabilità.
Tutte le acque sono bene pubblico ma il loro utilizzo da parte dei privati è permesso dietro concessione amministartiva mentre le acque sotterranee sono di libero utilizzo. Il proprietario ha il diritto di utilizzare le acque e disporne a favore di altri ma non può sviarle a danno di altri fondi. Il proprietario non può rifiutarsi di ricevere le acque che defluiscono dai fondi a monte.

5.6 Le azioni a difesa della proprietà
A difesa del diritto di proprietà sono previste specifiche azioni dette petitorie: l’azione di rivendicazione spetta a chi si dichiara proprietario di una cosa della quale altri abbia il possesso o la detenzione e mira alla restituzione della cosa e deve dare la prova del proprio diritto di proprietà. Oppure può esercitare un’azione possessoria dimostrando di essere stato spogliato della cosa dal convenuto; l’azione negatoria spetta al proprietario contro chi pretende di avere diritti reali minori sulla cosa e mira all’accertamento dell’inesistenza del diritto altrui e l’ordine di cessare le turbative. Qui incombe sul convenuto l’onere di provare l’esistenza del suo diritto reale; l’azione di regolamento dei confini spetta a entrambi i proprietari per la determinazione dei confini.
Il diritto di proprietà non si prescrive per il solo fatto di non esercitarlo; si prescrive solo se al non uso del proprietario corrisponde il possesso prolungato nel tempo da parte di altri (usucapione).

CAPITOLO SESTO: IL POSSESSO

6.1 Il concetto di possesso
La proprietà è una situazione di diritto, il possesso è una situazione di fatto. La differenza sta nell’essere proprietari di una cosa e comportarsi come tali (un esempio può essere il furto o la vendita nulla). Il possesso corrispondente alla proprietà è il possesso pieno, quello corrispondente ad altri diritti minori è il possesso minore. Dal possesso si distingue la semplice detenzione che consiste nell’avere la cosa nella propria materiale disponibilità. Occorre per essere possessori l’intenzione di possedere ossia di comportarsi come proprietario della cosa. Non è possessore chi detenga la cosa per un titolo che implichi il riconoscimento dell’altruità della cosa. Si può possedere in due modi: o direttamente cioè detenendo la cosa con l’animo di considerarla propria o indirettamente per mezzo di altri che ne abbia la detenzione.
Il semplice detentore può trasformarsi in possessore (interversione del possesso) quando: il titolo per la quale si ha la materiale disponibilità della cosa venga mutato per causa proveniente da un terzo, il detentore faccia opposizione contro il possessore ossia si vanti apertamente proprietario della cosa. Il possesso è escluso anche in colui che compia atti di godimento della cosa con la tolleranza altrui.
Il possesso della cosa si può acquistare in modo originario come chi muta la detenzione in possesso oppure in modo derivativo per trasmissione del possesso dal precedente ad un nuovo possessore, il che può avvenire con la consegna materiale della cosa (vale solo per le cose mobili) o con la consegna simbolica come vale per gli immobili. Quando il proprietario vende la cosa a persona che gliela dà in locazione si parla di costituto possessorio.
La protezione giuridica del possessore prescinde dalla buona o mala fede del possessore ma il possessore in buona fede fruisce di una protezione giuridica maggiore. È in buona fede chi possiede la cosa ignorando di ledere l’altrui diritto, ciò non esclude dall’errore ma esclude comunque dalla colpa grave. È in mala fede chi ignorando l’altruità della cosa avrebbe potuto venirne a conoscenza usando un minimo di diligenza. Il possesso si presume in buona salvo prova contraria. Perché il possesso sia in buona fede occorre che fpsse in buona fede originariamente anche se in seguito fosse venuto a conoscenza dell’altruità della cosa.
Chi prova di essere possessore attuale e al tempo stesso prova di esserlo stato in tempo remoto si presume sia stato possessore anche nel tempo intermedio.
Vale il principio secondo il quale il possesso dell’erede continua quello del defunto conservandone l’originaria qualificazione.

6.2 Diritti del possessore nella restituzione al proprietario
Il possessore può non essere proprietario e nei suoi confronti il proprietario può compiere un’azione di rivendicazione. Se nel frattempo la cosa ha prodotti frutti e il possessore li ha percepiti diventano del possessore se questi era in buona fede, al contrario il possessore di mala fede li deve restituire. Comunque al possessore di mala fede è dovuto il rimborso delle spese incontrate per la produzione e il raccolto, per le riparazioni straordinarie; il possessore di buona fede ha diritto a una indennità se la cosa ha conseguito un miglioramento e può rifiutarsi di restituire la cosa al proprietario se questi non gli ha corrisposto l’indennità dovutagli.

6.3 Le azioni possessorie
Al possesso è riconosciuta protezione giurisdizionale e le azioni a difesa del possesso sono chiamate azioni possessorie e sono: l’azione di reintegrazione o di spoglio che spetta al possessore che sia stato violentemente o clandestinamente spossessato di una cosa mobile o immobile. Può essere esercitata entro un anno dallo spoglio o se è stato clandestino dalla sua scoperta. Trascorso l’anno il possesso si consolida nelle mani dell’autore dello spoglio; l’azione di manutenzioneche riguarda solo i beni immobili e le universalità di mobili e spetta al possessore che sia stato molestato nel godimento della cosa o al possessore che abbia subito uno spoglio clandestino e può essere esercitata entro un anno dallo spoglio.
L’azione di reintegrazione è data a qualsiasi possessore anche se si tratta di possesso illegittimo e abusivo. L’azione di manutenzione è data sol ose il possesso durava, continuo e ininterrotto, da oltre un anno e non era stato conseguito in modo violento e clandestino o se ottenuto in questo modo è trascorso almeno un anno da quando la violenza o la clandestinità sono cessate.
Le azioni possessorie spettano al possessore ma anche al proprietario. Un criterio per comporre i conflitti sul possesso dei beni è il criterio per il quale il possesso antecedente prevale sul possesso successivo.
Solo allo Stato è consentito farsi giustizia da sé, il privato possessore di beni demaniali ha azioni possessorie verso altri privati ma non nei confronti dello Stato. L’azione di reintegrazione spetta anche al detentore.

6.4 Le azioni di nunciazione
Hanno la funzione di prevenire un danno che minaccia lo cosa e sono: la denuncia di nuova opera che è la denuncia all’autorità giudiziaria di un opera da altri intrapresa dalla quale si ha motivo di temere possa derivare un danno alla propria cosa; la denuncia di danno temuto è la denuncia all’autorità giudiziaria di un danno grave e imminente che si teme possa derivare dalla cosa propria o da cosa altrui.
L’autorità giudiziaria in una prima fase può vietare la continuazione dell’opera e in una seconda fase prende una decisione definitiva sull’effettiva esistenza di un pericolo di danno. Le azioni di nunciazione sono ammesse anche nei confronti della pubblica amministrazione.



CAPITOLO SETTIMO: I MODI DI ACQUISTO DELLA PROPRIETA’

7.1 Acquisto a titolo originario e a titolo derivativo
La proprietà si può acquistare nei nove modi previsti dalla legge divisi in due categorie. I modi di acquisto a titolo originario sono: occupazione, invenzione, accessione, specificazione, unione, commistione, usucapione; a titolo derivativo sono: contratti e successioni a causa di morte.
Si acquista a titolo quando si acquista sulla un diritto di proprietà spettante ad un precedente proprietario. A chi trasferisce il diritto si dà il nome di dante causa, a chi lo acquisisce il nome di avente causa. Se la proprietà era gravata da diritti reali o garanzie reali di terzi questi si trasferiscono al nuovo proprietario.
Si acquista a titolo originario quando il diritto di proprietà che si acquista sulla cosa è indipendente dal diritto di un precedente proprietario.

7.2 L’occupazione e l’invenzione
L’occupazione è il modo con il quale si acquista la proprietà delle cose mobili che non appartengono a nessuno. Possono essere cose di nessuno solo le cose mobili, mentre i beni immobili senza proprietario sono di proprietà dello Stato.
Le cose di nessuno sono anzitutto le cose abbandonate dal proprietario che si è liberato della cosa con l’intenzione di rinunciare alla proprietà, inoltre sono cose di nessunogli animali che formano oggetto di caccia e di pesca. Una terza categoria che si può far rientrare nelle modalità di acquisto della proprietà per occupazione è l’occupazione delle cose mobili altrui con il consenso del proprietario.
Le cose smarrite sono quelle cui il proprietario ha perso il possesso senza rinunciare alla proprietà. Chiunque le trovi deve consegnarle al sindaco ricevendo un premio pari a un decimo del valore della cosa. Trascorso un anno dalla pubblicazione senza che sia stato ritrovato il prprietario il ritrovare diventa il nuovo proprietario della cosa.
Le cose di pregio nascoste o sotterrate di cui nessuno può provare di essere il proprietario diventano di proprietà del ritrovare e se trovate su fondo altrui metà del loro valore spetta al proprietario del fondo. Sono escluse le cose di interesse storico o archeologico che appartengono allo Stato.

7.3 L’accessione, l’unione, la commistione, la specificazione
La proprietà di una cosa qualificabile come principale fa acquistare la proprietà delle cose definibili come accessorie. È il modo di acquisto della proprietà per accessione e si hanno tre forme: accessione di cosa mobile a cosa immobile cioè ogni bene che venga materialmente unito ad un bene immobile accede a questo. Nel caso di costruzione su suolo altrui all’insaputa del proprietario se il costruttore era in buona fede il proprietario del suolo ha diritto a tenersi la costruzione pagando il costo dell’opera mentre può obbligare alla demolizione dell’opera chi ha costruito in mala fede; accessione di cosa immobile a cosa immobile è il caso dell’alluvione nel cui caso il proprietario del fondo a valle acquista per accessione la proprietà della maggiore estensione che il suo fondo ha ricevuto. Nel caso dell’avulsione cioè quando una parte considerevole di un fondo viene trasportata più a valle unendosi ad un altro fondo chi ha ricevuto l’incremento ne diventa il nuovo proprietario ma deve al primo un’indennità. Accessione di cosa mobile a cosa mobile è il caso in cui due cose mobili di diversi proprietari sono unite (unione) o mescolate (commistione) in modo da formare un tutt’uno inseparabile il proprietario della cosa principale diventa proprietario del tutto pagando all’altro il valore della sua cosa. Se nessuna delle due cose si considera principale si avrà la comproprietà della cosa.
La specificazione è il modo di acquistodella proprietà della materia altrui da parte di chi la adopera per formare nuova cosa.



7.4 Il possesso di buona fede dei beni mobili
La proprietà si può acquistare a titolo originario mediante il possesso, il possesso dei beni mobili può determinare l’acquisto istantaneo della proprietà nel momento stesso in cui lo si consegue. Questo principio ha il compito di rendere rapida e sicura la circolazione dei beni mobili.
Il principio secondo il quale il possesso vale titolo si manifesta in due ipotesi: acquisto di cosa mobile da non proprietario cioè colui al quale è alienata una cosa mobile da chi non ne è proprietario ne acquista la proprietà mediante il possesso purchè sia in buona fede; alienazione della cosa mobile a più persone cioè se qualcuno aliena la stessa cosa a più persone ne acquista la proprietà chi per primo ne ha conseguito il possesso in buona fede.
Perché operi l’acquisto della proprietà mediante il possesso si deve trattre di cose suscettibili di proprietà privata, il possesso delle cose fuori commercio non produce alcun effetto giuridico.
Non si può acquistare mediante il possesso la proprietà di universalità di beni mobili né di quella di mobili iscritta nei pubblici registri.

7.5 L’usucapione
Può accadere che per anni un bene abbia un possessore non proprietario e un proprietario non possessore. Al protrarsi di questa situazione il proprietario non possessore perde il diritto di proprietà e il possessore diventa il nuovo proprietario. È irrilevante che il possesso sia in buona o mala fede. Occorre però che il possesso sia avvenuto alla luce del sole e se è stato conseguito in modo violento o clandestino il tempo utile per l’usucapione comincia solo da quando sia cessata la violenza o la clandestinità. Occorrono di regola venti anni per i beni immobili e per le universalità di mobili e dieci anni per i beni mobili registrati. Quando un immobile sia stato acquistato in buona fede da chi non ne era proprietario bastano dieci anni dalla data di trascrizione mentre ne bastano tre per i beni mobili registrati. Per quanto riguarda le cose mobili occorrono dieci anni se il possesso è in buona fede e ne occorrono vento se il possesso è in mala fede.

CAPITOLO OTTAVO: I DIRITTI REALI SU COSA ALTRUI

8.1 Concetto di diritto reale su cosa altrui
Con il diritto di proprietà possono coesistere altri diritti quali il diritto di superficie, l’usufrutto, l’uso e l’abitazione, l’enfiteusi, le servitù. Hanno il carattere di diritti reali e assumono il nome di diritti reali su cosa altrui. Essi hanno per oggetto la cosa e permangono nonostante il mutamento del proprietario e sono diritti sulla cosa opponibili a tutti i suoi successivi proprietari. I diritti reali su cosa altrui formano un numero chiuso e i privati non possono crearne di altri. Ogni diritto altrui che riduca le facoltà del proprietario è un’eccezione alla regola e questo favore per la piena proprietà è la ragione per cui alcuni diritti reali hanno una durata temporanea. I diritti reali su cosa altrui si estinguono per non uso e hanno una prescrizione di venti anni.
L’azione in giudizio a difesa dei diritti reali su cosa altrui si chiama azione confessoria con la quale si mira ad ottenere il riconoscimento del proprio diritto.
Si parla di consolidazione quando il diritto reale su cosa altrui si estingue e il diritto del proprietario assume il carattere di piena proprietà. Si parla invece di confusione quando il proprietario diventa egli stesso titolare di diritti reali sulla sua cosa.

8.2 Il diritto di superficie
è il diritto di edificare e di mantenere sul suolo altrui una propria costruzione per contratto intervenuto fra il proprietario del suolo e il superficiario. Il diritto di superficie può essere costituito in perpetuo o a tempo determinato e in quest’ultimo caso scaduto il termine il proprietario acquista la proprietà della costruzione per accessione.
Il diritto di costruire si prescrive per non uso ventennale ma una volta che il superficiario abbia costruito non si può parlare di prescrizione. Se la costruzione perisce comincerà a decorrere il periodo ventennale di prescrizione.
8.3 L’usufrutto, l’uso, l’abitazione
Il diritto dell’usufruttuario su cosa altrui comprende: la facoltà di godere della cosa nel rispetto della destinazione economica, la facoltà di fare propri i frutti naturali o civili.
Il proprietario ha la facoltà di disporre della cosa, può ad esempio venderla ma chi acquista compera una cosa gravata dall’usufrutto.
Al nudo proprietario competono le spese per le straordianrie riparazioni, all’usufruttuario quelle ordianrie, il primo paga le imposte sulla proprietà il secondo quelle sul reddito.
L’usufrutto non può durare oltre la vita di una persona fisica o oltre i trenta anni se si tratta di persona giuridica e comunque non può passare agli eredi. L’usufrutto può essere volontario cioè in seguito a contratto o testamento, oppure legale se costituito dalla legge, l’usufrutto si può inoltre acquistare per usucapione.
Al termine dell’usufrutto l’usufruttuario deve restituire la cosa al proprietario. L’usufrutto può avere ad oggetto cose consumabili o fungibili e in questo caso si parla di quasi-usufrutto.
Il diritto reale di uso differisce per la limitata facoltà di godimento, l’usuario può fare propri i frutti della cosa limitatamente ai bisogni suoi e della famiglia mentre al proprietario spettano i frutti che eccedono tale misura.
Il diritto reale di abitazione ha per oggetto una casa e consiste nel diritto di abitarla limitatamente ai propri bisogni e di quelli della famiglia.

8.4 L’enfiteusi
Viene tradizionalmente considerata come una forma di proprietà. È un diritto perpetuo o se è previsto un termine di durata non inferiore ai venti anni e può essere ceduto o trasmesso agli eredi. Sul fonod l’enfiteuta ha la stessa facoltà di godimento che spetta al proprietario ma con due limitazioni: quella di migliorare il fondo e di corrispondere al proprietario un canone periodico.
Tramite l’affrancazione l’enfiteuta può acquistare la proprietà del fondo pagando al concedente, che non può rifiutarsi, una somma pari alla capitalizzazione del canone annuo che si ootiene moltiplicando il canone annuo per quindici. Il concedente può chiedere la devoluzione del fondo se l’enfiteuta non ha migliorato il fondo o non ha pagato due annualità di canone.

8.5 Le servitù prediali
Si definiscono come un peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a un diverso proprietario. È una limitazione della facoltà di godimento di un immobile, detto fondo servente, alla quale corrisponde un diritto del proprietario di un altro immobile, detto fondo dominante. Deve sempre essere utilità di un fondo e non una utilità personale del proprietario. Le servitù vengono classificate: servitù positive e negative dove le prime sono quelle che permettono al proprietario del fondo dominante forme di diretta utilizzazione del fondo servente mentre le seconde consistono in un obbligo di non fare del proprietario del fondo servente. Servitù continue e discontinue dove per l’esercizioe delle prime non è necessario il fatto dell’uomo mentre per le seconde è necessario il comportamento attivo del titolare della servitù. Servitù apparenti e non apparenti a seconda che sul fondo servente esistano o meno opere visibili e permanenti.
La servitù può essere costituita volontariamente o coattivamente. La legge prevede una serie di casi per le servitù coattive: acquedotto coattivo è la servitù di far passare acque attraverso il fondo altrui per soddisfare il bisogno d’acqua del proprio fondo; passaggio coattivo è la servitù di passaggio sul fondo altrui che spetta al proprietario del fondo intercluso ossia che non ha accesso alla strada pubblica; elettrodotto coattivo è las ervitù che spetta all’ente che gestisce l’erogazione al pubblico di energia elettrica.
Le servitù sono costituite con sentenza del giudice che prevede anche un indennità per il proprietario del fondo servente. Le servitù si possono acquistare per usucapione ma non si possono usucapire le servitù non apparenti come la servitù di passaggio.
La destinazione del padre di famiglia è il rapporto di servizio stabilito fra due fondi appartenenti allo stesso proprietario e se i due fondi cessano di appartenere alla stessa persona il preesistente rapporto di servizio si trasforma in una servitù di un fondo a favore dell’altro.
Le servitù si estinguono per prescrizione ventennale. La prescrizione delle servitù positive comincia a decorrere dal momento in cui cessa l’attività di godimento del fonod altrui, quella delle servitù negative solo dal momento in cui si verifica un fatto che impedisce l’esercizio della servitù.
Le servitù non consistono ami in un fare ma in un sopportare o non fare, escluse le cosiddette prestazioni accessorie alla servitù che consistono in un fare o in un dare.

8.6 Gli oneri reali
Le prestazioni accessorie alla servitù vengono fatte rientrare nella categoria degli oneri reali. Sono i pesi che gravano su un immobile e che consistono in una prestazione di fare o di dare imposta a chi sia proprietario o titolare di diritto reale sull’immobile.

CAPITOLO NONO: LA COMUNIONE

9.1 La comunione in generale
se il diritto di proprietà o altri diritti reali appartengono ad una sola persona si parla di proprietà individuale, se appartiene a più persone si parla di comunione di proprietà. Ciò da luogo a tre ipotesi: comunione volontaria dipendente cioè dalla volontà dei partecipanti la comunione, comunione incidentale non dipendente dalla volontà dei partecipanti e comunione forzosa alla quale non ci si può sottrarre.
La coesistenza dell’uguale diritto di più persone si realizza mediante la ideale scomposizione della proprietà in quote. Le quote di partecipazione si presumono uguali ma possono essere disuguali. La facoltà di godimento può essere individuale o collettiva e si distinguono quattro situazioni: l’uso dlla cosa comune in cui spetta a ciascun partecipante il quale però non deve alterare la destinazione economica della cosa, l’amministrazione della cosa comune spetta collaborativamente ai partecipanti che deliberano a maggioranza di quote (per le innovazioni e gli atti di straordinaria amministrazione si delibera a maggioranza dei partecipanti che rappresentino almeno i due terzi del valore della cosa), gli atti di disposizione della propria quota in cui ciascun partecipante può alienarla senza dover richiedere l’altrui consenso, gli atti di disposizione dell’intera cosa richiedono il consenso unanime dei partecipanti.
Ciascuno dei partecipanti può domandare al giudice di pronunciare la divisione della cosa comune mentre il patto fra i partecipanti di restare in comunione non può eccedere i dieci anni. Se il carattere della cosa rende scomoda la divisione in natura si procede alla sua assegnazione in proprietà solitaria a uno dei partecipanti oppure si procederà alla vendita e il ricavato sarà diviso tra i partecipanti.

9.2 Il condominio negli edifici
Riguarda gli edifici composti di una pluralità di appartamenti dove i singoli appartamenti sono di proprietà solitaria, il suolo e le cose destinate all’uso comune sono oggetto di comproprietà fra tutti i proprietari degli appartamenti. È un caso di comproprietà forzosa alla quale i partecipanti non possono sottrarsi e debbono contribuire ciascuno in proporzione al valore della sua proprietà.
Le deliberazioni sull’amministrazione sono prese da un’assemblea di condominio, se i condomini sono più di quattro è obbligatoria la nomina di un amministratore e se sono più di dieci deve essere formato un regolamento sull’utilizzo delle cose comuni.
Si ha la multiproprietà quando un medesimo appartamento viene venduto separatamente a più persone che ne possono godere a turno ciascuna per un determinato periodo dell’anno.



PARTE TERZA

CAPITOLO DECIMO: L’OBBLIGAZIONE

10.1 Diritto reale e diritto di obbligazione
L’obbligazione è il diritto di un soggetto alle prestazioni personali di altri soggetti. Dei diritti di obbligazione si suole parlare anche come diritti di credito o come di diritti personali. Essi si presentano come diritti a una prestazione di dare o consegnare, di fare o di non fare. Mentre i diritti reali sono assoluti, cioè spettano a un soggetto nei confronti di tutti gli altri, i diritti di obbligazione sono diritti relativi. Se da una parte i diritti reali fruiscono di una difesa assoluta i diritti di obbligazione fruiscono di una difesa relativa nel senso che il titolare del diritto può difenderlo solo nei confronti della persona dell’obbligato. I diritti reali sono suscettibili di possesso e possono essere acquistati a titolo originario mentre i diritti di credito si possono acquistare solo a titolo derivativo.

10.2 Il rapporto obbligatorio
L’obbligazione si presenta come un rapporto o un vincolo che lega un soggetto ad un altro soggetto per l’esecuzione di una data prestazione e vi si distinguono: un soggetto attivo dell’obbligazione (creditore) al quale spetta il diritto di esigere una prestazione, un soggetto passivo (debitore) il quale è tenuto ad eseguire la prestazione e un oggetto dell’obbligazione che è la prestazione dovuta dal debitore al creditore. I soggetti possono essere più di uno, possono così esserci più creditori o più debitori ma in ogni caso devono essere determinati o determinabili.
L’oggetto dell’obbligazione deve avere carattere patrimoniale, ossia deve essere suscettibile di valutazione economica. Se la prestazione del debitore deve avere carattere patrimoniale tale non deve essere necessariamente l’interesse del creditore.
Per patrimonio si intendono tutti i diritti patrimoniali, reali e di obbligazione, che appartengono ad una medesima persona mentre il patrimonio netto è il valore del patrimonio di una persona sottratti i suoi debiti.
La prestazione oggetto di una obbligazione può essere: una prestazione di dare o consegnare, la prestazione di consegnare può dare luogo ad un’obbligazione di genere (consegna di una cosa determinata solo nel genere) o di specie (consegna di una cosa determinata nella sua identità).
Il debitore deve eseguire una prestazione di qualità non inferiore alla media e deve custodire la cosa ino alla consegna. Una prestazione di fare la quale può dare luogo a una obbligazione di mezzi (quando il debitore è obbligato a svolgere un’attività senza garantirne il risultato finale) o a una obbligazione di risultato (quando il debitore è obbligato a realizzare anche il risultato). Una prestazione di non fare (prestazione negativa).
Inoltre si può includere l’obbligazione a contrattare, ossia l’obbligazione che consiste nel concludere un contratto.
Il debitore è solitamente obbligato ad una prestazione principale e a una serie di prestazioni accessorie. Una generale obbligazione accessoria è quella di comportarsi l’uno verso l’altro secondo le regole della correttezza.

10.3 Obbligazioni con pluralità di soggetti o di oggetti
In tal caso l’obbligazione si può definire come solidale o parziaria. C’è solidarietà attiva quando ciascuno dei creditori di un medesimo debitore può rivolgersi a questo ed esigere da lui l’intera prestazione liberando il debitore dall’obbligazione nei confronti degli altri creditori, oppure c’è solidarietà apssiva quando ciascuno dei debitori di un medesimo creditore può essere costretto da questo ad eseguire l’intera prestazione liberando dall’obbligazione gli altri debitori.
Fra concreditori e condebitori l’obbligazione si divide, così il concreditore che ha riscosso dividerà la parte con gli altri creditori e il condebitore che ha adempiuto potrà ottenere il rimborso dagli altri condebitori (azione di regresso). Se uno dei condebitori è insolvente la sua parte si ripartisce fra gli altri. Ciascun condebitore adempiendo libera gli altri. Si propagano agli altri debitori o agli altri creditori le conseguenze favorevoli, non si propagano quelle sfavorevoli.
L’obbligazione è parziaria quando ciascuno dei creditori di un medesimo debitore può esigere da questo solo la sua parte della prestazione (parziarietà attiva) o quando ciascuno dei debitori di un medesimo creditore può essere costretto a pagare solo la sua parte (parziarietà passiva).
Fra i condebitori la solidarietà è la regola, la parziarietà l’eccezione. Fra i concreditori la solidarietà deve essere pattuita altrimenti l’obbligazione è parziaria.
Un’eccezione si ha quando l’obbligazione prevede una prestazione di dare o di fare di una cosa indivisibile, allora l’obbligazione non può che essere solidale.
L’obbligazione può avere come oggetto due o più prestazioni in alternativa fra loro e la scelta su quale eseguire spetta di regola al debitore. Se prima della scelta una delle prestazione diventa impossibile l’obbligazione si concretizza nelle altre, se diventa impossibile dopo la scelta il debitore è liberato dall’obbligazione.

10.4 Fonti delle obbligazioni
Le fonti delle obbligazioni sono gli atti o i fatti da cui l’obbligazione trae origine e sono di tre categorie: il contratto cioè l’accordo di due o più parti e si qualifica come fonte volontaria poiché sorge con il concorso della volontà del debitore, il fatto illecito che è fonte dell’obbligazione a risarcire il danno, ogni altro atto o fatto che comprende sia fonti volontarie diverse dal contartto sia fonti involontarie non qualificabili come fatti illeciti.

CAPITOLO UNDICESIMO: L’ADEMPIMENTO E L’INADEMPIMENTO

11.1 L’adempimento delle obbligazioni
L’adempimento è l’esatta esecuzione da parte del debitore della prestazione che forma l’oggetto dell’obbligazione, ne consegue l’estinzione dell’obbligazione e la liberazione del debitore. L’adempimento deve essere rispettato: nella modalità di esecuzione della prestazione in cui deve utilizzare la diligenza dell’uomo medio ma se la prestazione inerisce all’esercizio di una professione si parla di perizia. Ciò vale solo per le obbligazioni con prestazione di fare e oer le obbligazioni di mezzi. La prestazione deve essere eseguita per intero.
Per quanto riguarda il tempo esecuzione deve essere eseguita a richiesta del creditore o se è fissato un termine alla scadenza del termine. Il termine fissato per l’adempimento si presuppone a favore del debitore.
Per quanto riguarda il luogo la prestazione deve essere eseguita nel luogo stabilito dalle parti ma se non c’è un accordo valgono le seguenti regole: l’obbligazione di consegnare una cosa va adempiuta nel luogo in cui è sorta l’obbligazione, l’obbligazione di pagare si adempie al domicilio del creditore e ogni altra obbligazione si adempie al domicilio del debitore.
La prestazione può essere adempiuta abche da un terzo e il creditore si può rifiutare solo se ha interesse che il debitore svolga lui stesso la prestazione o se il debitore ha manifestato la sua opposizione all’adempimento altrui. Se il creditore riceve l’adempimento da un terzo cede ad esso anche i suoi diritti verso il debitore.
La capacità di intendere e di volere del creditore è rilevante, infatti chi paga nelle mani del creditore incapace non è liberato a meno che non dimostri che sia stato rivolto a vantaggio dell’incapace. L’adempimento deve essere eseguito nelle mani del creditore o di quelle di un suo rappresentante. Se il debitore paga a chi è solo apparentemente legittimato è liberato dall’obbligazione se dimostra che l’apparenza sia creata da circostanze univoche e che il debitore fosse in buona fede.
Il debitore è liberato solo se esegue la prestazione dovuta ma il creditore può consentire una prestazione in luogo dell’adempimento.
Il debitore che adempie una prestazione di denaro ha diritto a una quietanza ossia una dichiarazione dell’avvenuto pagamento. Chi ha più debiti verso lo stesso creditore può dichiarare quale vuole estinguere, se non lo dichiara si estinguono prima i debiti già scaduti, poi quelli meno garantiti e infine quelli di più lunga data.

11.2 Le obbligazioni pecuniarie
Sono obbligazioni pecuniarie o debiti di valuta quelle che hanno per oggetto la consegna di una data quantità di denaro e si adempiono con moneta avente corso legale nello Stato al momento del pagamento. Vale il principio nominalistico ossia che la moneta è presa in considerazione per il suo valore nominale e non per il suo potere di acquisto. Contro il rischio della svalutazione monetaria si utilizzano la clausola Istat, la clausola oro, la clausola valuta pregiata e la clausola merci.
Ai debiti di valuta si contrappongono i debiti di valore quando una somma di denaro è dovuta non come bene a sé ma come valore di un altro bene.
Il denaro produce frutti civili che sono gli interessi e vengono corrisposti secondo il tasso legale fissato annualmente dal ministero del tesoro, gli interessi superiori a tale cifra devono essere pattuiti per atto scritto.

11.3 L’inadempimento dell’obbligazione
Il debitore è inadempiente se non esegue la prestazione dovuta o non la esegue esattamente. Il debitore è tenuto dunque al risarcimento del danno a meno che non dimostri che la mancata esecuzione della prestazione è dovuta a causa a lui non imputabile e che l’inadempimento è dovuto per impossibilità oggettiva. Discolpano il debitore dall’inadempimento anche il caso fortuito o la forza maggiore.
Per quanto riguarda le prestazione di dare di una cosa di genere il debitore sarà sempre responsabile per l’inadempimento, per le prestazioni di dare di cose di specie se la prestazione è diventata oggettivamente impossibile per causa a lui non imputabile e comunque risponde delle cause a lui ignote. Le prestazioni di fare consistenti in prestazioni di mezzi possono avere come fondamento della responsabilità la colpa e anche queste possono essere oggettivamente impossibili. Nelle prestazioni di fare consistenti nel realizzare un risultato la mancata realizzazione può derivare da impossibilità soggettiva od oggettiva.
Nelle prestazioni di non fare ogni atto compiuto in violazione dell’obbligazione negativa è sempre di responsabilità del debitore.
Nei casi in cui il debitore è volontariamente inadempiente si dice che egli è in dolo. È nullo il patto per il quale il debitore sia preventivamente esonerato da responsabilità per dolo o colpa grave.

11.4 Mora del debitore e mora del creditore
La mora del debitore è il ritardo di questo nell’adempiere la prestazione dovuta. Perché il debitore sia in mora occorre un fatto formale che è la costituzione in mora ossia la richiesta o intimazione scritta di adempiere rivolta dal creditore al debitore. Ciò è però superfluo se il debitore ha già dichiarato per iscritto di non voler adempiere, quando si tratta di prestazione sottoposta a termine scaduto, quando si tratta di obbligazione da fatto illecito, quando si tratta di obbligazione di non fare.
La mora del debitore produce due effetti: l’aggravamento del rischio del debitore se dopo la costituzione in mora la prestazione diventa impossibile per causa non imputabile al debitore a meno che non provi che l’oggetto sarebbe comunque perito presso il creditore, l’obbligazione di risarcire i danni che il creditori provi di avere subito. In forza della responsabilità contrattuale il debitore deve al creditore una somma di denaro costituita dal danno emergente (ossia la perdita subita dal creditore) e il lucro cessante (ossia il mancato guadagno). Il danno è risarcibile solo se è una conseguenza diretta dell’inadempimento e se era un danno prevedibile dal debitore come conseguenza dell’inadempimento.
La prestazione che ha per oggetto la consegna di una somma di denaro non diventa mai impossibile ma oltre alla somma dovuta il debitore dovrà dal momento in cui è in mora anche gli interessi moratori.
La mora del creditore è l’ingiustificato rifiuto del creditore di ricevere la prestazione offertagli dal debitore o di mettere il debitore in condizione di non poterla eseguire. Effetti della costituzione in mora del creditore sono: l’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa a lui non imputabile è a carico del creditore, non sono dovuti dal debitore interessi sulle somme di denaro, sono dovuti dal creditore il rimborso delle spese di custodia della cosa.
Il debitore può conseguire la sua liberazione dal debito con il deposito della somma dovuta in una banca o delle cose mobili nel luogo indicato dal giudice. Tali effetti si produrranno solo quando sarà passata in giudicato la sentenza che avrà accertato che il rifiuto del creditore era effettivamente ingiustificato.

11.5 Estinzione dell’obbligazione per cause diverse dall’adempimento
L’impossibilità di una prestazione può essere solo temporanea ma può diventare definitiva se il tempo dell’adempimento era da considerarsi essenziale. Può anche essere una impossibilità parziale e qui il debitore si libera eseguendo la prestazione per la parte rimasta possibile.
La novazione è l’estinzione di una obbligazione per volontà delle parti mediante la costituzione di una nuova obbligazione diversa da quella originaria per l’oggetto o per il titolo, libera il debitore dalla precedente obbligazione. Se la prima obbligazione non esisteva la nuova obbligazione è senza effetto.
La remissione è la rinuncia volontaria del creditore al proprio diritto, può consister in una dichiarazione espressa o può essere implicita e comunque il debitore può opporvisi.
Si ha confusione quando la qualità di debitore e di creditore vengono a riunirsi nella stessa persona con il risulta che l’obbligazione si estingue.
Si ha compensazione quando due persone sono obbligate l’una nei confronti dell’altra in forza di distinti rapporti obbligatori. Con la conseguenza che i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti. La compensazione può essere: legale, che opra cioè in modo autonomo fra debiti omogenei; giudiziale, decisa cioè dal giudice e si attua quando i due debiti sono omogenei ma uno dei due non è liquido, volontaria cioè stabilita per accordo tra le parti.
Sul meccanismo della compensazione si basa il cosiddetto contratto di conto corrente, solitamente stipulato tra imprenditori che abbiano rapporti di affari reciproci e permanenti che arrivano a sviluppare una serie di crediti e debiti reciproci. Essi si obbligano a non esigere l’uno dall’altro i rispettivi credit ma al termine di ogni termine stabilito quello dei due che risulterà creditore potrà esigere il saldo.

CAPITOLO DODICESIMO: IL CONTRATTO

12.1 Il contratto e l’autonomia contrattuale
Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere fra loro un rapporto giuridico patrimoniale. L’effetto giuridico è qui prodotto dalla volontà delle parti interessate. La grande importanza del contratto deriva dall’ampio riconoscimento legislativo della cosiddetta signoria della volontà che riconosce ai privati un ampio potere di provvedere alla regolazione dei rapporti patrimoniali. La libertà o autonomia contrattuale si manifesta sotto un duplice aspetto: come libertà in senso negativo ossia nel senso che nessuno può essere costretto ad eseguire prestazioni a favore di altri contro o indipendentemente dalla propria volontà., come libertà in senso positivo nel senso che i privati possono con un proprio atto di volontà regolare tra loro rapporti patrimoniali. L’autonomia contrattuale in questo significato positivo si manifesta in tre forme: è libertà di scelta a seconda degli scopi che i privati si prefiggono, è libertà di determinare entro i limiti della legge il contenuto del contratto. Ciascuna determinazione prende il nome di clausola o patto che nel loro insieme prendono il nome di regolamento contrattuale. È libertà infine di concludere contratti atipici o innominati cioè contratti che sono nati e si sono diffusi prima che la legge li prevedesse e li regolasse. Essi sono validi purchè diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
Il contratto è bilaterale quando le parti sono due, è plurilaterale quando le parti sono più di due considerando che parte non equivale a persona ma a centro di interessi.
Gli atti unilaterali sono la dichiarazione di volontà di una sola parte, di per sé produttiva di effetti giuridici. Gli atti unilaterali formano un numero chiuso, con esclusione di quelli atipici e la promessa unilaterale non produce effetti se non quelli previsti dalla legge e ad essi si applicano le norme sui contratti.

12.2 Il contratto e l’atto unilaterale come negozi giuridici
Il negozio giuridico è descritto come l’atittudine a produrre effetti giuridici che il diritto riconosce alla volontà dell’uomo, costituito come genere sovraordinato del quale il contratto e l’atto unilaterale sono visti come semplice sottospecie. Il negozio giuridico viene suddiviso in negozi giuridici unilaterali, bilaterali e plurikaterali e tra negozi giuridici patrimoniali e non patrimoniali.

12.3 I requisiti del contratto: a) l’accordo delle parti
L’accordo delle parti è l’incontro delle manifestazioni di volontà di ciascuna di esse e il contratto è concluso solo se vi è piena coincidenza tra le parti. Il contratto può essere concluso in modo espresso quando la volontà delle parti viene dichiarata per iscritto o oralmente, oppure in modo tacito quando la volontà si desume dal loro comportamento. A volte però l’ammissibilità di una tacita manifestazione di volontà è legislativamente esclusa come nel caso della rinuncia del creditore all’ipoteca o della volontà di liberare il debitore.
L’accordo si può formare in modo simultaneo ma si può anche formare per fasi successive e in questo caso le dichiarazioni di volontà delle parti prendono il nome di proposta e accettazione. La proposta è la dichiarazione di volontà di chi si assume l’iniziativa del contratto, l’accettazione è la dichiarazione di volontà che il destinatario della proposta rivolge al proponente. Il destinatario della proposta è libero di accettarla o meno e non è tenuto a spiegare le ragioni per le quali non accetta. L’accettazione vale come tale solo se è conforme alla proposta in tutto e per tutto, se non è conforme prende il nome di nuova proposta che richiede l’accettazione dell’originario proponente.
Il contratto è concluso quando chi ha fatto la proposta riceve la notizia dell’accettazione dell’altra parte in un tempo che possa ritenersi ragionevole. La proposta contrattuale può rivolgersi ad un destinatario determinato oppure assumere la forma della proposta o offerta al pubblico. Dalla vera e propria proposta contrattuale si distingue il semplice invito a proporre che è una dichiarazione che non contiene tutti gli estremi essenziali del contratto.
Una specifica forma di proposta contrattuale è l’adesione di nuove parti, se consentita, ad un già formato contratto plurilaterale. La proposta di adesione deve essere rivolta all’organo costituito per l’attuazione del contratto o a tutti gli originari contraenti. Fino al momento in cui il contratto non sia concluso la proposta e l’accettazione possono essere revocate da chi le ha formulate.
La conoscenza della proposta e dell’accettazione è però una conoscenza presunta, esse si presumono conosciute ma il destinatario è ammesso a provare di essre stato nell’impossibilità di averne notizia. La proposta può essere dal proponente dichiarata ferma o irrevocabile per un dato tempo, il destinatario può entro questo tempo accettarla o meno. Il proponente non può revocare la proposta fino a quando non sia scaduto il termine fissato cosicchè il destinatario fruisce di questo lasso di tempo per decidere.
L’opzione differisce dalla proposta irrevocabile per la sua natura di contratto e si parla anche di patto di opzione. Esso ricorre quando una parte del contratto si vincola verso l’altra e l’altra si limita a prendere atto riservandosi la scelta se accettare o no. Il patto di opzione produce a carico di chi si obbliga gli stessi effetti della proposta irrevocabile. Talvolta chi acquista per contratto la facoltà di opzione paga all’altro contraente un corrispettivo.
Particolari tecniche di formazione dell’accordo riguardano: i contratti con obbligazioni del solo proponente dove il silenzio del destinatario della proposta è valutato come tacita accettazione, i contratti che ammettono l’esecuzione prima della risposta dell’accettante, in tal caso il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione. Gliatti unilaterali che siano rivolti a persona determinata producono effetto dal momento in cui giungono a conoscenza del destinatario.

12.4 Continua: i limiti dell’autonomia contrattuale
L’autonomia contrattuale ha un riconoscimento meno ampio che in passato. Nel nostro diritto i limiti si manifestano sotto due aspetti: quelli imposti all’autonomia contrattuale di una delle parti e quelli imposti all’autonomia di entrambe le parti. La prima ipotesi ricorre soprattutto nel contratto in serie che è il contratto predeterminato da una delle parti e l’altra non può trattare. Si contrappone al contratto isolato che indica il contratto che è frutto delle trattative intercorse tra i due contraenti.
Le condizioni generali di contratto sono le condizioni contrattuali predisposte in modo uniforme e destinate a valere per tutti i contratti ed esse sono efficaci nei confronti dell’altro contraente se al momento della conclusione del contratto le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordianria diligenza.
Il consumatore o l’utente è rispetto al contraente che predispone le condizioni generali del contratto un contraente debole. La legge prevede alcune eccezioni secondo le quali devono essere specificatamente approvate per iscritto le cosiddette clausole vessatorie o onerose.
Per il contratto in serie vengono predisposti moduli o formulari a stampa dove le clausole aggiunte a penna o a macchina al modulo o formulario prevalgono su quelle stampate anche se quest’ultime non siano state cancellate.
Altro limite all’autonomia contrattuale può derivare da norme di legge che impongono ad una delle parti di concludere un contratto privandolo della libertà di scelta se contrattare o non contrattare. Chi esercita un’impresa in condizioni di monopolio legale ha l’obbligo di contrattare con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell’impresa osservando la parità di trattamento. Tutto ciò è tenuto compatibilmente con i mezzi ordinari dell’impresa ma l’imprenditore non può limitarsi a un rifiuto senza doverlo motivare.
In altri casi appare limitata l’autonomia contrattuale di entrambi i contraenti come nel caso della determinazione autoritativa da parte dei pubblici poteri dei prezzi di vendita di beni di largo consumo o delle tariffe di determinati servizi pubblici. Le clausole e i prezzi imposte dalla pubblica autorità sono automaticamente inseriti nel contratto anche in sostituzione delle clausole difformi poste dalle parti. Analogo fenomeno di inserzione automatica si verifica quando una clusola contarttuale sia contraria ad una norma imperativa di legge, in tal caso la clausola contrattuale è nulla.
Il contratto non obbliga le parti solo a quanto è nel medesimo espresso ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge o in mancanza secondo gli usi è l’equità. Sono così quattro le fonti contrattuali: la volontà espressa dalle parti, le norme imperative di legge, gli e le equità.
Quest’ultima differisce dagli altri perché non è fonte di diritto oggettivo ma una valutazione di fatto effettuata dal giudice ad integrazione delle valutazioni delle parti. Usi ed equità valgono solo in mancanza della volontà espressa dalle parti o di disposizioni di legge.
Diversi dagli usi normativi sono gli usi contrattuali o clausole d’uso che si intendono inserite nel contratto se non risulta che non sono state volute dalle parti.
Le clausole di stile sono clausole meccanicamente ripetute in moduli contrattuali a stampa. Qui ciascuno dei contraenti è ammesso a provare che una data clausola del modulo a stampa da lui sottoscritto non era voluta dalle parti.

12.5 Continua: b) la causa
La causa è la funzione economico sociale dell’atto di volontà per cui l’obbligazione non sorge se manca una causa dell’atto di autonomia contrattuale. Così ad esempio la vendita è lo scambio di una cosa con prezzo. Non tutti i contratti sono però contratti di scambio cioè contratti a titolo oneroso ma esistono anche contratti la cui causa si basa sullo scambio di prestazioni e sono i contratti a titolo gratuito.
I contratti tipici, poiché previsti e regolati dalla legge, hanno tutti una causa e per essi non si pone il problema di accertarne la ricorrenza di una funzione economico sociale.
Il problema della causa si pone per i contratti atipici o innominati e per essi il giudice dovrà accertare se siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
La giurisprudenza esige l’enunciazione esplicita della causa. Quando il contratto atipico risulta dalla combinazione in un unico contratto di più contratti tipici si parla allora di contratto con causa mista.
Diverso è il fenomeno dei contratti collegati. Il collegamento contrattuale ha la rilevanza che le vicende che investono un contratto possono ripercuotersi sull’altro.
Dal requisito della causa discende l’inammissibilità di contrattiastratti ossia diretti a produrre effetti per sola volontà delle parti indipendentemente dall’esistenza di una causa. Così ad esempio la semplice promessa di pagamento o il semplice riconoscimento del debito sono dichiarazioni unilaterali astratte.
Si suole parlare di astrazione solo processuale della causa quando anziché essere il creditore a dover provare il titolo costitutivo del credito sarà il debitore per sottrarsi al pagamento a doverne provare l’inesistenza. L’astrazione processuale è ammessa per la promessa di pagamento e per la ricognizione di debito.
Con il contratto di accertamento le parti mirano ad eliminare l’incertezza relativa a situazioni giuridiche fra esse intercorrenti e si vincolano reciprocamente ad attribuire al fatto o all’atto preesistente gli effetti che risultano dall’accertamento contrattuale. Esso ha sempre effetto retroattivo.
I motivi del contratto sono le ragioni soggettive che inducono le parti al contratto e sono irrilevanti per il diritto tranne in due casi: nel caso di motivo illecito e nel caso di errore di diritto sui motivi.

12.6 Continua: c) l’oggetto
Dal contenuto del contratto si distingue l’oggetto che è il diritto reale o di credito che il contratto trasferisce da una parte all’altra oppure la prestazione che una parte si obbliga ad aseguire a favore dell’altra. Di regola il contratto ha più oggetti ma ne ha uno solo nei contratti a titolo gratuito.
L’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile. Il primo di questi requisiti fa riferimento alla possibilità materiale dell’oggetto. Ma anche una cosa attualmente inesistente può formare oggetto del contratto se è suscettibile di venirne ad esistenza ed è il caso delle cose future mentre è invece vietato donare cose future. Il requisito della possibilità dell’oggetto si riferisce inoltre alla sua possibilità giuridica, l’oggetto è impossibile quando non può formare oggetto di diritti come le parti del corpo umano. Altro oggetto giuridicamente impossibile è il bene che la legge dichiara inalienabile o fuori commercio come i contratti traslativi di proprietà demaniale.
L’oggetto del contratto deve essere determinato così la vrndita che non contenga elementi che permettano di determinare una sicura identificazione della cosa è nulla. Ma l’oggetto può anche essere determinabile in base a criteri di individuazione enunciati nel contratto stesso o altrimenti ricavabili. Un caso di oggetto non determinato ma determinabile è quello del contratto che deferisca ad un terzo la determinazione dell’oggetto. In questo caso si parla di arbitramento e al terzo si dà il nome di arbitratore ed egli deve procedere alla determinazione dell’oggetto con equo apprezzamento. Ciascuna delle parti può impugnare davanti al giudice la determinazione del terzo lamentando che essa è manifestatamente iniqua o erronea. Le parti possono allora preferire di affidare la determinazione dell’oggetto al mero arbitrio del terzo e in tal caso la determinazione può essere impugnata solo provando la sua mala fede. Se manca la determinazione dell’arbitratore lo stesso giudice provvede a determinare l’oggetto del contratto mentre l’omissione dell’arbitratore o l’accertamento giudiziale della sua mala fede comporta senz’altro la nullità del contratto.




12.7 Continua: d) la forma
Principio generale del moderno sistema dei contratti è la libertà della forma. I contratti possono risultare da dichiarazioni espresse o essere contratti taciti e i contratti espressi possono essere contratti orali o scritti, è infatti sufficiente che la volontà delle parti sia manifesta.
A questo fanno eccezione i contratti immobiliari, cioè quelli che trasferiscono la proprietà di immobili, che se stipulati per un periodo superiore ai nove anni devono essere conclusi per atto scritto.
La forma scritta può consistere in un atto pubblico o in una scrittura privata dove il primo è il documento redatto dal notaio e la seconda è redatta e sottoscritta dalle stesse parti. Tuttavia la scrittura privata può essere autenticata da un notaio che si limita ad attestare che le firme sono autentiche.
Il requisito della forma scritta è soddisfatto dalla sola scrittura privata anche se non autenticata. L’atto pubblico fa prova di quanto il notaio attesta essere stato detto e fatto dalle parti alla sua presenza mentre l’autenticazione della scrittura privata fa prova dell’autenticità delle firme apposte in calce. In alcuni casi l’atto pubblico è richiesto a pena di nullità del contratto (forma solenne) come accade nei contratti societari.
Per alcuni contratti come il contratto di assicurazione o il patto di non concorrenza tra imprenditori il contratto è valido anche se redatto in forma non scritta e la forma scritta è richiesta come forma della prova e non come forma del contratto.

12.8 La trascrizione del contratto
Ulteriore formalità del contratto è la sua trascrizione negli appositi pubblici registri. Tuttavia anche senza la trascrizione il contratto è comunque valido ma solo con essa è legalmente noto ai terzi e quindi ad essi opponibile.
Se più persone acquistano una cosa mobile ne diventa proprietaria quella che per prima ne ha conseguito il possesso. Se la stessa situazione si ripete per un bene immobile o per un mobile registrato prevale quella di esse che ha per prima trascritto il contratto.
Per trascrivere un contratto negli appositi registri occorre che lo stesso risulti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata.

12.9 Il contratto preliminare
Il contratto preliminare è il contratto con il quale le parti si obbligano l’una nei confronti dell’altra a concludere un futuro contratto del quale predeterminano il contenuto essenziale. La forma deve essere la stessa che la legge richiede per il contratto definitivo. Nell’eventualità che una delle parti non adempia il contratto preliminare l’altra parte può rivolgersi al giudice ed ottenere l’esecuzione forzata dell’obbligazione di contrattare e il giudice emetterà una sentenza che produce gli effetti del contratto non concluso.
Si ha la riproduzione del contratto quando le parti si impegnano reciprocamente a ritrovarsi in un secondo momento per riprodurre il contratto già definitivo in un documento avente la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata. Nell’ipotesi di perimento della cosa essendo la proprietà già passata al compratore il perimento della cosa per causa non imputabile all’alienante non libera l’acquirente dall’obbligazione di pagare il prezzo.
La cosiddetta minuta di contratto avviene quando le parti concordano su alcuni estremi del futuro contratto e se non si raggiunge il successivo accordo sui punti mancanti si dovrà ritenere di essere in presenza di un contratto con oggetto non determinato né determinabile e come tale nullo.
Nel programma di contratto le parti si impegnano ad instaurare fra loro trattative per la formazione di un possibile contratto del quale non hanno concordato alcun punto essenziale.
Se le parti hanno convenuto di adottare una determinata forma tale forma si presume convenuta per la validità del contratto.


CAPITOLO TREDICESIMO: VALIDITA’ E INVALIDITA’ DEL CONTRATTO

13.1 Le cause di nullità del contratto
Il contratto è invalido quando è in contrasto con una norma imperativa di legge ma l’invalidità può essere di due specie. La nullità è quella di portata generale, basta infatti che una norma imperativa sia stata violata (nullità virtuale). L’annullabilità ha invece carattere speciale e ricorre quando sia stata prevista dalla legge come conseguenza della violazione di una norma imperativa (annullabilità testuale). La regola generale afferma che il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative salvo che la legge disponga diversamente. Fra quest’ultime ipotesi rientrano i casi dell’incapacità di contrattare e i vizi del consenso.
Sono norme imperative le norme non derogabili per volontà delle parti e ad esse si contrappongono le norme dispositive che invece ammettono una diversa volontà delle parti. Fra le norme imperative bisogna annoverare oltre che le norme nazionali anche le norme comunitarie.
Produce nullità anzitutto la mancanza di uno o più requisiti del contratto e cioè la mancanza di accordo delle parti o della causa o dell’oggetto o della forma.
L’accordo è il risultato della concorde dichiarazione di volontà delle parti. Essa si compone di due dichiarazioni di volontà, in ciascuna dichiarazione si può distinguere tra volontà, che il soggetto forma entro la propria mente e la dichiarazione costituita dallo scritto o dalle parole o da altri segni. La volontà interna del soggetto fin quando non è dichiarata all’esterno è irrilevante per il diritto, gli effetti giuridici si producono solo in quanto alla esterna dichiarazione corrisponda una volontà del dichiarante. Il contratto è nullo per mancanza del requisito dell’accordo tra le parti quando manca l’interna volontà delle parti di produrre effetti giuridici. Un caso è quello della dichiarazione non seria oppure per esemplificazione didattica. Un altro caso è quello della violenza fisica che è il fatto in cui l’altro contraente o un terzo provoca una dichiarazione non voluta o un altro caso è chi firma un contratto in uno stato di assoluta incapacità di intendere e di volere procuratogli dall’altro contraente.
Nei casi di divergenza fra interna volontà e dichiarazione esteriore è la dichiarazione formulata in modo non corrispondente alla sua interna volontà. Tuttavia in questi casi la prevede solo una causa di annullabilità e non di nullità.
Oltre che invalido il contratto può essere un contratto inesistente che è il contratto neppure identificabile come tale e il contratto inesistente non produce neppure quei limitati effetti che produce il contratto nullo.

13.2 Continua: il contratto illecito
Il contratto è nullo per illiceità della causa, dell’oggetto e dei motivi. Assume particolare rilievo la contrarietà a norme imperative del risultato che le parti si propongono di realizzare. L’oggetto, la causa o i motivi sono illeciti se contrari a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. Ma l’espressa formulazione legislativa di un divieto non è mecessaria perché il giudice consideri illecito un contratto. L’ordine pubblico è costituito da quelle norme che salvaguardano i valori fondamentali sopra menzionati e che si ricavano per implicito dal sistema legislativo. Il buon costume è costituito da quelle norme imperative, anch’esse ricavabili dal sistema legislativo, che comportano una valutazione del comportamento dei singoli in materia di moralità o di onestà. Il contratto contrario al buon costume, sebbene nullo, produce uno speciale effetto: non si è tenuti a dare esecuzione al contratto ma non si può ottenere la restituzione di ciò che si è pagato in esecuzione del contratto.
L’oggetto è illecito quando la cosa dedotta in contratto è il prodotto o è lo strumento di attività contrarie a norme imperative o quando la prestazione dedotta in contratto è attività vietata.
L’illiceità della causa investe la funzione del contratto, è il caso del contratto che obblighi le parti ad una prestazione e ad una controprestazione entrambe in sé lecite ma dellequali è vietato lo scambio. Una serie di ipotesi nelle quali è illecità la causa del contratto è quella dei contratti conclusi in frode alla legge, cioè i contratti che costituiscono mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa ed essi utilizzano uno o oiù contratti di per sé leciti in modo da realizzare un risultato equivalente a quello vietato. Il patto commissorio è il patto, fra creditore e debitore, in base al quale la cosa data in pegno o ipotecata in caso di mancato pagamento del credito alla scadenza passa in proprietà al creditore.
Il motivo per il quale le parti hanno concluso il concluso il contratto è di regola irrilevante per il diritto ma il motivo illecito per rendere nullo il contratto deve presentare due requisiti e cioè essere il motivo esclusivo del contratto ed essere il motivo comune a tutte le parti né basta che il motivo illecito di una sia noto all’altra.

13.3 Le cause di annullabilità: l’incapacità di contrattare
Un primo ordine di casi è quello dell’incapacità di contrattare di una delle due parti che può essere incapacità legale o solo naturale.
Sono legalmente incapaci di contrattare coloro che non hanno ancorra acquistato la capacià legale di agire e coloro che l’hanno successivamente perduta (i minori di diciotto anni, gli infermi di mente, i condannati all’ergastolo). Sono parzialmente privi della capacità di contrattare i minori emancipati e i parziali infermi di mente che siano stati inabilitati.
Il contratto concluso dall’incapace legale di agire è annullabile e l’annullamento può essere domandato al giudice da chi eserciti la potestà sul minore o sull’interdetto o dallo stesso minore o interdetto nonché dagli eredi. Il contratto del minore non può però essere annullato se egli ha con raggiri contraffatto la sua età. In nessun caso l’annullamento può essere chiesto, a causa dell’incapacità di una parte dall’altra parte capace.
L’incapacità naturale di chi è dotato di capacità di agire è l’incapacità di intendere e volere del maggiorenne affetto da infermità mentale oppure lo stato temporaneo di incapacità di intendere e di volere nel quale una persona si trovi per causa transitoria al momento della conclusione del contratto. Provata l’incapacità di intendere e di volere si può ottenere l’annullamento del contratto ma le legge esige oltre alla prova dell’incapacità ulteriori requisiti che sono: per gli atti in genere sono annullabili solo se si prova che dall’atto deriva un grave pregiudizio dell’incapace, per i contratti sono annullabili su istanza dell’incapace o degli eredi solo se si prova anche la mala fede dell’altro contraente. Eccezione a questa regola vale per la donazione, per cui è annullabile se viene provata l’incapacità naturale del donante anche se ignota al donatario. Se lo stato di incapacità naturale è stato provocato dall’altro contraente il contratto è nullo per violenza fisica.

13.4 I vizi del consenso: a) l’errore motivo e l’errore ostativo
Il contratto è annullabile se la volontà di una delle parti è stata dichiarata per errore o carpita con dolo o estorta con violenza. Dell’errore si distinguono due specie. L’errore motivo che è l’errore che insorge nella manifestazione della volontà prima che questa venga dichiarata all’esterno. L’errore motivo per poter dichiarare il contratto annullabile deve essere un errore essenziale ossia un errore per il quale il contraente non avrebbe concluso il contratto ed è tale se ricorre una di queste ipotesi: sull’oggetto o sulla natura del contratto, sull’identità dell’oggetto oppure che cade sulla qualità dell’oggetto, è invece irrilevante l’errore sul valore tranne nel caso in cui ad indurre in errore sul valore sia stato l’altro contraente; sull’identità o sulle qualità personali dell’altro contraente che assume rilievo solo se esse siano determinanti del consenso (esse sono sempre determinanti per i cosiddetti contratti personali); sui motivi del contratto se si tratta di errore di diritto quando sono motivi dati dall’ignoranza di una norma di legge e costituiscono la ragione principale del contratto. L’errore sui motivi è irrilevante se si tratta di errore di fatto.
Oltre che essenziale l’errore deve essere riconosciuto dall’altro contraente e vanno considerati a questi effetti il contenuto e le circostanze del contratto nonché le qualità dei contraenti.
L’errore ostativo è l’errore che cade sulla esterna dichiarazione oppure è l’errore commesso dalla persona o dall’ufficio incaricato di trasmettere la dichiarazione. Tale errore può portare all’allunamento del contratto solo se riconoscibile dall’altro contraente.
13.5 Continua: b) il dolo; c) la violenza morale
si parla di dolo in un senso corrispondente al concetto comune di inganno. Avviene quando in contraente è indotto in errore dai raggiri usati dall’altro contraente oppure da un terzo. Se i raggiri sono stati determinanti del consenso (dolo determinante) allora il contratto è annullabile se invece questi avrebbe comunque contrattatto (dolo incidente) allora il contratto è valido. Il raggiro del terzo per comportare l’annullamento del contratto deve essere noto al contraente che ne ha tratto vantaggio.
Può accadere che il contraente sia tratto in errore da un atteggiamento puramente omissivo dell’altro contraente (dolo omissivo). Per quanto riguarda i contratti di assicurazione la semplice reticenza dell’assicurato è causa di annullamento del contratto. Generalmente il dolo omissivo deve considerarsi causa di annullamento del contratto ogniqualvolta che il contraente avesse l’obbligo di informare l’altra parte.
Il dolus bonus consiste nelle esagerate vanterie delle qualità del proprio bene o della propria abilità professionale e nessuno in questi casi potrà ottenere l’annullamento del contratto.
La violenza comportante l’annullabilità del contratto è la cosiddetta violenza morale che consiste nell’estorcere il consenso di un soggetto con la minaccia. Il male minacciato può essere un male alla persona come la minaccia all’integrità fisica o ai diritti della persona, ai beni o ai parenti in linea diretta della stessa (in caso di minaccia verso parenti in via collaterale la decisione dell’annullamento è rimessa al giudice), deve trattarsi inoltre di un male ingiusto. Analoga ipotesi è quella della minaccia di far valere un diritto, ciò è causa di annullamento del contratto solo se è diretto a realizzare vantaggi ingiusti. Il male minacciato deve essere inoltre notevole e la minaccia deve essere di tale natura da fare impressione su una persona sensata avuto riguardo all’età, al sesso e alla condizione della persona.
La violenza può provenire da un terzo ma qui non occorre che la violenza del terzo sia nota al contraente che ne ha tratto vantaggio.
Non è causa di annullamento del contratto il semplice timore reverenziale ma da questo va distinta l’ipotesi per la quale pur senza pronunciare minacce il personaggio importante lascia intendere senza possibilità di dubbio che dall’accettazione della proposta dipenderà la carriera dall’altra parte o la conclusione dell’affare a cui aspira.

13.6 Le conseguenze della nullità e dell’annullabilità
A chiedere la dichiarazione di nullità di un contratto è legittimato chiunque dimostri di avere interesse, a chiedere l’annullamento del contratto è legittimata solo la parte a favore della quale è prevista l’annullabilità.
La nullità può essere rilevata d’ufficio dal giudice mentre l’annullamneto può essere pronunciato dal giudice solo su domanda o su eccezione della parte legittimata. L’azione di nullità è imprescrittibile mentre l’azione di annullamento ha un termine di cinque anni. La prescrizione riguarda l’azione e non l’eccezione per cui l’annullamneto può essere eccepito anche dopo che siano trascorsi cinque anni se solo allora l’altra parte chiede l’esecuzione del contratto.
La sentenza che dichiara la nullità del contratto opera retroaativamente. La sentenza che annulla il contratto invece opera retroattivamente tra le parti ma in quanto ai terzi opera solo rispetto a quelli in mala fede e non pregiudica i diritti acquisiti dai terzi in buona fede.
Il contratto affetto da una causa di annullabilità può essere convalidato e lo si può fare in due modi: o con una espressa dichiarazione di convalida proveniente dalla parte cui spetta l’azione di annullamento oppure in modo tacito se la parte cui spetta l’azione dà volontariamente esecuzione al contratto. Non può essere convalidato il contratto nullo.
Il contratto nullo è suscettibile di conversione e accade quando un contratto nullo presenta tuttavia i requisiti di un altro tipo contrattuale. La conversione del contratto nullo è applicazione del principio di coservazione del contratto.
Le cause di nullità che investono singole clausole del contratto comportano nullità di queste clausole ma non la nullità dell’intero contratto se risulta che le clausole non erano essenziali e se in ogni caso le clausole sono sostituite di diritto da norme imperative di legge.
Altra applicazione del principio di conservazione è nei contratti plurilaterali: la nullità o l’annullabilità della parteciapzione al contratto di una delle parti non comporta nullità dell’intero contratto se la sua partecipazione al contratto non è considerata essenziale.
Alle dichiarazioni di nullità o all’annullamento del contratto consegue il diritto delle parti di ripetere le prestazioni eventualmente eseguite, l’azione di ripetizione è però soggetta al termine decennale di prescrizione.
Un limite all’azione di ripetizione è quando il contratto è annullato per incapacità di uno dei contraenti, l’altro può ripetere la prestazione eseguita solo se prova che essa è stata rivolta a vantaggio dell’incapace.

CAPITOLO QUATTORDICESIMO: EFFICACIA E INEFFICACIA DEL CONTRATTO

14.1 Invalidità e inefficacia del contratto
dall’invalidità del contratto bisogna distinguere la sua inefficacia. Il contratto invalido è anche inefficace. Il contratto valido è di regola anche efficace ossia produce gli effetti voluti dalle parti. Ma può accadere che un contratto seppur valido sia inefficace ossia non produttivo di effetti. Un contratto può anche essere solo temporaneamente inefficace come nel caso del contratto sottoposto a termine o a condizione e può essere definitivamente inefficace come nel caso del contratto simulato. Esistono forme di inefficacia assoluta che operano sia tra le parti sia verso i terzi e forme di inefficacia relativa che operano solo nei confronti di terzi o di determinati terzi. Le cause che producono inefficacia del contratto sono a volte cause dello stesso ordine che causano la nullità del contratto. Non sono nulle né inefficaci le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti e non conosciute o conoscibili da parte dell’altro contraente.

14.2 Il termine e la condizione del contratto
le cause di inefficacia iniziale sono quelle che ritardano l’efficacia del contratto o comunque ne rendono incerta una successiva e le cause di inefficacia sopraggiunta sono quelle che tolgono effetto ad un contratto inizialmente efficace. L’efficacia iniziale del contratto può essere subordinata dalle parti al raggiungimento di un termine.
La condizione è un avvenimento futuro ed incerto al verificarsi del quale è subordianta l’iniziale efficacia del contratto (condizione sospensiva) oppure la cessazione degli effetti del contratto (condizione risolutiva). L’avvenimento futuro deve consistere in un evento che non è ancora accaduto ma può anche consistere nell’accertamento futuro di un fatto che può già essere accaduto. L’avvenimento futuro ed incerto può essere indipendente dalla volontà delle parti (condizione casuale) ma può anche dipendere dalla volntà di una di esse.(condizione sospensiva potestativa). È nullo invece il contratto con condizione sospensiva meramente potestativa ossia consistente nel semplice arbitrio di una delle parti. È impossibile la condizione che consiste in un evento irrealizzabile in assoluto o in concreto. La condizione impossibile sospensiva rende nullo il contratto, la condizione impossibile risolutiva si considera come non apposta.
Finchè perdura l’incertezza sul verificarsi o no della condizione si dice che questa pende e chi ha assunto un’obbligazione può compiere atti conservativi. In pendenza della condizione le parti debbono comportarsi secondo le regole della correttezza, se la condizione non si avvera per causa imputabile alla parte che aveva interesse a che non si verificasse essa si considera avverata. Gli effetti dell’avveramento della condizione retroagiscono alla data del contratto.
Si parla invece di condizione legale quando è la stessa legge a subordinare l’effetto del contratto al verificarsi di un evento fututo e incerto. La condizione legale non ha effetto retroaativo e non si ritiene applicabile la finzione di avveramento.
14.3 La simulazione del contratto
Una causa di radicale e definitiva inefficacia del contratto è la simulazione dove i contraenti creano solo le parvenze esteriori di un contratto del quale non vogliono gli effetti. La simulazione può assumere tre forme. La simulazione assoluta ricorre quando le parti concludono un concratto e con separato e segreto accordo dichiarano di non volerne alcun effetto. La simulazione relativa si ha quando le parti creano l’apparenza di un contratto diverso da quello che effettivamente vogliono e qui si creano due contratti: il contratto simulato che è quello destinato ad apparire all’esterno e il contratto dissimulato che è quello realmente voluto dalle parti. L’interposizione fittizia di persona è una specie di simulazione relativa che investe l’identità delle due parti dove nel contratto simulato appare come contraente un soggetto (interposto) che è diverso dal reale contraente (interponente).
La volontà di concludere un contratto simulato risulta da un apposito accordo di simulazione detto anche controdichiarazione: nel caso della simulazione assoluta le parti dichiarano di non volere affatto gli effetti del contratto.
La simulazione è causa di inefficacia solo relativa del contratto. Fra le parti il contratto simulato è inefficace e l’efficacia del contratto simulato comporta l’inefficacia del contratto dissimulato.
Tutt’altro discorso vale rispetto ai terzi. Nei loro confronti il contratto può essere inefficace rispetto a quei terzi i cui diritti sono pregiudicati dal contratto simulato e invece efficace per quei terzi che in buona fede hanno fatto affidamento sull’apparenza creata dal contratto simulato. La simulazione non può essere opposta dai creditori del simulato alienante ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente. Altro possibile conflitto può insorgere fra diversi creditori: fra i creditori del simulato alienante e i creditori del simulato acquirente prevalgono i primi se il loro credito è anteriore all’atto simulato.
Le parti non possono dare prova per testimoni dell’accordo di simulazione fra essi intervenuto, i terzi possono invece provare la simulazione anche per testimoni. Le norme sulla simulazione si applicano anche ai contratti unilaterali che siano destinati a persona determinata (atti unilaterali recettizi) mentre non è possibile parlare di simulazione per gli atti unilaterali non recettizi come la promessa al pubblico.

14.4 Il contratto fiduciario e il contratto indiretto
Si parla di contratto fiduciario quando la causa del contratto eccede lo scopo che le parti perseguono attraverso il contratto e questo eccesso della causa risulta da uno specifico patto fra loro intercorso (patto fiduciario). Il contratto fiduciario si distingue dal contratto simulato per il fatto che mira a realizzare effetti che sono voluti dalle parti. Il patto fiduciario ha efficacia meramente obbligatoria, non efficacia reale: vincola le parti ma non è opponibile ai terzi. Se il fiduciario violando il patto vende a un terzo questi acquista validamente ed il fiduciante avrà definitivamente perso il bene.
Il contratto fiduciario è nullo quando costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa.
Si parla di contratto indiretto quando un determinato contratto viene utilizzato dalle parti per realizzare una funzione diversa da quella che corrisponde alla causa ad esempio la vendita ad un prezzo irrisorio per aggirare un divieto di donazione.

14.5 I contratti fra “professionista” e consumatore
La materia è regolata con riferimento al contratto che intercorre fra parti così definite: un professionista che è una persona che nell’ambito della sua attività imprenditoriale conclude contratti aventi per oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi; un consumatore che è la persona fisica che si procura i beni o i servizi del professionista.
È definita come vessatoria la clausola contrattuale che provoca un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi reciproci e si precisa che la valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto né all’adaguatezza dei beni e dei servizi. Il codice civile ne ipotizza venti per le quali opera la presunzione relativa di vessatorietà ma la categoria resta una categoria aperta. Alcune clausole vessatorie sono comunque inefficaci, altre sono inefficaci solo se siano state predisposte unilateralmente al di fuori di una trattativa con il consumatore.
L’inefficacia di cui si parla è una inefficacia relativa poiché opera a vantaggio del consumatore e non può essere fatta valere dal professionista. Si tratta inoltre di inefficacia parziale che non colpisce l’intero contratto ma solo la singola clausola definibile come vessatoria.
Il codice civile si limita a richiedere la specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatorie le quali assumono piena efficacia se sono state approvate.

CAPITOLO QUINDICESIMO: LA RAPPRESENTANZA

15.1 Il contratto in nome altrui
Può accadere che una o entrambe le pari del contratto siano soggetti diversi dalle parti del rapporto. È il fenomeno della rappresentanza dove il rappresentante partecipa alla conclusione del contratto e un altro soggetto, il rappresentato, subisce gli effetti giuridici della dichiarazione di volontà del rappresentante. Il potere di rappresentanza può essere conferito dall’interessato (rappresentanza volontaria) oppure derivare dalla legge (rappresentanza legale). Nel primo caso il conferimento ad altri del potere di rappresentanza è manifestazione di autonomia del soggetto. Il contratto concluso dal rappresentante produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato ma il rappresentante deve concludere il contratto in nome del rappresentato, nei limiti delle facoltà conferitegli e nell’interesse del rappresentato. Occorre la cosiddetta spendita del nome ossia il contratto deve essere concluso in nome del rappresentato e se si tratta di contratto scritto deve essere formato con la menzione del suo nome. Se un soggetto agisce in nome proprio omettendo di spendere il nome di colui per il quale agisce il contratto produrrà effetti nei suoi confronti.
Il potere di rappresentanza è inerente ad una qualità del rappresentante e nella rappresentazione volontaria deriva da una dichiarazione di volontà del rappresentato che è la procura, che è un atto unilaterale con il quale un soggetto investe un altro soggetto del potere di rappresentarlo. La procura può essere speciale, ossia riguardare un singolo affare, oppure generale, ossia relativa ad una serie determinata di affari. La procura deve avere la stessa forma del contratto da concludere.
Può accadere che qualcuno contratti come rappresentante senza averne i poteri, oppure i limiti che gli sono stati conferiti; ne consegue che il contratto non produrrà effetti nei confronti del falso rappresentante e tantomeno nei confronti della persona in nome della quale ha agito da falso rappresentante.
La persona in nome della quale il falso procuratore ha contrattato o gli eredi di essa possono però ratificare il contratto e la ratifica ha effetto retroattivo.
Il rischio di imbattersi in un falso rappresentante è dalla legge addossato al terzo contraente che può solo rivolgersi al falso rappresentante e pretendere da questi il risarcimento dei danni. Il danno risarcibile è il cosiddetto interesse contrattuale negativo che corrisponde alla diminuzione patrimoniale che il terzo contraente non avrebbe subito e al vantaggio che il terzo contraente avrebbe ottenuto se non avesse contrattato con il falso rappresentante.
La revoca della procura è un atto unilaterale che però il rappresentato ha difficoltà a portare a conoscenza altrui con mezzi idonei. Anche chi agisce in nome altrui nonostante la revoca della procura è un falso rappresentante ma il rischioi è addossato al rappresentato che si libera solo se prova che il terzo contraente era a conoscenza della revoca o della modificazione della procura o avrebbe potuto venirne a conoscenza usando l’ordinaria diligenza.
Il rappresentante deve contrattare nell’interesse del rappresentato ma può accadere che fra esse vi sia un conflitto di interessi, ossia una situazione in cui gli interessi dei due vengono a trovarsi in concorrenza fra loro. In questo caso il contratto è annullabile su domanda del solo rappresentato. Caso tipico del conflitto di interessi è il caso del rappresentante, che in nome del rappresentato conclude un contratto con se stesso.


15.2 Rappresentanza e ambasceria
Se la procura è stata conferita da persona legalmente incapace di agire il contratto sarà annullabile anche se concluso da rappresentante pienamente capace. Il contratto è valido anche se il rappresentante è un minorenne privo della capacità legale di agire.
I vizi del consenso (errore, dolo, violenza morale) renderanno annullabile il contratto solo se sono vizi della volntà del rappresentante e allo stesso modo gli stati soggettivi devono essere considerati con riguardo alla persona del rappresentante.
Può accadere che alcuni degli elementi del contratto siano predeterminati nella procura. Il rappresentante perciò dichiara una volontà solo in parte sua e da ciò deriva che i vizi del consenso, che riguardino elementi del contratto predeterminati dal rappresentato renderanno annullabile il contratto solo se risulta viziata la volontà del rappresentato e alltrettanto vale per gli stati soggettivi.
Può infine accadere che tutti gli elementi del contratto da concludere siano stati predeterminati dal rappresentato: in questo caso si è di fronte alla cosiddetta ambasceria poiché il rappresentante è un semplice portavoce della volontà altrui. In questo caso i vizi della volontà e gli stati soggettivi che vengono in considerazione sono sempre e soltanto quelli del rappresnetato. È però rilevante l’errore ostativo del portavoce se questi sbagli nel dichiarare la volontà del rapprentato: ciò rende infatti il contratto annullabile.

15.3 Mandato con e mandato senza rappresentanza
Quando l’interno rapporto in base al quale un soggetto riceve una procura da un altro soggetto non è altrimenti qualificabile si dovrà concludere di essere in presenza di un mandato. Il mandato è il contratto con il quale un soggetto (mandatario) si obbliga nei confronti di un altro soggetto (mandante) a compiere uno o più atti giuridici per conto di questo e a riceve a diritto un compenso.
È però possibile che un soggetto conferisca ad un altro un mandato e non anche una procura ed è l’ipotesi del mandato senza rappresentanza e in questo caso il mandatario agirà per conto del mandante ma in proprio nome ed assumerà le obbligazioni derivanti dal contatto con il terzo. Inoltre egli è obbligato a ritrasferire al mandante con un nuovo contratto i diritti che ha acquistato. Del mandato senza rappresentanza si suole parlare come di rappresentanza indiretta. Il terzo contraente non può agire nei confronti del amdante e pretendere da lui l’adempimento del contratto concluso dal mandatario senza rappresentanza.
L’interesse del mandante è fortemente protetto. Per le cose mobili acquistate dal mandatario senza rappresentanza non occorre neppure un contratto di ritrasferimento e al mandate è inoltre concesso esigere direttamente i crediti derivanti dal contratto concluso dal mandatario senza rappresentanza.


CAPITOLO SEDICESIMO: GLI EFFETTI DEL CONTRATTO

16.1 Gli effetti del contratto tra le parti
L’insieme dei diritti e delle obbligazioni reciproche che nascono dal contratto è il rapporto contrattuale. L’adempimento prende il nome di esecuzione del contratto. Sono a esecuzione istantanea i contratti il cui adempimento si esaurisce nel compimento di un solo fatto, si avrà un contratto a esecuzione differita quando sia stato fissato un termine per l’adempimento dell’obbligazione. Sono ad esecuzione continuata o periodica i contratti che obbligano le parti ad una prestazione continua, che può essere di dare, di fare o di non fare. I contratti di durata sono contratti la cui esecuzione si protrae nel tempo anche per molti anni.
Per sciogliere il contratto occorre un nuovo atto atto di autonomia contrattuale, uguale e contrari oal precedente. Il contratto può però consentire ad una o a entrambe le pari il recesso unilaterale. Nei contratti a esecuzione istantanea e in quelli a esecuzione differita la facoltà di recesso può essere esercitata solo prima che il contratto abbia avuto un principio di esecuzione. Al contrario nei contratti ad esecuzione continuata o periodica il recesso è possibile anche se è già iniziata l’esecuzione del contratto. Il recesso quindi scioglie il rapporto contrattuale e non ha effetto retroattivo. Nei contratti plurilaterali il recesso di una parte non comporta scioglimento dell’intero contratto se la sua partecipazione al rapporto contrattuale non deve considerarsi essenziale.
Analoghe regole valgono per la modifica del regolamento contrattuale che non può essere modificato unilateralmente dalle parti.
Per alcuni contratti la legge considera requisito essenziale la previsione di un termine di durata mentre per altri è direttamente stabilito un termine massimo di durata. Per altri contratti è ammessa una durata a tempo indeterminato ma riconoscendo alle parti la facoltà di recesso che può essere recesso puro e semplice, ossia che non richiede giustificazione, o recesso per giusta causa, ossia che deve essere giustificato. Il contratto perpetuo è nullo e può convertirsi in contratto a tempo indetrminato con facoltà di recesso delle parti.

16.2 Continua: contratti con effetti obbligatori e con effetti reali, contratti consensuali e contratti reali
Si parla di effetti obbligatori del contratto quando si fa riferimento alle obbligazioni (di entrambe le parti o di una sola di esse) che dal contratto derivano mentre si parla di effetti reali con riferimento agli effetti prodotti (trasferimento di proprietà e altri diritti) direttamente dal contratto al momento stesso della formazione dell’accordo.
Secondo il principio consensualistico nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di un altro diritto la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti. In ogni caso è superfluo agli effettidel trasferimento della proprietà l’avvenuto pagamento del prezzo poiché nell’economia del nostro tempo le contrattazioni avvengono prevalentemente a credito.
Nella alienazione di beni immobili con pagamento posticipato il vneditore può iscrivere ipoteca legale sul bene venduto a garanzia delle obbligazioni che derivano dal contratto e altrettanto può fare il venditore di beni mobili registrati. Le parti possono anche adottare le forme della vendita con riserva della proprietà per le quali il compratore acquista le proprietà della cosa solo con il pagamento dell’ultima rata del prezzo.
Perché operi il principio consensualistico occorre che il contratto abbia per oggetto il trasferimento di una cosa determinata; se si tratta di cose determinate solo nel genere la proprietà non può passare al momento del contratto ma solo al momento dell’indivuduazione.
Se oggetto del contatto è una massa di cose la proprietà passa secondo il principio consensualistico anche se a determinati effetti le cose debbano essere misurate, ppesate o numerate.
Quando l’oggetto del ocntratto sono merci da trasportare da un luogo all’altro l’individuazione e quindi il passaggio di proprietà avviene al momento della consegna al vettore.
Stabilire il momento in cui la proprietà passa è importante poiché il rischi del perimento della cosa incombe su chi ne è proprietario che dovrà ugualmente pagarne il prezzo e se si tratta di cose di genere occorrerà accertare se sia già avvenuta l’individuazione.
Il contratto si perfeziona con l’accordo delle parti, infatti da quel momento si producono tutti i suoi effetti. In alcuni casi tuttavia non è sufficiente l’accordo delle parti (contratti consensuali) ma occorre anche la consegna della cosa (contratti reali). Nei contratti consensuali la consegna della cosa è adempimento di una obbligazione già sorta al momento dell’accordo mantre nei contratti reali si perfeziona solo con la consegna.
Se con successivi contratti una parte concede a diversi contraenti un diritto personale di godimento sulla medesima cosa prevale tra esse quello che per primo ha conseguito il godimento della cosa.

16.3 Gli effetti del contratto rispetto ai terzi
Per regola generale il contratto vincola le parti ma non produce ffetti verso i terzi. Chi per contratto promette la prestazione di un terzo esprime una valida promessa ma obbliga solo se stesso, se il terzo rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso il promittente dovrà indennizzare il danno subito dall’altro contraente.
Il patto di non alienare contenuto in un contratto è valido ma esso ha effetto solo tra le parti. Se una delle parti viola il patto e aliena ad un terzo l’altro contraente non può rivendicare la cosa presso il terzo e può al massimo chiedere un risarcimento all’alienante. Inoltre il patto di non alienare è valido solo per convenienti limiti di tempo e se risponde ad un apprezzabile interesse di una delle parti.
Il patto di prelazione è un limite contrattuale che si verifica quando un soggetto si obbliga verso un altro soggetto per l’eventualità che intenda alienare un proprio bene: prima di alienarlo ad un terzo egli dovrà offirlo alle stesse condizioni a chi ha conseguito il diritto di prelazione. Quando un diritto di prelazione è riconosciuto dalla legge (prelazione legale) esso è opponibile ai terzi mentre la prelazione contrattuale ha efficacia meramente obbligatoria.
Al momento della conclusione del contratto una delle parti può riservarsi la facoltà di nominare successivamente la persona che acquisterà i diritti e assumerà le obbligazioni derivanti dal contratto. La nomina del contraente deve essere fatta nel termine stabilito nel contratto o in mancanza entro tre giorni e deve essere accompagnata dall’accettazione del terzo. In caso di amncata nomina o di accettazione il contratto produce effetto tra i contraenti originari.
Un eccezione al principio generale è il contratto a favore di terzo e in questo caso il terzo non assume obbligazioni ma acquista diritti. Lo stipulante è colui che contratta a favore del terzo e il promittente è colui che si obbliga verso lo stipulante ad eseguire la prestazione a favore del terzo. Qui non occorre l’accettazione del terzo e può dichiarare di non voler profittare della stipulazione oppure lo stipulante può revocare la stipulazione e la prestazione resta in benificio a egli stesso. La stipulazione è a favore di terzi è valida solo se lo stipulante abbia interesse nel procurare un benificio al terzo pena di nullità.

CAPITOLO DICIASSETTESIMO: RISOLUZIONE E RESCISSIONE DEL CONTRATTO

17.1 La risoluzione del contratto
La causa del contratto può essere onerosa o gratuita. Si distinguono così contratti a titolo oneroso dove la causa risiede nello scambio di prestazioni tra le parti e ciascuna prestazione è rispetto all’altra una controprestazione. Questo rapporto di corrispettività tra le prestazioni è tradizionalmente detto sinallagma ed esprime l’idea di un legame reciproco tra le due prestazioni.
Può però accadere che una delle due parti non adempia alla prestazione generando così un’alterazione della causa del contratto. Si parla a questo riguardo di difetto funzionale della causa che è il difetto che si manifesta in sede di esecuzione del contratto comportando la risoluzione del contratto. Risoluzione non significa altro se non scioglimento del contratto, il contratto è e resta valido ma il rapporto contrattuale si scioglie con effetto retroattivo tra le parti. Rispetto ai terzi invece l’effetto retroattivo non si produce. Per quanto riguarda i contratti ad esecuzione continuata la risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite.
Nei contratti plurilatrerali la risoluzione del contratto rispetto ad una parte non comporta scioglimento dell’intero contratto salvo che la prestazione mancata non debba considerarsi essenziale.

17.2 Risoluzione per inadempimento
L’inadempimento di una parte che comporti risoluzione del contratto deve presentare un requisito ulteriore e cioè si deve trattare di un inadempimento di non scarsa importanza e che l’inadempimento sia tale da non giusticare più la controprestazione.
La risoluzione può assumere due forme.
La risoluzione giudiziale avviene quando una parte non adempie la sua obbligazione e l’altra parte può decidere se citarla in giudizio per l’inadempimento o agire per la risoluzione chiedendo al giudice di essere esonerato dall’eseguire la propria prestazione o se già eseguita chiedere la condanna alla restituzione.
La risoluzione stragiudiziale ha tre forme. Il contratto può essere risolto per inadempimento intimando alla parte inadempiente per iscritto un dato termine (non inferiore a quindici giorni) con l’avvertenza che altrimenti il contratto si intenderà risolto di diritto. Altra forma di risoluzione può essere prevista dal contratto con il nome di clausola risolutiva espressa tramite la quale le parti possono convenire che se una di esse risulterà inadempiente il contratto si risolverà di diritto ma occorre che la parte adempiente dichiari all’altra che intende valersi della clausola risolutiva. Infine il contratto è risolto per inadempimento se per la prestazione di una parte era stabilito un termine da considerarsi essenziali per l’altra parte e questa può ancora richiedere la prestazione entro tre giorni dalla scadenza del termine.
Il rapporto di corrispettività fra le prestazioni contrattuali legittima anche ciascuna parte al rifiuto di adempiere la propria prestazione se l’altra parte non adempie o non si offra di adempiere contemporaneamente la propria (eccezione di adempimento). Analoga è l’eccezione basta sul mutamento delle condizioni patrimoniali dell’altro contraente, in questo caso la parte può sospendere l’esecuzione della prestazione dovuta salvo che l’altra parte non offra idonee garanzie. La parte inadempiente è in ogni caso tenuta a risarcire il danno cagionato dalla controparte.
La parte che chiede il risarcimento del danno ha l’onere di provare di avere subito un danno per l’altrui inadempimento. Il contratto può però prevedere una penale con il duplice effetto di dispensare dall’onere di provare il danno e di limirare il risarcimento all’ammontare della penale pattuita. La penale è prevista dal contratto ma è versata solo in caso di inadempimento o di ritardo. Diversa è la caparra che è una somma di denaro che una parte dà all’altra nel momento stesso della conclusione del contratto. Possono allora verificarsi tre condizioni. Se la parte che ha versato la caparra adempie il contratto l’altra parte dovrà restituirgliela o imputarla alla prestazione dovuta, se la parte che ha dato la caparra non adempie il contratto l’altra parte può trattenere la caparra e recedere dal contratto, infine se è inadempiente la parte che ha ricevuto la caparra chi l’ha data può esigere il doppio della caparra e recedere dal contratto. La caparra penitenziale è invece sempre data al momento della conclusione del contratto come corrispettivo del recesso.

17.3 Risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione, risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta
L’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore comporta l’estinzione dell’obbligazione, ne consegue che la parte liberata dall’obbligazione non può chiedere la controprestazione e se l’ha già ricevuta deve restituirla. Può accadere che la prestazione sia diventata impossibile per causa imputata al creditore e si può prospettare una duplice soluzione e cioè che il contratto non si risolva obbligando il creditore ad eseguire la prestazione oppure che ciò produrrà risoluzione del contratto e liberazione del debitore. L’impossibilità sopravvenuta della prestazione può essere solo parziale e l’altra parte ha diritto a una riduzione della controprestazione dovuta.
Non c’è solo un rapporto di corrispettività tra le prestazioni, c’è anche un rapporto di corrispettività del valore economico delle due prestazioni. Per questo motivo si parla di contratti commutativi che sono quei contratti a prestazioni corrispettive che hanno la funzione di attuare uno scambio fra prestazioni economicamente equivalenti onde le vicende che modificano il valore di una prestazione influiscono sulla controprestazione e sul contratto stesso.
Questo carattere di commutatività si manifesta nella risoluzione del contratto per eccessiva onerosià sopravvenuta e riguarda i contratti destinati a protrarsi nel tempo. Se sopraggiungono eventi straordinari e imprevedibili che modificano il valore di una delle prestazioni la parte per cui la prestazione è diventata eccessivamente onerosa può domandare la risoluzione giudiziale del contratto e l’altra può offrirsi di modificare equamente le condizioni contrattuali considerando che l’onerosità avvenuta deve essere eccessiva.
Le norme sulla risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta non si applicano ai contratti aleatori nei quali un contraente si obbliga ad una prestazione ma è incerto al momento della conclusione del contratto se gli sarà dovuta la controprestazione, accetta perciò il rischio di dover eseguire la propria prestazione senza ricevere nulla in cambio (il contratto può essere aleatorio per sua natura o per volontà delle parti).

17.4 La rescissione del contratto
Di regola è invece irrilevante lo squilibri economico originario tra le prestazioni. A questo principio generale sono portati però due temperamenti che vanno sotto il nome di rescissione del contratto e indica lo scioglimento del contratto per due specifiche cause.
Una prima causa di rescissione investe il contratto concluso in stato di pericolo come chi per contratto assume obbligazioni a condizioni inique. Seconda e più frequente causa è l’ipotesi di contratto in stato di bisogno ossia per cui la sproporzione è dipesa dalla situazione di bisogno economico di una parte della quale ha approfittato l’altra. Occorre che sia una lesione oltre la metà, la prestazione dovuta deve essere cioè inferiore alla metà del valore che la prestazione avrebbe avuto al tempo del contratto. La parte contro cui è richiesta la rescissione del contratto può evitarla offrendo di modificare le condizioni del contratto e ricondurle ad equità. Gli effetti della rescissione rispetto ai terzi sono regolati in modo corrispondente alla risoluzione.
L’azione di rescissione è soggetta al termine di prescrizione di un anno e al medesimo termine è sottoposta l’eccezione di rescissione se la parte che ha tratto vantaggio dall’altrui stato di pericolo o bisogno chiede l’esecuzione del contratto decorso un anno dalla sua conclusione, l’altra parte non può eccepirgli la rescindibilità del contratto.

CAPITOLO DICIOTTESIMO: CRITERI DI COMPORTAMENTO DEI CONTRAENTI E DI INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO

18.1 La buona fede contrattuale
Il generale criterio di comportamento delle parti contraenti è quello della buona fede che è anche criterio di interpretazione del contratto, che non ha altro significato se non correttezza e lealtà. Le regole non scritte della correttezza e della lealtà sono regole di costume e spetta al giudice stabilire ciò che è secondo buona fede e ciò che è contrario alla buona fede. Il dovere di buona fede opera nello svolgimento delle trattative con il carattere di informazione di una parte nei confronti dell’altra. Chi violando il dovere di buona fede nelle trattative contrattuali ha cagionato un danno all’altra parte è tenuto a risrcirlo (responsabilità precontrattuale). Una specifica ipotesi di responsabilità precontrattuale è prevista dalla legge e prevede che chi conoscendo l’esistenza di una causa di invalidità del contratto non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuto a risarcire il danno considerando che potrebbe esserci anche l’interesse contrattuale negativo cioè il danno emergente e il lucro cessante. La buona fede opera anche nella esecuzione del contratto e la legge obbliga di comportarsi secondo buona fede in pendenza della condizione e il divieto di rifiutare la propria prestazione avvalendosi dell’eccezione di inadempimento se il rifiuto è contrario alla buona fede. La buona fede nell’esecuzione del contratto può comportare anche l’adempimento degli obblighi non previsti dalla legge (obbligazioni accessorie). La violazione del dovere di buona fede può anche configurarsi come abuso del diritto e accade quando un contraente esercita verso l’altro i diritti che gli derivano dalla legge o dal contratto per realizzare uno scopo diverso da quello cui questi diritti sono preordinati. La violazione del dovere di buona fede comporta di regola l’obbligazione di risarcire il danno che si è cagionato alla controparte. Quando per l’efficacia del recesso non è richiesta una giusta causa l’effetto estintivo del vincolo contrattuale dovrebbe prodursi per mera volontà del recedente.

18.2 L’interpretazione del contratto
Il contratto, quando non è tacito, è fatto di parole scritte in un documento o dette a voce ed il senso delle parole può dare luogo a controversie. I criteri di interpretazione enunciati dalla legge sono di duplice ordine. Alcuni sono detti criteri di interpretazione soggettiva e si basano sulla ricerca della comune intenzione delle parti, altri sono detti di interpretazione oggettiva e si rifanno al concetto di buona fede contrattuale o ad altri oggettivi elementi non riconducibili alla volontà delle parti.
Il primo ordine di criteri muove dal principio che si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole usate. L’interpretazione secondo l’intenzione delle parti può modificare la qualificazione del contratto e a questo riguardo vale la regola secondo la quale il nome dato dalle parti al contratto non è vincolante. Un primo carattere per valutare le reali intenzioni delle parti è il criterio di carattere storico secondo il quale occorre valutare il comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto, un secondo criterio è di carattere logico per cui bisogna interpretare le singole clausole le une per mezzo delle altre attribuendo a ciascuna il significato che risulta dal complesso del contratto.
Un generale criterio di interpretazione oggettiva è quello secondo il quale il contratto deve essere interpretato secondo buona fede e impone di dare al contratto il significatoche gli attribuerebbero contraenti corretti e leali.
Altri criteri oggettivi valgono per le clausole ambigue ossia per le clausole contrattuali alle quali si possono attribuire più sensi e devono essere intese nel senso più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto.
Vale ancora il principio di conservazione del contratto cioè che la clausola si interpreta nel senso in cui è valida ed efficace piuttosto che in quello per cui invalida. La clausola ambigua si interpreta secondo ciò che generalmente si pratica nel luogo in cui il contratto è stato concluso. Le clausole che pongono generali condizioni di contratto si interpretano a sfavore dell’autore della clausola. Il contratto a titolo oneroso si interpreta nel senso che realizzi un equo contemperamento degli interessi delle parti mentre il contratto a titolo gratuito si interpreta nel senso meno gravoso per il contraente obbligato. Vi è l’abitudine di inserire nel contratto una serie di definizioni con le quali si precisa il senso delle locuzioni adoperate nel regolamento contrattuale.

18.3 Tendenze generali del diritto dei contratti
Una prima tendenza si lega al ripudio del legislatore del 1942 della categoriad el negozio giuridico basata sull’esaltazione della volontà ed è la tendenza verso l’oggettivazione dello scambio contrattuale. L’oggettivazione dello scambio tende da un lato a far prevalere la dichiarazione sulla volontà quando la divergenza tra la prima e la seconda non sia riconoscibile dal destinatario della dichiarazione e tende a spostare l’asse del contratto dal requisito del consenso a quello della causa.
La presupposizione è una causa di risoluzione del contratto non prevista dalla legge e consiste in un presupposto oggettivo del contratto che le parti hanno avuto presente al momento della sua conclusione ma che non hanno menzionato nel contratto, al successivo venir meno di questo presupposto viene ricollegata la possibilità di ottenere dal giudice la risoluzione del contratto.
L’opposta soluzione tende a basarsi sull’applicazione delle clausole generali di buona fede nell’interpretazione e nell’esecuzione del contratto e si dà rilievo prevalente al sopraggiunto venir meno della funzione del contratto e al fatto che l’evento sopraggiunto ha prodotto una alterazione funzionale della causa rendendo non più giustificato lo scambio fra le prestazioni contrattuali.

CAPITOLO DICIANNOVESIMO: I FATTI ILLECITI

19.1 La responsabilità da fatto illecito
Il fatto illecito è qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto. L’obbligazione che ne deriva è in particolare quella di risarcire il danno che il fatto illecito ha cagionato. Se nel contratto la responsabilità per danni del contraente inadempiente è detta responsabilità contrattuale quella causata da fatto illecito è detta responsabilità extracontrattuale.
Per indicare la responsabilità per danni si parla anche di responsabilità civile e la si contrappone a quella penale per cui è esposto l’autore di un fatto illlecito previsto dalla legge come reato.
Il fatto illecito presenta elementi oggettivi (il fatto, il danno) ed elementi soggettivi (il dolo, la colpa).
Il fatto è un comportamento umano commissivo (consistente in un fare) od omissivo (consistente in un fare). Però il fatto omissivo è fatto illecito solo se il soggetto la cui omissione ha cagionato il danno aveva l’obbligo di evitarlo.
Il danno ingiusto è la lesione di un interesse altrui meritevole di protezione secondo l’ordinamento giuridico.
Il principio della risarcibilità di ogni danno qualificabile come ingiusto è una clausola generale e la valutazione è rimessa al giudice.
In alcune serie di casi la presenza del requisito della ingiustizia è fuori discussione.
Un caso è quando sia stato leso un diritto della personalità oppure un diritto reale, quando l’uccisione di una persona comporti lesione del diritto al mantenimento oppure del diritto agli alimenti dei suoi familiari. In tutti questi casi si èritenuto ingiusto il danno consistente nella lesione di un diritto assoluto. Ma la giurisprudenza ammette che ci sia danno ingiusto anche quando sia stato leso un diritto relativo anche estraneo ai rapporti di famiglia e in particolare un diritto di credito. Considera danno ingiusto anche quando il terzo abbia solo temporaneamente reso impossibile la prestazione del debitore o quando il terzo sia corso nell’inadempimento del debitore o istigandolo a non adempiere o rendendosi comunque partecipe dell’inadempimento.
Fuori dalla lesione del credito si collocano altre ipotesi di danno giudicato risarcibile e così si considera danno ingiusto anche quando sia stata lesa la libertò contrattuale oppure quando sia stata lesa, anziché un diritto, una situazione di fatto che appaia meritevole di protezione.
Il concetto di danno ha anche un estremo negativo poiché deve trattarsi di un danno che non sia stato cagionato nell’esercizio di un diritto (caso tipico è il licenziamento con giustificato motivo).
In due casi la legge esclude in modo esplicito che il danno sia ingiusto. Uno è la legittima difesa che per essere legititma deve essere proporzionata all’offesa, presente o temuta. L’altro caso è quello dello stato di necessità che avviene quando si cagiona danno ad un innocente perché lo si è costretti a fare per salvare sé o altri da un pericolo attuale di danno grave alla persona, occorre però che il pericolo non sia stato da lui volontariamente cagionato. Nel caso della legittima difesa si è del tutto esonerati dal risarcimento dei danni cagionati, in quello di stato di necessità il giudice può condannare il danneggiante a corrispondere un’equa indennità.
Nel rapporto di casualità tra il fatto e il danno deve esserci un rapporto di causa ed effetto per cui possa dirsi che il rpimo ha cagionato il secondo, occorre quindi che il fatto dannoso appaia come conseguenza immediata e diretta del fatto commesso. Risponde del danno chi ne pone in essere una causa, non chi ne pone in essere una semplice occasione.
Il dolo è l’intenzione di provocare l’evento dannoso mentre la colpa è la mancanza di diligenza, di prudenza o di perizia che provoca un danno non voluto. L’onere di provare il dolo o la colpa spetta al danneggiato.

19.2 La responsabilità indiretta
Per regola generale l’obbligazione di risarcire il danno incombe su colui che ha commesso il fatto ma ha questa regola vi è l’eccezione che prevede l’ipotesi per la quale è responsabile del danno un soggetto diverso da quello che ha commesso il fatto. Queste ipotesi sono prevedono la responsabilità dei padroni e dei committenti quindi se il danno è commesso da un dipendente nell’esercizio delle mansioni a lui affidate del danno risponde oltre che il dipendente anche il suo datore di lavoro, la responsabilità dei sorveglianti di incapaci che prevede che nel caso in cui a commettere il fatto sia un incapace di intendere e di volere questi non ne risponda a meno che l’incapacità non derivi da sua colpa mentre ne risponde chi è tenuto alla sua sorveglianza. Per quanto la responsabilità di genitori, tutori e precettori i primi sono responsabili dei fatti illeciti commessi dai figli minori, il tutore lo è per i minori e gli interdetti affidati alla sua tutela e i precettori del danno causato dai loro allievi. Questi ultimi due possono liberarsi da responsabilità provando di non aver potuto impedire il fatto. Per quanto riguarda la responsabilità del proprietario del veicolo questi ne risponde in solido con il conducente a meno che non provi che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà.

19.3 La responsabilità oggettiva
Le ipotesi nelle quali si risponde di un fatto produttivo di danno anche se lo si è commesso senza dolo e senza colpa sono tradizionalmente classificate come ipotesi di responsabilità oggettive. La responsabilità oggettiva si basa sulla sola esistenza fra il fatto e l’evento dannoso di un rapporto di causalità. I casi più importanti di esponsabilità oggettive sono l’esercizio di attività pericolose cosicchè chi cagiona un danno ad altri nello svolgimento di attività pericolose è tenuto al risarcimento a meno che non provi di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno e questa prova liberatoria non verte sulle modalità del fatto che ha cagionato il danno ma sulle modalità di organizzazione dell’attività pericolosa che debbono apparire idonee a prevenire l’eventualità di eventi dannosi.
Nei casi di danni provocati da animali o danni a cose in custodia ci si libera solo con la prova del caso fortuito, ossia di uno specifico avvenimento inevitabile che da solo ha creato le condizioni dell’evento dannoso escludendo il rapporto di causalità tra il comportamento del soggetto e l’evento dannoso.
Se un edificio o altra costruzione crolla provocando danni a cose o persone ne risponde il proprietario salva la prova che il crollo non è dovuto a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione.
Il conducente alla guida di veicoli senza guida di rotaie è responsabile del danno provocato dalla circolazione del veicolo anche se non è in colpa ossia nonostante la guida diligente del mezzo e si libera da responsabilità solo con la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
Il carattere oggettivo della responsabilità è reso ancora più grave dal principio secondo il quale si risponde del danno anche se questo deriva da vizi di costruzione o da difetti di manutenzione del veicolo. Per lo scontro tra veicoli vale una presunzione vera fino a prova contraria che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a cagionare il danno subito dai singoli veicoli.

19.4 Il risarcimento del danno
Chi è responsabile del danno deve risarcire al danneggiato una somma di denaro che si calcola secondo i principi generali sulla valutazione dei danni e si ritiene perciò che tale somma comprenda anche il danno non prevedibile al momento del fatto illecito. In luogo del risarcimento in denaro si può ottenere una reitegrazione in forma specifica ossia il ripristino della situazione preesistente. Il danno permanente alle persone può essere liquidato in forma di rendita vitalizia. Il danno risarcibile è solo il danno patrimoniale ossia il danno suscettibile di valutazione economica mentre il lucro cessante è valutato dal giudice.
I danni non patrimoniali (danni morali) consistenti nelle sofferenze fisiche e psichiche del danneggiato sono risarcibili solo nei casi espressi dalla legge e vengono liquidati dal giudice in via equitativa.
Diverso dal danno patrimoniale è il danno biologico cioè la lesione dell’integrità psico-fisica della persona quale bene protetto in sé e per sé.
Se più persone sono responsabili del medesimo danno esse ne rispondono solidamente, il danneggiato può esigere il pagamento da uno solo di essi indipendentemente dalla sua quantità di colpa e quest’ultimo può fare azione di regresso verso gli altri.

19.5 Espansione della responsabilità oggettiva: il danno da prodotti
Una qualità che si richiede ad ogni prodotto industriale è la possibilità di essere usato in condizioni di sicurezza senza pregiudizio per l’integrità fisica e per i beni dell’utente. La responsabilità imposta al produttore prescinde dalla prova della sua non colpa ma non è una responsabilità per rischio di impresa, la responsabilità è invece collegata al fatto di avere messo in circolazione un prodotto difettoso.


CAPITOLO VENTESIMO: ALTRI ATTI O FATTI FONTE DI OBBLIGAZIONI

20.1 Altri atti: le promesse unilaterali
La categoria degli atti che producono obbligazioni è omogenea alla categoria dei contratti poiché l’obbligazione sorge per effetto di una dichiarazione di volontà. La categoria dei fatti che producono obbligazioni è omogenea alla categoria dei fatti illeciti poiché l’obbligazione sorge indipendentemente dalla volontà dell’obbligato.
Con il nome di promesse unilaterali si indicano quelle dichiarazioni di volontà per le quali un soggetto detto promittente è obbligato ad eseguire una data prestazione per il solo fatto di averla unilateralmente promessa indipendentemente dalla accettazione del soggetto a favore del quale la prestazione deve essere eseguita. Le promesse unilaterali hanno il carattere della tipicità ossia producono effetti solo nei casi ammessi dalla legge. Nella categoria delle promesse unilaterali rientrano la promessa di pagamento e la ricognizione di debito.
Una indiscussa fonte di obbligazione è invece la promessa al pubblico ed è la dichiarazione di chi rivolgendosi al pubblico promette una prestazione a chi si trova in una data situazione o compie una data azione e il promittente è vincolato dalla sua unilaterale dichiarazione non appena questa è resa pubblica. Il promittente è vincolato per un anno salvo che alla promessa non sia apposto un termine diverso. Finchè il termine non è scaduto il promittente può revicare la promessa solo per giusta causa e solo rendendo pubblica la revoca nella stessa forma.

20.2 Altri fatti: la gestione di affari
È il caso di chi si comporta come mandatario altrui senza averne ricevuto alcun mandato e può accadere quando in assenza dell’interessato altri si preoccupa di curare i suoi interessi. Come il mandatario il gestore può agire in nome proprio o in nome dell’interessato assumendo nel secondo caso posizione corrispondente a quella del mandatario con rappresentanza. Da questo comportamento del gestore di affari altrui discendono due serie di obbligazioni: il gestione è tenuto a continuare la gestione dell’affare per il solo fatto di averla cominciata e l’interessato è tenuto ad adempiere le obbligazioni che il gestore ha assunto in suo nome e a rimborsargli le spese affrontate. Perché sorgano le obbligazioni è sufficiente che la gestione sia stata utilmente iniziata e non occorre che abbia dato il risultato sperato.

20.3 Continua: il pagamento di indebito, l’arricchimento senza causa
Il pagamento di indebito è l’esecuzione di una prestazione non dovuta. Può trattarsi di indebito oggettivo per cui la prestazione eseguita non ha alcuna valida giustificazione. Quindi se il pagamento fatto si rivela privo di causa diventa fonte di una obbligazione di restituire ciò che si è indebitamente ricevuto e il diritto correlativo di ripetere ciò che si è indebitamente dato.
Quest’ultimo diritto viene meno in due ordini di ipotesi. Quando la prestazione è eseguita in esecuzione delle obbligazioni morali (doveri morali e sociali). Queste non sono del tutto irrilevanti per il diritto poiché non se ne può pretendere l’adempimento in sede di giudizio né tuttavia chi le ha spontaneamente date le può ripetere (tranne l’ipotesi in cui ad averle adempiute sia un incapace). Nel caso di prestazioni contrarie al buon costume il contratto che le prevede è nullo ma chi in esecuzione del contratto abbia eseguito la prestazione non può ripetere ciò che ha dato. La ripetizione è perciò ammessa quando lo scopo contrario al buon costume non è comune ma proprio solo dell’altra parte.
L’indebito è soggettivo quando per errore scusabile si paga un debito altrui credendolo proprio e dà luogo a ripetizione.
Può accadere che tra due soggetti si verifichi, senza giustificazione, uno spostamento patrimoniale tale per cui uno subisca danno e l’altro si arricchisca. Un esempio può essere l’avulsione ma ciò può verificarsi anche per fatto dell’uomo così chi credendosi proprietario della cosa altrui la usa in buona e se si tratta di cosa fungibile questa si consuma cagiona danno al proprietario ma non ha commesso un fatto illecito perché non ha agito con dolo o con colpa.
Chi senza una giusta causa si è arricchito a danno di un altro è tenuto nei limiti dell’arricchimento a indennizzarlo della correlativa diminuzione patrimoniale, ossia corrispondergli la minima somma tra l’ammontare del danno altrui e quello del proprio arricchimento.
L’azione di arricchimento è un’azione generale e sussidiaria: è generale perché esperibile in una serie limitata di ipotesi e sussidiaria perché proponibile solo quando il danneggiato non può esercitare nessun’altra azione per farsi indennizzare dal pregiudizio subito.

CAPITOLO VENTUNESIMO: RESPONSABILITA’ DEL DEBITORE E GARANZIA DEL CREDITORE

21.1 La responsabilità patrimoniale
Il debito è il dovere del debitore di eseguire una certa prestazione di valore economico e il credito è il diritto del creditore di esigere tale prestazione. Il principio della responsabilità patrimoniale del debitore afferma che egli risponde dell’adempimento con tutti i suoi beni presenti e futuri che costituiscono la garanzia del credito (quindi la sua responsabilità è illimitata).
Il debito ha per oggetto quella specifica prestazione che è stata dedotta in obbligazione, la responsabilità ha per oggetto il patrimonio del debitore e il credito è il diritto ad una data prestazione dedotta in obbligazione mentre la garanzia del credito è l’intero patrimonio del debitore.
Il rapporto fra debito e responsabilità si manifesta in varie fasi del rapporto obbligatorio. Anzitutto se si tratta di obbligazioni da contratto si manifesta nella stessa fase costitutiva del rapporto obbligatorio. Si manifesta inoltre nella fase estintiva del rapporto obbligatorio e la responsabilità patrimoniale del debitore è preordinata all’eventualità che il debitore non esegua la prestazione dovuta. In tal caso il creditore potrà procedere alla esecuzione forzata. Si tratterà di esecuzione forzata in forma generica se il credito ha per oggetto la consegna di una somma di denaro. Se invece non è adempiuta una obbligazione di consegnare, di fare o di non fare ilcreditore potrà procedere all’esecuzione forzata in forma specifica, e così l’ufficiale giudiziario preleverà presso il debitore le cose che questi si è rifiutato di consegnare e le consegnerà al creditore con spese a carico del debitore. Ma se l’esecuzione in forma specifica non è possibile il creditore potrà avvalersi della sola esecuzione in forma generica costringendo il debitore al risarcimento del danno. Questo rapporto si manifesta anche nella fase intermedia e qui assumono importanza le vicende che possono investire il patrimonio del debitore, se questo si riduce pregiudica la garanzia del creditore. Il creditore è allora legittimato a utilizzare diverse misure di tutela preventiva del credito.

21.2 Le garanzie reali: il pegno
Il patrimonio del debitore è la garanzia del creditore ma è solo una garanzia generica. Una garanzia specifica che dia al creditore la certezza di potersi soddisfare su un certo bene è rappresentata dalla costituzione di pegno o ipoteca. Hanno tra loro in comune la funzione di vincolare un dato bene a garanzia di un dato credito (il bene può essere dello stesso debitore o di un terzo). Il pegno si costituisce su cose mobili, su universalità di mobili e su diritti di credito mentre l’ipoteca su beni immobili, diritti reali immobiliari e su beni mobili registrati.
Sono garanzie reali e li si definisce come diritti reali di garanzia su cosa altrui. Il bene in pegno o in ipoteca può essere alienato dal proprietario ma il creditore, detto creditore pignoratizio o ipotecario acquista un duplice diritto. Il diritto di procedere ad esecuzione forzata sul bene anche nei confronti del terzo acquirente e ha il diritto di soddisfarsi sul prezzo ricavato dalla vendita forzata del bene con preferenza rispetto agli altri eventuali creditori del medesimo debitore (diritto di prelazione).
La cosa dato in pegno o in ipoteca ha di solito un valore superiore all’ammontare del credito e di questo maggior valore il creditore non può approfittarsi.
Il pegno si costituisce per contratto che deve risultare da atto scritto che quando si tratta di cose mobili si perfeziona con la consegna della cosa al creditore e quando si tratta di crediti con la notificazione del pegno. La realità del pegno comporta lo spossessamento del proprietario ed assolve la funzione di porre i terzi nella condizione di rendersi conto che si tratta di cosa della quale l’alienante non ha la piena disponibilità. Il pegno di cose si può acquistare a titolo originari oda non proprietario se in buona fede ma non può essere oggetto di usucapione.
Se il debitore paga il creditore dovrà restituirgli la cosa, se non paga può far vendere la cosa ad un mediatore autorizzato o chiedere al giudice che gli venga assegnata in proprietà e l’eventuale eccedenza andrà al debitore. Per quanto riguarda il pegno di crediti il creditore pignoratizio è tenuto alla scadenza a riscuotere il credito. Si parla di pegno irregolare quando la cosa data in pegno è una somma di denaro o altre quantità di cose fungibili non individuate che passate in proprietà al creditore questi dovrà restituire l’equivalente al momento dell’adempimento.

21.3 Continua: l’ipoteca
L’ipoteca ha per oggetto beni immobili e beni mobili iscritti in pubblici registri e richiede una specifica formalità che è l’iscrizione in pubblici registri. Può avere tre diverse fonti. L’ipoteca volontaria si basa su un contratto fra debitore e creditore o su atto unilaterale del debitore. L’ipoteca giudiziale si basa su una sentenza di condanna al pagamento di una somma di denaro. L’ipoteca legale può essere iscritta nei casi previsti dalla legge e hanno diritto ad essa l’alienante di un bene immobile o di un bene mobile registrato che non sia stato pagato dall’acquirente, ciascun coerede sugli immobili dell’eredità. L’ipoteca giudiziale si costituisce per iniziativa del creditore .
Il contratto o l’atto unilaterale per l’ipoteca volontaria sono semplicemente titolo per ottenere la costituzione dell’ipoteca poiché questa si costituisce solo con l’iscrizione nei registri (pubblicità costitutiva).
Su un medesimo bene si possono iscrivere più ipoteche a garanzia di crediti diversi e ogni successiva ipoteca è in ordine di tempo contrassegnata da un numero che prende il nome di grado.
L’iscrizione conserva il suo effetto per venti anni trascorsi i quali si estingue salvo che ad istanza del creditore non venga rinnovata prima della scadenza.
L’ipoteca è una garanzia reale e il bene ipotecato può essere venduto ma chi lo compera compera un bene gravato da ipoteca, si trasmette agli eredi sempre gravato di ipoteca.
Alla scadenza del credito il creditore non pagato ha diritto di promuovere la vendita forzata del bene anche in confronto al terzo acquirente ma questi ha tre possibilità. Può pagare lui stesso il creditore e i creditori ipotecari liberando il bene dall’ipoteca, effettuare il rilascio del bene ipotecato ossia rinunciare alla proprietà con un apposita dichiarazione o infine libera il bene dall’ipoteca offrendo al creditore una somma pari al prezzo di acquisto del bene. Il terzo acquirente ha azione di regresso nei confronti del debitore per essere da lui indennizzato.
L’ipoteca è speciale e indivisibile poiché grava solo su beni specificatamente indicati e solo per una di denaro determinata. Se il credito si è parzialemente estinto o se il valore dei beni sia aumentato si può ottenere la riduzione dell’ipoteca.
L’ipoteca si estingue con la sua cancellazione dal registro che è formalità altrettanto necessaria per estinguerla quanto lo è oer costituirla. Per la sua estinzione occorre un titolo che può essere l’estinzione dell’obbligazione o la rinuncia espressa del creditore dell’ipoteca.

21.4 Le garanzie personali: la fideiussione
La fideiussione avviene quando una persona che garantisce, con il proprio patrimonio, l’adempimento di una obbligazione altrui. La fideiussione è efficace anche se il debitore non ne è a conoscenza. L’effetto della fideiussione è la responsabilità solidale nei confronti del creditore che può esigere il pagamento dall’uno o dall’altro senza necessità di rivolgersi prima al debitore principale. Il creditore decade dal suo diritto verso il fideiussore se, scaduta l’obbligazione, non agisce in giudizio contro il debitore principale entro sei mesi dalla scadenza. La volontà di assumere una obbligazione fideiussoria deve essere espressa.
Il fideiussore diventa egli stesso debitore ma la sua è una obbligazione accessoria rispetto all’obbligazione garantita. La causa della fideiussione è la garanzia di un debito altrui e non può eccedere ciò che è dovuto dal debitore. Se il creditore si rivolge al debitore principale e questi paga decadendo l’obbligazione principale decade anche ls fideiussione. Il fideiussore ha diritto all’azione di regresso verso il debitore per riottenenre ciò che ha pagato ma perde questa azione se avendo omesso di dare notizia dell’avvenuto pagamento al debitore questi ha comunque pagato il debito. Ancora prima di avere pagato il fideiussore può agire nei confronti del debitore principale perché gli presti idonee garanzie per il regresso. Si può prestare fideiussione anche per una obbligazione futura purchè sia previsto un importo massimo garantito ed è valida anche la fideiussione omnibus con la quale si garantiscono tutte le future obbligazioni di un soggetto verso un altro soggetto. Il amdato di credito con il quale un soggetto si obbliga verso un altro soggetto a fare un credito ad un terzo in nome e per conto proprio.

21.5 Il concorso dei creditori e le cause di prelazione
Nei rapporti tra più creditori di un medesimo debitore la regola generale è la parità di trattamento e se più creditorri promuovono la vendita forzata dei beni del comune debitore ciascuno si soddisferà sul ricavato della vendita in proporzione con l’ammontare dei rispettivi crediti. A questa regola fanno eccezione le cause di prelazione le quali consistono nel diritto di preferenza che è riconosciuto dalla legge a determinati crediti.
I privilegi sono diritti di preferenza accordati dalla legge a determinati crediti in considerazione della causa del credito ossia della specifica natura del rapporto dal quale derivano. Il privilegio può essere generale, cioè spettare su tutti i beni mobili del debitore, o speciale che spetta su determinati beni mobili o immobili. I creditori non muniti di cause di prelazione sono detti creditori chirografari in opposizione ai creditori privilegiati.
Il privilegio generale è riconosciuto in considerazione dell’esigenza di assicurare il soddisfacimento prioritario di categorie professionali che dalla realizzazione del credito traggono i mezzi di sostentamento. Il privilegio speciale si basa su specifica connessione fra il credito e la cosa. Il privilegio speciale ha diritto di seguito, la segue cioè anche se sia stata acquistata da terzi.

21.6 I mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale
Il creditore può valersi di specifici mezzi di conservazione della sua garanzia patrimoniale. Con l’azione revocatoria se il debitore compie atti di disposizione del suo patrimonio che rechino pregiudizio alle ragioni del creditore questi può chiedere al giudice che l’atto di disposizione a lui pregiudizievole sia dichiarato inefficace nei suoi confronti. Il creditore che esercita questa azione deve provare il fatto oggettivo del pregiudizio che l’atto di disposizione ha arrecato alle sue ragioni e il fatto soggettivo della conoscenza di questo pregiudizio da parte del debitore e da parte del terzo acquirente, e se l’atto di disposizione del quale chiede la revoca è anteriore al sorgere del credito l’ulteriore fatto della dolosa preordianzione da parte del debitore e del terzo acquirente. L’azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell’atto.
L’azione surrogatoria può essere chiesta quando il debitoe trascuri di esercitare i propri diritti ledendo così la garanzia patrimoniale dei propri creditori. Ciascun creditore potrà così surrogarsi al debitore ed esercitare le azioni che spettano al debitore verso i terzi.

21.7 Altri mezzi di tutela preventiva del credito
La decadenza del debitore insolvente dal beneficio del termine può essere attuata dal creditore quando nella fase intermedia il debitore diventi insolvente permettendo al creditore di esigere immediatamente la prestazione e di concorrere sul patrimonio del debitore insieme agli creditori.
Il diritto di ritenzione avviene quando il creditore detenga una cosa del debitore rifiutandosi di restituirla fino a quando il suo credito non verrà soddisfatto ed è opponibile ai terzi. A questo diritto può accompagnarsi un privilegio del creditore che gli permette di soddisfarsi sulla cosa ritenuta rispetto agli altri creditori.
Il pegno gordiano è il caso in cui il creditore pignoratizio dopo essere stato pagato del credito garantito da pegno può esercitare il diritto di ritenzione sulla cosa già ricevuta in pegno a prottezione di un nuovo credito verso il medesimo debitore.
Un altro mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale è il sequestro conservativo. Se il creditore ha timore che il debitore possa disperdere il proprio patrimonio può domendare il sequestro di tutti o di alcuni di quei beni e il giudice glielo concede se si convince che probabilmete il credito esiste. I beni sequestrati vengono dati in custodia ad una persona e se risulterà che il credito non esisteva i beni verranno liberati e il preteso debitore avrà diritto al risarcimento dei danni.

CAPITOLO VENTIDUESIMO: CIRCOLAZIONE E ALTRE VICENDE DEL CREDITO E DEL CONTRATTO

22.1 La cessione del credito
Anche i crediti al pari dei beni possono circolare, ossia passare da un soggetto all’altro con l’effetto di sostituire all’originario creditore un nuovo creditore. La cessione di crediti non ha bisogno del consenso del debitore. La cessione del credito può essere a titolo oneroso o a titolo gratuito ed è l’oggetto di un contratto traslativo di diritti. Sono esclusi dal cedimento i crediti a carattere strettamente personale.
La cessione del credito è efficace nei confronti del debitore solo dal momento in cui è stata notificata a questo ed è stata da questo accettata e se dopo quel momento paga nelle mani del cedente paga male e può essere costretto a pagare una seconda volta. Se il medesimo credito è stato ceduto a più persone prevale quello che è stato notificato per primo al debitore.
La cessione fa acquistare il credito a titolo derivativo e il cessionario è esposto alle stesse eccezioni che il debitore ceduto avrebbe potuto opporre al cedente. Il credito ceduto può essere un credito inesistente e inoltre può accadere che pur trattandosi di un credito esistente il debitore ceduto non adempia. Se la cessione del credito è a titolo oneroso deve garantire l’esistenza del credito mantre il cedente non è tenuto a garantire la solvenza del debitore ceduto. Ma con apposita clausola salvo buon fine si può pattuire che il cedente garantisca la solvenza del debitore ceduto cosicchè se il debitore non paga il cessionario può rivolgersi al cedente.

22.2 La delegazione, l’accollo, l’espromissione
Si può essere allo stesso tempo debitori di un soggetto e creditori di un altro. La delegazione si presenta in due forme e può essere delegazione di debito quando il debitore (delegante) assegna al proprio creditore (delegatario) un nuovo debitore (delegato) il quale si obbliga verso il creditore. Il rapporto fra il delegante e il delegatario è detto rapporto di valuta mentre quello preesistente fra delegante e delegato è detto rapporto di provvista. La funzione della delegazione è far sì che un unico pagamento del delegato a favore del delegatario estingua simultaneamente due rapporti obbligatori. L’operazione comporta l’invito del delegante rivolto al proprio debitore, la promessa con la quale il delegato dichiara al delegatario di volersi obbligare nei suoi confronti e l’accettazione del delegatario.
Se il creditore delegatario dichiara espressamente di liberare il debitore originario questi è sostituito dal nuovo debitore e se il delegato non paga il creditore non potrà rivolgersi al delegante. La delegazione può essere causale, quando il delegato menziona il rapporto di provvista che lo lega al delegante oppure menziona entrambi i rapporti, oppure astratta se nessuno dei due rapporti è menzionato. Quindi se la delegazione è causale il delegato può rifiutarsi di pagare eccependo al delegatario le eccezioni basate sul rapporto di provvista, se la delegazione è astratta le eccezioni basate sulla mancanza del rapporto di provvista o del rapporto di valuta non possono essere opposte dal delegato.
La delegazione di pagamento differisce dalla delegazione di debito per il fatto che il delegato non è invitato a farsi debitore del delegatario ma è semplicemente invitato a pagare il debito del delegante.
L’espromissione differisce dalla delegazione per il fatto che l’iniziativa della delegazione non è assunta dal delegante ma dal delegato senza delegazione del primo. Può essere privativa o cumulativa ma può essere solo parzialmente astratta.
L’accollo è un contratto fra delegante e delegato stipulato a favore del delegatario: l’accollante (il delegato) si obbliga verso l’accollato (delegante) ad assumere il debito di questo verso l’accollatario (delegatario).

22.3 La cessione del contratto
È possibile che una vicenda circolatoria investa la posizione di parte di un contratto determinando il trasferimento di tutti i rapporti che ad essa sono relativi. È la cosiddetta cessione del contratto dove il cedente sostituisce a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto a prestazioni corrispettive. Per perfezionare la cessione è però necessario il consenso del contraente ceduto. La cessione del contratto è a sua volta l’oggetto di un contratto.
Bisogna però distinguere fra contratti a esecuzione istantanea o differita e contratti ad esecuzione continuata. Nei primi se uno dei contraenti ha già eseguito la prestazione non potrà avere luogo una cessione del contratto (solo la cessione del suo credito alla controprestazione) poiché occorre che entrambe le prestazioni siano ancora ineseguite. Nei contratti ad esecuzione continuata la cessione è possibile anche se è iniziata da entrambe le parti l’esecuzione del contratto ed è possibile fino a quando il contratto non sia sciolto e perciò sia ancora suscettibile di esecuzione.
Il cedente garantisce la validità del contratto ceduto ma non garantisce l’adempimento del contratto da parte del contraente ceduto.

22.4 Il pagamento con surrogazione
La cessione del credito è una delle possibili forme di successione nel credito ed è in particolare la successione nel credito che si determina fra il precedente e il nuovo creditore. Una ulteriore forma di successione nel credito è quella che va sotto il nome di surrogazione e si caratterizza per il fatto che la trasmissione del credito è collegata al pagamento. In tre ordini di casi il pagamento soddisfa il creditore ma non estingue l’obbligazione. La surrogazione per volontà del creditore è il caso dell’adempimento del terzo cioè quando il creditore ricevendo il pagamento del terzo può surrogarlo nei propri diritti. La surrogazione per volontà del debitore quando questi se prende a mutuo una somma di denaro per pagare il debito può surrogare il mutuante nei diritti del suo creditore. La surrogazione legale opera senza il concorso della volontà delle parti ed è il caso del creditore chirografario il quale paga un creditore che ha diritto di essergli preferito, sui beni del comune debitore, in ragione di una causa di prelazione.

CAPITOLO VENTITREESIMO: I TITOLI DI CREDITO

23.1 Concetto e funzione del titolo di credito
Il concetto di titolo di credito comprende una grande varietà di documenti che rappresentano la ricchezza mobiliare facendola circolare in modo indiretto. Il diritto menzionato sul documento è incorporato nel documento stesso quale bene mobile e questo funziona come veicolo del diritto in esso menzionato. Fra le tante figure di diritto di credito prevalgono quelle nelle quali il documento menziona un diritto di credito e il diritto al pagamento di una somma di denaro in esso indicata. Altri titoli rappresentano un diritto alla consegna delle merci in essi indicate.
La titolarità del diritto si acquista acquistando la proprietà di quel bene mobile e la proprietà dei beni mobili si può acquistare a titolo originario mediante il possesso di buona fede. Per la regola generale deve sussistere un titolo idoneo all’acquisto della proprietà e qui occorre aver acquistato il possesso del documento in conformità alle norme.
Il conseguimento del possesso del titolo ne produce l’acquisto della proprietà a titolo originario e inoltre l’acquisto della proprietà del titolo comporta l’acquisto della titolarità del diritto in esso menzionato. Di qui quel carattere del titolo di crdito che è l’autonomia della posizione di ogni successivo possessore del titolo. Perciò il debitore non può opporre al possessore del titolo l’eccezione di compensazione che avrebbe potuto opporre al precedente possessore. Non può neppure eccepire, se l’ultimo possessore è in buona fede, che il precedente possessore aveva rubato il titolo. Il debitore può opporre al possessore del titolo solo le eccezioni a questo personali, le eccezioni reali, come le eccezioni di forma, di falsità della firma e della valida provenienza.

23.2 Circolazione dei diritti di credito
La titolarità del diritto è attribuita dalla proprietà del titolo e tuttavia la proprietà del titolo si presume, fino a prova contraria, di chi se ne dimostra possessore. Il debitore che senza dolo o senza colpa adempie la prestazione nei confronti del possessore è liberato anche se questi non è titolare del diritto. In questa norma sono implicite varie regole. Anzitutto spetta al debitore l’onere di provare che il possessore del titolo non è titolare del diritto, il debitore deve rifiutare la prestazione al possessore del titolo se sa che questi è in mala fede e deve usare un minimo di diligenza, inoltre consegue la liberazione anche se adempie verso chi non è titolare. Si parla di legittimazione attiva per intendere la legittimazione del possessore ad esigere la prestazione e di legittimazione passiva per indicare la legittimazione del debitore a conseguire la liberazione.
I titoli di credito al portatore sono quelli per cui le esigenze di rapida circolazione sono realizzate al massimo grado poiché se ne acquista la legittimazione con il possesso puro e semplice del titolo (solitamente sono i titoli emessi in serie) e se ne possono creare di nuovi tipi.
I titoli all’ordine sono caratterizzati dal fatto che la loro circolazione deve essere documentata sul titolo mediante girata dal precedente al successivo possessore (cambiale, assegno). La girata è l’ordine formulato sul titolo e rivolto dal trasmittente al debitore di eseguire la prestazione nelle mani del nuovo prenditore del titolo. La girata può essere in pieno o in bianco.
Nei titoli nominativi la documentazione della circolazione del titolo è più complessa e rigorosa che nei titoli all’ordine. Per questi titoli il possesso del titolo deve essere ulteriormente qualificato dalla menzione del nome del possessore sul titolo medesimo e nel registro dell’emittente. Per i titoli nominativi la circolazione si attua e la legittimazione si può conseguire in tre modi. Uno è mediante annotazione da parte dell’emittente del nome dell’acquirente del titolo sul titolo stesso e nel registro, un altro è mediante rilascio da parte dell’emittente di un nuovo titolo intestato all’acquirente e successiva annotazione del rilascio nel registro. Il terzo modo è quello della girata autenticata da un notaio o da un agente di cambio.
Dei titoli di crdito bisogna distinguere i documenti di legittimazione e i titoli impropri. I primi non sono destinati alla circolazione e servono solo ad identificare l’avente diritto alla prestazione e hanno solo la funzione di legittimazione passiva (libretto di risparmio rilasciato dalla banca). I secondi sono invece destinati alla circolazione e la loro funzione è di consentire il trasferimento del credito senza l’osservanza delle norme proprie della cessione (polizza di assicurazione).

23.3 Titoli astratti e titoli causali
La semplice promessa di pagamento o il riconoscimeto del debito sono dichiarazioni unilaterali astratte e non valgono a costituire un rapporto obbligatorio, hanno solo efficacia processuale e dispensano colui in favore del quale è stata fatta la promessa dall’onere di provare il rapporto fondamentale. L’essenza fondamentale dei titoli astratti (cambiale, assegno) sta nel fatto che il titolo non reca alcuna menzione della causa che ha dato luogo alla sua emissione e ad essi è connessa la letteralità ossia che il possessore può farlo valere solo secondo il suo tenore letterale senza riferimento a elementi o circostanze non risultanti dal titolo.
L’emissione di un titolo astratto dà vita ad un diritto di credito (diritto cartolare) e si ha con l’emissione di tale titolo una duplicazione di rapporti obbligatori: al rapporto sottostante si aggiunge un distinto e parallelo rapporto obbligatorio incorporato nel titolo e destinato a circolare con la circolazione del titolo e si stabilisce il nesso secondo il quale finchè può essere esercitato il diritto cartolare resta sospeso l’esercizio del diritto sottostante e che il soddisfacimento del diritto cartolare estingue automaticamente il diritto sottostante.
I titoli causali di credito fanno menzione del rapporto causale che ha dato luogo all’emissione del titolo (titoli di debito pubblico, obbligazioni di società). Anche se il titolo causale è suscettibile di acquisto a titolo originario chi acquista la proprietà del diritto acquista anche la titolarità del diritto nascente dalla specifica causa che nel documento è menzionata.
Il debitore può sempre opporre la mancanza del rapporto che ha dato luogo all’emisisone del titolo oltre che al primo prenditore a tutti i successivi possessori. Manca inoltre la letteralità cioè il debitore può opporre a tutti i successivi possessori anche le eccezioni basate sul contratto sottostante all’emissione del titolo stesso.
I titoli rappresentativi di merci attribuiscono al possessore del titolo il possesso delle merci che in essi sono menzionate e lo legittimano alla richiesta di consegna delle merci. Ve ne sono due tipi. I titoli di deposito (fede di deposito, nota di pegno) che vengono rilasciate su richiesta del depositante dai magazzini generali e sono destianati a circolare per girata. I titoli di trasporto vengono rilasciati dal vettore e sono destinati a circolare all’ordine.

23.4 La cambiale
La cambiale e l’assegno compongono i cosiddetti titoli cambiari e sono titoli all’ordine e titoli astratti. La cambiale può essere emessa come pagabile, e quindi vale come strumento di credito, mentre l’assegno è invece sempre pagabile a vista e vale come mezzo di pagamento.
La cambiale tratta ha la struttura della delegazione di pagamento: una persona (traente) dà a un’altra persona (trattario) l’ordine di pagare una somma ad un terzo (prenditore) e il trattario sarà obbligato a pagare ma solo se avrà accettato. Il pagherò ha invece la struttura della promessa di pagamento.
I requisiti formali della cambiale sono la denominazione di cambiale, l’ordine o promessa di pagare una somma che va scritta in lettere e cifre, il nome del trattario e del prenditore, la data e il luogo di emisisone, il luogo del pagamento, la sottoscrizione del traente. La scadenza della cambiale può non essere indicata ma se lo è deve rientrare, a pena di nullità, in uno dei quattro tipi seguenti: a vista, cioè pagabile all’atto di presentazione, a certo tempo vista, pagabile in tot giorni dopo dopo l’accettazione, a certo tempo data, che può essere presentata solo quando è decorso dalla data di emissione il termine indicato, oppure a giorno fisso.
Non è essenziale redigere la cambiale su modulo bollato ma ciò non permette al possessore di promuovere verso il debitore l’espropriazione forzata. I requisiti formali possono mancare al momento dell’emissione e saranno aggiunti in conformità dei separati accordi intervenuti col debitore.
La tratta è emessa in forza di due distinti rapporti, quello intercorrente tra il traente e il trattario (rapporto di provvista) e quello tra il traente e il prenditore del titolo (rapporto di valuta).
La girata è sottoposta alle norme ordianrie sui titoli all’ordine ma ogni girante diventa obbligato di regresso ossia è responsabile nei loro confronti per la mancata accettazione del trattario o per il mancato pagamento. L’avallo è una firma di garanzia apposta sul retro (precisando che si firma per avallo).
Il portatore del titolo deve innanzitutto rivolgersi all’obbligato principale e cioè se è una cambiale tratta dovrà rivolgersi al trattario che abbia accettato e se è un pagherò dovrà rivolgersi all’emittente.
Il protesto è la contestazione solenne, fatta da un notaio o da un ufficiale giudiziario, che l’obbligato principale non ha pagato o che il trattario non ha accettato la cambiale. Il protesto è superfluo se sulla cambiale è apposta la clausola senza spese o senza protesto.
Il possessore del titolo può agire in giudizio o nei confronti dell’obbligato principale entro tre anni dalla scadenza o nei confronti degli obbligati di regresso entro un anno dal protesto. Sono possibili tre vie processuali. Il procedimento per cognizione è diretto ad accertare l’esistenza del debito cambiario, il procedimento ingiuntivo e il procedimento esecutivo.

23.5 L’assegno
L’assegno bancario ha la medesima struttura della cambiale tratta, l’assegno circolare è analogo al pagherò. L’assegno bancario è l’ordine incondizionato che una persona (traente) dà a una banca (trattario) di pagare una somma ad un terzo o allo stesso traente. Deve contenere l’espressa denominazione di assegno bancario, della somma, della data e luogo di emissione e la sottoscrizione del traente.
L’assegno può essere presentato per il pagamento entro otto giorni dall’emissione (se pagabile nello stesso comune), entro quindici giorni (in un comune diverso), entro venti giorni (in uno stato diverso), entro sessanta giorni (in un continente diverso). La mancata presentazione entro questi termini fa perdere al portatore del titolo l’azione di regresso verso il traente.
Si può emettere un assegno bancario se l’emittente ha presso la banca fondi disponibili e che l’emittente abbia il diritto di disporre della provvista mediante emissione di assegni bancari.
L’assegno bancario non può essere accettato dalla banca e il possessore dell’assegno non ha alcuna azione contro di questa e se il rifiuto risultasse ingiustificato la banca potrà essere chiamata a rispondere verso il correntista. La banca all’atto di pagare l’assegno deve procedere all’identificazione del presentatore.
L’assegno circolare è la promessa incondizionata della banca di pagare a vista una somma determinata e può essere emesso solo da una banca autorizzata. L’emissione è limitata a somme che siano versate dal richiedente o disponibili presso la banca emittente a credito di chi ne ha fatto richiesta di emissione. Qui la banca è obbligata a pagare nelle mani del possessore che deve presentarlo per il pagamento entro trenta giorni.

PARTE QUINTA

CAPITOLO VENTOTTESIMO: I CONTRATTI PER LA CIRCOLAZIONE DEI BENI

28.1 La vendita e la permuta
La vendita è un contratto a titolo oneroso e attua il trasferimento di un diritto verso il corrispettivo di una somma di denaro detta prezzo. La permuta invece è il trasferimento di un diritto che si attua con lo scambio di cosa con cosa o di cosa con diritto e di diritto con diritto.
Il contratto di vendita produce effetti reali poiché trasferisce il diritto per il solo effetto del consenso ed effetti obbligatori poiché sul compratore incombe l’obbligazione di pagare il prezzo.
Sul venditore grava una più complessa serie di obbligazioni. Anzitutto l’obbligazione di consegnare la cosa al compratore, poi l’obbligazione di fargli acquistare la proprietà. Inoltre ha l’obbligazione di garantire il compratore dall’evizione che si ha quando un terzo rivendica con successo la proprietà della cosa e il compratore ne perde cioè la proprietà ma non è dovuta se c’è la clausola a rischio e pericolo del compratore e l’obbligazione di garantire il compratore dai vizi occulti della cosa. Si tratta di vizi materiali della cosa che la rendano inidonea all’uso cui è destinata o che ne diminuiscano il valore in modo apprezzabile. La garanzia per i vizi occulti può essere esclusa o limitata ma non ha effetto verso il venditore che li avesse taciuti in mala fede. Il compratore deve denunciarli a otto giorni dalla scoperta e ha il termine di prescrizione di un anno dalla consegna per far valere in giudizio la garanzia, non valgono però nell’ipotesi di difetti delle qualità necessarie per assolvere la sua funzione economica. In giudizio può esercitare due azioni. L’azione redibitoria con la quale chiede la risoluzione del contratto e il rimborso del prezzo oppure l’azione estimatoria con la quale domanda la riduzione del prezzo o il suo parziale rimborso. Il compratore ha diritto al risarcimento se il venditore non prova di avere senza colpa ignorato i vizi della cosa e il diritto del compratore si estende fino ai danni derivati dai vizi della cosa.
La vendita di cose mobili è sottoposta ad altre norme particolari. Se il compratore non paga il prezzo il venditore può far vendere la cosa da un mediatore professionale, se inadempiente è invece il venditore il compratore può anch’esso riccorrere all’esecuzione coattiva del contratto. Il venditore che abbia consegnato la cosa al compratore prima di ricevere il pagamento del prezzo può entro quindici giorni chiedere che la cosa gli venga restituita e mira a rientrare nel possesso della cosa per esercitare il diritto di ritenzione idrica.
Nella vendita di cose per le quali è stato emesso un titolo rappresentativo il venditore adempie l’obbligazione di consegna rimettendo al compratore il titolo rappresentativo.
Norme particolari riguardano la vendita di cose immobili che possono essere vendute a misura oppure a corpo. Nel primo caso se la misura effettiva dell’immobile risultasse superiore a quella indicata il compratore ha diritto a una modifica del prezzo e può recedere dal contratto se l’eccedenza supera la ventesima parte della misura dichiarata.
La vendita mobiliare o immobiliare può essere conclusa con patto di riscatto per il quale il venditore si riserva il diritto di riacquistare la proprietà della cosa venduta mediante la restituzione del medesimo prezzo. La facoltà di riscatto è un diritto potestativo del venditore e si esercita con un suo atto unilaterale. Il patto di riscatto crea sulla cosa venduta un vincolo reale cioè il compratore può vendere la cosa ma il venditore può riscattarla anche nei confronti del terzo acquirente. Il riscattante riacquista la proprietà della cosa libera da pesi e ipoteche che il compratore vi aveva costituito ma è tenuto a rispettare la locazione.
La vendita con patto di retrovendita prevede che il compratore si obblighi nei confronti del venditore a rivendergli la cosa acquistata con un nuovo contratto di vendita. Questo patto ha effetti puramente obbligatori e se il compratore trasferisce il bene a un terzo il venditore lo ha definitivamente perduto.

28.2 Continua: la vendita obbligatoria
Si parla di vendita obbligatoria nei casi in cui il trasferimento della proprietà della cosa venduta non è effetto immediato del contratto e sul venditore incombe l’obbligazione di fare acquistare al cenditore la proprietà del bene venduto. I asi di vendita obbligatoria sono la vendita di cose determinate solo nel genere nei quali la proprietà passa al momento dell’individuazione, la vendita di cose future nei quali le cose non esistono ancora al momento del contratto e la cui proprietà passa quando queste vengono ad esistenza (la costruzione si considera venuta ad esistenza se ha muri perimetrali e una copertura, per i prodotti del suolo avviene con la loro separazione). Questa vendita può essere vendita della speranza e il compratore non potrà chiedere la restituzione del prezzo se la cosa non viene ad esistenza oppure una vendita della cosa sperata che rende nullo il contratto se la cosa non viene ad esistenza. La vendita di cose altrui implica la vendita di cose che al momento del contratto non sono di proprietà del venditore e diventano del compratore nel momento in cui il venditore ne acquista la proprietà. Per aversi una valida vendita di cose altrui non occorre che il compratore sia a conosscenza dell’altruità della cosa. Se però ne fosse a conoscenza può chiedere al giudice di fissare un termine, se viceversa non ne fosse a conoscenza può domendare subito la risoluzione del contratto. La vendita a rate con riserva di proprietà si basa su tre principi e cioè che il venditore è obbligato a consegnare immediatamente la cosa al compratore, il compratore diventa proprietario della cosa solo al momento del pagamento dell’ultima rata del prezzo e che i rischi della cosa venduta passano dal venditore al compratore al momento della consegna. Se il compratore non paga le rate del prezzo il venditore può chiedere la risoluzione del contratto (ma non può ottenerla per il mancato pagamento di una rata che non superi l’ottava parte del prezzo) ma dovrà restituire le rate fino ad allora pagate. La cosa acquistata con riserva di proprietà non può essere aggredita dai creditori del compratore e il venditore può opporsi al pignoramento se la riserva di proprietà a suo favore risulti da atto scritto avente data certa anteriore al pagamento.

28.3 Il contratto estimatorio
È possibile utilizzare per la distribuzione il contratto estimatorio che consente di addossare al produttore, esonerando il venditore, il rischio dell’invenduto. È il contratto mediante il quale una parte consegna all’altra una o più cose mobili e l’altra parte può nel termine pattuito o pagarne il prezzo oppure restituirle. Chi ha consegnato le cose ne resta proprietario ma non può disporne, ossia venderle ad altri, mentre chi le ha ricevute, sebbene non ne sia proprietario può disporne ossia venderle.

28.4 La somministrazione, la concessione di vendita, il franchising, il factoring
La somministrazione è il contratto, a esecuzione continuata, mediante il quale una parte si obbliga verso il corrispettivo di un prezzo a eseguire a favore dell’altra prestazioni periodiche o continuative di cose. Può accadere che l’entità della somministrazione non sia determinata nel contratto e di regola il somministrante fornirà quantità di beni corrispondenti al normale fabbisogno del somministrato (spesso è stabilito un limite massimo e minimo). Il prezzo se non è stabilito si determina secondo le norme sulla vendita.
Un particolare rilievo assume il ocntratto di somministraione che intercorre fra il produttore industriale e il rivenditore di prodotti. In forza del contratto di somministrazione il produttore so obbliga a rifornire continuativamente il rivenditore dei propri prodotti. Al contratto si può apporre il patto di esclusiva sia a favore del somministrante sia del somministrato sia di entrambi. Con il patto a favore del produttore il rivenditore si impegna a mettere in vendita solo suoi prodotti, con il patto a favore del rivenditore il produttore si obbliga a non vendere nella zona assegnata al rivenditore. Con la concessione di vendita il produttore concedente si impegna a somministrare al venditore concessionario la quantità di prodotti che questi richiede, il rivenditore si bbliga ad ordinare una quantità minima e ad eseguire la vendita in una zone determinata.
Il franchising è il contratto mediante il quale il produttore (franchisor) elabora i piani di mercato dei propri prodotti e il rivenditore (franchisee) si presenta come il mero esecutore del piano disposto dal primo.
Il factor è un imprenditore che si interpone tra il fornitore di beni e i suoi clienti stipulando con il primo un contratto (factoring) in forza del quale si obbliga a sottoporre al factor i contratti conclusi o da concludee con i clienti riservandosi di approvare, valutata la solvibilità dei clienti, i crediti nascenti da tali contratti, si obbliga inoltre a cedere al factor i propri crditi da questo approvati e il factor si obbliga a sua volta a versare al fornitore alla scadenza dei crediti il pattuito corrispettivo della cessione.

CAPITOLO VENTINOVESIMO: I CONTRATTI PER IL GODIMENTO DEI BENI

29.1 La locazione
La locazione è il contratto mediante il quale il locatore si obbliga a far godere all’altra parte, detta locatario, una cosa mobile o immobile per un dato tempo verso un determinato corrispettivo. Può avere per oggetto qualsiasi bene ma se si tratta di cosa produttiva allora prende il nome di affitto. Per la conclusione del contratto non è richiesta la forma scritta ma è necessaria, a pena di nullità, per le locazioni immobilari ultranovennali che sono anche soggette a trascrizione.
Con il contratto di locazione il locatore si obbliga a consegnare la coa al conduttore, a mantenerla in condizioni tali da servire all’uso convenuto nel contratto e a garantire il pacifico godimento della cosa da parte del conduttore. Così se un terzo, che pretende diritti sulla cosa, agisce contro il conduttore il locatore è tenuto ad assumere la lite ma se il terzo non pretende diritti sula cosa il conduttore dovrà difendersi in proprio nome.
Il conduttore è a sua volta obbligato a prendere il consegna la cosa e a servirsene con la diligenza del buon padre di famiglia per l’uso stabilito nel contratto. Se la cosa ricevuta perisce o si deteriora il conduttore ne risponde, se apporta miglioramenti alla cosa non ha diritto a farsi indennizzare, se esegue addizioni e queste sono separabili potrà toglierle alla fine della locazione e se non sono separabili valgono le regole per i miglioramenti. Inoltre il conduttore dovrà dare il corrispettivo nei termini stabiliti che è una somma commisurata alla durata del godimento della cosa e prendono il nome di canoni. Deve infine restituire la cosa al termine della locazione nel medesimo stato in cui l’ha ricevuta. Se la restituisce in ritardo dovrà pagare anche per il periodo del ritardo.
Essenziale alla locazione è la temporaneità del godimento. Non può essere stipulata per un periodo superiore ai trent’anni. Se è a tempo determinato la locazione cessa con lo spirare del termine, se è a tempo indeterminato cessa per effetto della disdetta. Lo locazione a tempo determinato è inoltre suscettibile di rinnovazione tacita. Il conduttore può a sua volta sublocare, ossia dare in locazione ad altri l’immobile locato anche senza il consenso del locatore salvo che la sublocazione non fosse vietata nel contratto.

29.2 Continua: la locazione di immobili urbani
Per quanto riguarda le case per abitazione al canone di mercato era stato sosyituito un canone determinato secondo criteri di legge (equo canone) che miravano a contemperare l’esigenza del non proprietario di prendere in locazione una casa a canone ragionevole. Era stato stabilito che il canone non potesse superare il 3.85 per cento del valore dell’immobile e poteva essere aggiornato di anno in anno entro il limite del 75 per cento della clausola istat sull’aumento del costo della vita. Aveva la durata minima di quattro anni ed era tacitamente rinnovato di quattro anni in quattro anni. Nel 1992 si era posto termine l’applicazione dell’equo canone per gli immobili di nuova costruzione e nel 1998 si è arrivati alla sua soppressione instaurando un duplice regime che prevede locazioni a libero mercato con canone rimesso all’autonomia contrattuale am la durata del contratto non può essere inferiore a quattro anni e locazioni in base agli accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori più rappresentative.
Per gli immobili urbani ad uso diverso dall’abitazione non c’è criterio di legge per la determinazione iniziale del canone sottraendo però all’autonomia privata la durata della locazione che non può essere inferiore a sei anni.

29.3 L’affitto
La locazione che ha per oggetto una cosa produttiva prende il nome di affitto ma occorre che la cosa sia di per sé produttiva di frutti. L’affittuario ha l’ulteriore obbligazione di curare la gestione della cosa produttiva secondo la sua destinazione economica. Il godimento della cosa produttiva implica il diritto dell’affittuario di fare propri i frutti. Il locatore ha un diritto di controllo e può chiedere la risoluzione del contratto se l’affittuario non destian al servizio della cosa i mezzi necessari per la sua gestione e l’affittuario non può subaffittare senza il consenso del locatore.
L’affitto di fondi rustici prevede per l’imprenditore agricolo la possibilità di coltivare terreni altrui. Una sottospecie dell’affitto di fondi rustici è l’affitto a coltivatore diretto. L’affitto di fondi rustici dà luogo in agricoltura ad una situazione per cui l’imprenditore non è proprietario dei mezzi di produzione. La legge ha fissato in quindici anni la durata minima dell’affitto a coltivatore diretto e l’affittuario può sempre recedere dal contratto mentre il locatore può solo in caso di inadempimento dell’affittuario chiedere al giudice la risoluzione.

29.4 Il leasing o lacazione finanziaria
L’impresa di leasing si interpone fra gli imprenditori produttori e gli imprenditori utilizzatori. L’impresa di leasing compera o fa costruire dal produttore il bene, su indicazione dell’utilizzatore, e quindi restandone proprietaria lo concede in godimento all’utilizzatore che ne assume tutti i rischi. In forza di tale contratto il concedente si obbliga a consentire all’utilizzatore il godimento della cosa per un tempo determinato che è di norma inferiore alla presumibile vita economica del bene e può essere pattuita a favore dell’utilizzatore la facoltà di proroga o l’opzione di acquisto della proprietà. L’utilizzatore a sua volta assume i rischi inerenti alla cosa e si obbliga a corrispondere un canone periodico.

29.5 La locazione e il noleggio della nave
La locazione ha per oggetto l’utilizzazione della nave da parte dell’armatore, il noleggio e il trasporto concernono la fruizione da parte dei terzi dei servizi cui l’armatore ha adibito la nave. È armatore chi assume l’esercizio della nave, ossia chi la utilizza per la navigazione. In mancanza si presume armatore, fino a prova contraria, il proprietario.
L’armatore utilizza la nave sulla base di specifici contratti conclusi con il proprietario che gliene consentono l’utilizzazione. Di norma è un contratto di locazione della nave che necessita della forma scritta e ha il divieto di sublocazione.
Divera figura contrattuale è quella che ha per oggetto l’utilizzazione della nave altrui già equipaggiata e viaggiante sotto il nome e la responsabilità di un armatore. È il cosiddetto contratto di noleggio mediante il quale l’armatore si obbliga verso corrispettivo a compiere con una nave determinata uno o più viaggi prestabiliti oppure tutti i viaggi che entro un periodo di tempo gli ordini il noleggiatore.

29.6 I contratti per l’itilizzazione dei computers
Dal punto di vista del diritto l’hardware viene anzitutto in considerazione come un bene immateriale e lo si può comprare, prendere in locazione o in leasing. Per quanto riguarda il software l’aspetto fisico i dischi o i nastri nei quali sono contenuti i programmi sono beni materiali mentre la creazione del programma come opera dell’ingegno è un bene immateriale.
I programmi standard sono destinati a soddisfare il medesimo bisogno di un numero illimitato di utilizzatori mentre i programmi individualizzati sono quelli studiati per soddisfare le specifiche esigenze di un singolo utilizzatore.
Quando si parla di contratti che abbiano ad oggetto un computer può trattarsi di una vendita in cui l’utilizzatore ne diventa proprietario, di una locazione dove il fornitore resta proprietario dell’ahardware che dà in godimento all’utilizzatore per un tempo determinato, di un leasing che può avere ad oggetto solo un hardware.
Di regola il contratto per l’utilizzazione di computer è un contratto per condizioni generali predisposte unilateralmente dal produttore o dal rivenditore.
L’obbligazione di manutenzione si estende anche al software sia per la correzione di errori sia soprattutto per i necessari aggiornamenti.
Particolare gravità può assumere la responsabilità del fornitore di computer per i danni derivanti all’utilizzazione da cattivo funzionamento dell’hardware o da errori nella formazione dei programmi. Se l’hardware è stato acquistato i suoi difetti di costruzione sono vizi della cosa venduta e il venditore risponde dei danni se il compratore ha denunciato i vizi entro otto giorni dalla scoperta mentre per i danni da cattiva assistenza o manutenzione si dovrà fare capo alle norme sull’appalto. Le condizioni generali di contratto spesso contengono clausole di esonero da responsabilità del fornitore di computer che però non operano quando i vizi siano tali da privare la cosa delle qualità necessarie per assolvere la sua funzione economico-sociale.

CAPITOLO TRENTESIMO: I CONTRATTI PER LA PRODUZIONE DI BENI O L’ESECUZIONE DI SERVIZI

30.1 L’appalto
In alcun settori dell’attività produttiva l’imprenditore opera su commissione del cliente ed è il caso degli appaltatori di opere o di servizi. L’appalto è il ocntratto mediante il quale l’appaltatore si obbliga verso il committente a compiere un’opera o un servizio con prorpia organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio. L’appaltatore assume il rischio di non coprire con il corrispettivo pattuito i costi di costruzione dell’opera o di esecuzione del servizio, il rischio di non ricevere dal committente alcun corrispettivo se non riesce a relizzare l’opera o se non l’ha realizzata secondo il progetto convenuto o se l’opera perisce prima della consegna. Non èun obbligazione di mezzi ma di risultato. Se l’impossibilità della prestazione non sia imputabile a nessuna delle parti l’appaltatore ha diritto ad un compenso per l’opera già compiuta.
L’appaltatore è inadempiente anche quando l’opera realizzata sia difforme dal progetto convenuto o presenti intrinseci vizi e il committente può chiedere che le une e gli altri vengano eliminati a spese dell’appaltatore. La garanzia non è dovuta dall’appaltatore se il committente aveva accettato l’opera e le difformità e i vizi erano da lui conosciuti. Il committente può recedere dal contratto anche se è già iniziata l’escuzione dell’opera ma deve rimborsare l’appaltatore delle spese sostenute e risarcirlo del mancato guadagno.

30.2 Il contratto d’opera
Il prestatore d’opera si obbliga verso il committente a compiere un’opera o un servizio e dall’appaltatore differisce per il fatto che esegue l’opera con il lavoro prevalentemente proprio. È il tipico contratto del piccolo imprenditore o dell’artigiano. È lavoro autonomo e occorre che ci si obblighi ad eseguirlo senza vincolo di subordianzione nei confronti del committente.
Il corrispettivo si determina quando non sia stato convenuto dalle parti non in ragione del lavoro svolto ma in relazione al risultato ottenuto ed al lavoro normalmente necessario per ottenerlo. Se l’esecuzione dell’opera diventa impossibile il prestatore d’opera avrà lavorato invano.
Il contratto d’opera è definito come contratto d’opera manuale per distinguerlo dalla prestazione d’opera intellettuale ossia una prestazione svolta da chi esercita le cosiddette professioni liberali. Il rischio qui incombe sul cliente poiché la prestazione di opera intellettuale è un’obbligazione di mezzi e il prestatore è adempiente e ha diritto al compenso se ha agito con la diligenza e la perizia richieste.

30.3 Il trasporto
Nel caso del trasporto il servizio sta nel trasferire persone o cose da un luogo all’altro, il committente è il viaggiatore o mittente e chi si obbliga al trasporto è il vettore. È una obbligazione di risultato con la quale ci si obbliga a portare a destinazione incolumi le persone e intatte le cose.
Il vettore è perciò inadempiente per la mancata esecuzione del trasporto e per il sinistro che abbiano subito le persone o per la perdita delle cose trasportate.
Nel trasporto di cose il vettore è responsabile della perdita o dell’avaria delle cose consegnateli dal momento in cui le riceve al momento in cui le consegna. Sono a suo rischio le cause ignote che possono essere mitigate nella responsabilità con la clausola di previsione di caso fotuito.
Nel trasporto di persone il vettore è liberato da responsabilità per il sinistro solo se prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Non sono ammesse nel trasporto di persone clausole di limitazione della responsabilità del vettore. Il vettore può anche essere chiamato a rispondere del sinistro al viaggiatore e del danno alle sue cose a titolo di responsabilità extracontrattuale.
Per il trasporto ferroviario valgono regole diverse che consentono alla ferrovia di liberarsi ove provi di essere l’incidente avvenuto per cause ad essa non imputabili.
Le disposizioni dell’articolo 1681 si applicano anche al trasporto gratuito dal quale bisogna distinguere il trasporto di cortesia nel quale non c’è neppure un’obbligazione di mezzi da parte del vettore.
Nel trasporto di cose il mittente rilascia al vettore la lettera di vettura che indica le convenzioni convenute per il trasporto e il vettore gli rilascia un duplicato.
Nel contratto di trasporto marittimo per il trasporto di persone non si ha più la grave responsabilità che incombe sul vettore terrestre. Il vettore risponde dei sinistri alla persona del passeggero dipendenti da fatti verificatisi durante il trasporto oppure della inesecuzione o del ritardo del trasporto. Assume rilievo la distinzione fra colpa de lvettore verificatasi prima oppure dopo l’inizio del viaggio e dopo l’inizio del viaggio tra colpa nautica e colpa commerciale. È colpa nautica la negligenza del comandante nella conduzione e nella manutenzione della nave, è colpa commerciale la negligenza nell’utilizzazione della nave per il trasporto. Non risponde inoltre per tutta un’altra serie di pericoli eccettuati.
La responsabilità del vettore è in ogni caso limitata e risponde del danno in misura non superiore al valore della merce dichiarato dal caricatore al momento dell’imbarco. Anche nel trasporto marittimo di cose esiste un analogo della lettera di vettura chamata qui polizza di carico.
Nel trasporto aereo di persone e di cose il vettore risponde tanto del ritardo o dell’inadempimento dell’obbligazione quanto dei sinistri che colpiscono la persona del passeggero. La responsabilità del vettore aereo è illimitata se il danno è dovuto a sua colpa grave altrimenti è limitata nel trasporto di persone a una cifra massima stabilita per legge.

30.4 Il deposito
nel contratto di deposito lo specifico servizio dedotto in contratto consiste nella custodia di cosa mobile con l’obbligo del depositario di restituirla in natura a richiesta del depositante. Il contratto si presume gratuito salvo che il depositario non eserciti professionalmente l’attività dedotta in contratto.
Il deposito ha di regola per oggetto cose infungibili delle quali il depositario non può servirsi. È però ammesso il cosiddetto deposito irregolare avente per oggetto denaro e altre cose fungibili delle quali il depositario diventa proprietario con facoltà di servirsene. Il depositario deve custodire la cosa con la media diligenza ed è liberato dall’obbligazione di restituire la cosa se la detenzione gli è tolta in conseguenza di un fatto a lui non imputabile.
L’albergatore risponde della perdita o della sotteazione delle cose portate in albergo e a lui non consegnate fino a un limite massimo pari a cento volte il prezzo dell’alloggio giornaliero in albergo. La sua responsabilità è illimitata quando la sottrazione riguarda cose consegnate in custodia o cose che si è rifiutato illegittimamente rifiutato di ricevere in custodia o quando la perdita e il deterioramento sono dovuti a colpa sua o dei suoi ausiliari.
I magazzini generali sono imprese di custodia di merci e la loro responsabilità per la conservazione delle merci depositate è modellata in modo corrispondente a quella del vettore di cose.

CAPITOLO TRENTUNESIMO: I CONTRATTI PER IL COMPIMENTO O PER LA PROMOZIONE DI AFFARI

31.1 Il mandato
Il mandato è il contratto con il quale una parte (mandatario) si obbliga nei confronti dell’altr (mandante) a compiere uno o più atti giuridici per conto di quest’ultima. Il suo oggetto è una prestazione di fare nello svolgere atti giuridici per conto altrui. Il mandato può essere un mandato con rappresentanza se il mandatario è investito di una procura che lo abilita ad agire anche in nome del mandante.
Il mandato può essere un amndato speciale, ossia riguardare il compimento di uno o più atti giuridici specifici oppure può investire la cura di tutti gli interessi del mandante (mandato generale). Il mandato è di regola un contratto a titolo oneroso e se il compenso non è determinato nel contratto è determinato dal giudice. In ogni caso il mandatario deve svolgere il suo compito con la diligenza del buon padre di famiglia ma se il mandato è gratuito la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore.
Il amndato si basa sulla fiducia e ne deriva che il mandatario non può farsi sostituire da altri nell’esecuzione del mandato salvo che non sia autorizzato dal mandante e che il amndato si estingue per morte del mandante o del mandatario, inoltre il mandante può in ogni momento revocare il mandato. Occorre però una giusta causa se si tratta di mandato qualificato dalle parti come irrevocabile o conferito anche nell’interesse del mandatario.
Il amndatario puòa sua volta rinunciare al mandato ma risponde dei danni che il recesso provoca al mandante salvo che ricorra una giusta causa.
Il mandato può essere conferito da più persone ad un unico mandatario per un affare di interesse comune. Può anche accadere che il mandato sia conferito a più persone e ciascun mandatario può da solo concludere l’affare (mandato disgiuntivo) salvo che nel contratto non sia specificato che i mandatari devono agire insieme (mandato congiuntivo). In questa ipotesi il mandato si estingue anche per la morte di un singolo mandatario.

31.2 La commissione e la spedizione
Il contratto di commisione è un contratto a vendere o a comprare per conto del committente e in nome del commissionario, mandato revocabile finchè la vendita non sia stata conclusa. La commissione si caratterizza sotto un duplice aspetto e cioè che gli atti giuridici sono qui contratti di vendita e che il mandato è senza rappresentanza onde il commissionario acquista e vende per conto altrui ma in nome proprio. Dovrà quindi trasferire al committente le cose che ha comprato e versargli il prezzo delle cose che ha venduto.
Il commissionario per la vendita non compera per rivendere ma vende le cose del committente perciò non ha il rischio dell’invenduto. Ma è retribuito dal committente con provvigioni che corrisponde ad una percentuale sul valore dell’affare. Egli agisce in nome proprio ed è perciò obbligato verso il compratore per i vizi della cosa venduta. Può essere pattuito il cosiddetto star del credere in forza del quale il commissionario garantisce di pesona l’adempimento del terzo.
Il commissionario può operare stabilmente per un determinato committente che gli ha conferito una commissione generale ma può anche agire sulla base di specifiche commissioni.
L’agente di cambio è una figura che opera nella borsa valori come commissionario dei prorpi clienti per l’acquisto o la vendita di titoli quotati in borsa.
La spedizione si distingue come mandato a concludere un contratto di trasporto e a compiere le operazioni accessorie.

31.3 I contratti per la promozione di affari: la mediazione, l’agenzia
Dai contratti la cui funzione è la conclusione di contratti altrui si distinguono quelli che mirano solo a promuovere la conclusione di affari. Il mediatore è colui che mette in relazione le parti per la conclusione di un affare senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione. È retribuito con provvigioni dovutagli da ciascuna delle parti solo se l’affare è concluso altrimenti gli spetta solo il rimborso delle spese. Neppure l’incarico che l’aspirante contraente gli conferisce obbliga il mediatore ad adoprarsi per la conclusione dell’affare. Sul mediatore gravano alcune responsabilità e cioè deve comunicare alle parti le circostanze relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare e deve tenere in un apposito libro in cui annotare i contratti da lui stipulati.
L’agente di commercio differisce per la mancanza della posizione di indipendenza e di imparzialità. L’agente assume stabilmente l’incarico di promuovere per conto di un determinato proponente la conclusione di contratti in una zona determinata. Al contratto inerisce il contratto di esclusiva di entrambe le parti cioè che l’imprenditore non può valersi di più agenti nella stessa zona e per lo stesso ramo di attività. L’obbligazione dell’agente è di promuovere la conclusione di contratti ed è retribuito con provvigione. L’agente di assicurazione è incaricato di promuovere la conclusione di contratti di assicurazione. L’agente di commercio ha diritto all’atto di scioglimento del contratto a tempo indeterminato ad una indennità proporzionale all’ammontare delle provvigioni liquidategli. L’agente riacquista piena libertà di azione e può concludere contratti di agenzia con imprenditori concorrenti ma può essere pattuito per una durata non superiore ai due anni un patto di non concorrenza.

CAPITOLO TRENTADUESIMO: I CONTRATTI DI PRESTITO

32.1 Il comodato
Il comodato ha per oggetto cose immobili o cose mobili infungibili, il mutuo ha per oggetto somme di denaro o determinate quantità di altre cose fungibili. Il comodato è il contratto con il quale una parte (comodante) consegna all’altra (comodatario) una determinata cosa affinchè se ne serva per un uso determinato con l’obbligazione di restituire la stessa cosa ricevuta. È un contratto a titolo gratuito e la gratuità lo distingue dalla locazione anche se al comodatario può essere imposto un onere. Il comodatario può servirsi della cosa solo per l’uso determinato, deve custodirla e non può darla in subcomodato senza il consenso del comodante e se la cosa perisce per caso fortuito ne risponde solo se, potendo scegliere tra la propria cosa e quella altrui, ha scelto la propria. La cosa dovrà essere restituita alla scadenza del termine pattuito o fino a quando il comodatario se ne è servito per l’uso convenuto. Si parla di precari per l’ipotesi in cui sia stato espressamente pattuito che il comodatario dovrà restituire la cosa su richiesta del comodante.

32.2 Il mutuo
Il mutuo è il prestito di determinate quantità di denaro o di altre cose fungibile. Le cose consegnate dal mutuante al mutuatario passano in proprietà a quest’ultimo il quale è obbligato a restituire al mutuante altrettante cose della stessa specie e qualità. Per l’acquisto di case per abitazione prende il nome di mutuo ipotecario poiché sulla grava un’ipoteca del mutuante a garanzia della restituzione della somma. La promessa di mutuo è un contratto consensuale di mutuo con il quale il mutuante si obbliga a prestare una somma al mutuatario (contratto di finanziamento). Chi ha promesso di dare un mutuo può rifiutare l’adempimento se le condizioni patrimoniali del mutuatario sono diventate tali da non garantire la restituzione. Il mutuo è un contratto a titolo oneroso poiché il corrispettivo che il mutuatario deve al mutuante è produttivo di interessi che sono al tasso legale del dieci per cento o ogni altro tasso pattuito deve essere pattuito per iscritto. Se però gli interessi convenuti sono usurari la relativa clausola è nulla. Il mutuatario ha una duplice obbligazione e cioè deve restituire las omma ricevuta a mutuo entro un termine che se non stabilito è deciso dal giudice. Può essere prevista il pagamento a rate e in tal caso il mancato pagamento anche di una sola rata legittima il mutuante a chiedere l’immediata restituzione dell’intero. In caso di mancato pagamento degli interessi il mutuante può chiedere la risoluzione del contratto. Il termine per la restituzione si presume a favore di entrambe le parti.

CAPITOLO TRENTATREESIMO: I CONTRATTI DI BANCA E BORSA

33.1 La banca
La banca svolge attività di intermediazione nella circolazione del denaro e svolge la funzione passiva di raccolta del risparmio e quella attiva di esercizio del credito ossia di finanziamento. L’innovazione introdotta dalle direttive comunitarie è di duplice portata nel senso che l’autorizzazione all’esercizio è subordinata all’accertamento di condizioni obiettive e che l’attività bancaria ha assunto la natura di impresa operante in regime di libera concorrenza. Alla funzione della banca corrisponde un duplice ordine di operazioni (contratti bancari): la raccolta del risparmio si attua mediante il contratto di deposito bancario e l’esercizio del credito si realizza mediante gli specifici contratti di apertura ci credito bancaria.
I contratti sono contratti in serie. La legge sulla trasparenza bancaria richiede la forma scritta a pena di nullità per i contratti relativi alle operazioni e ai servizi bancari ed esige che il contratto indichi il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizioni praticati. Nel caso di mancata indicazioni si applicano il tasso nominale minimo e quello massimo dei buoni ordianri del tesoro annuali, i prezzi e le altre condizioni che la banca ha reso pubblici e in caso di omessa pubblicità nulla è dovuto. È stata inoltre imposta la pubblicità delle condizioni generali di contratto e in particolare dei tassi di interesse. La conformità a quanto reso pubblico è condizione di validità delle condizioni di contratto inserite nei singoli contratti bancari. Il cartello bancario è il cartello mediante il quale le banche concordano fra loro uniformi tassi attivi e passivi da praticare ai clienti. Il tasso di interesse e ogni altro prezzo o condizione del contratto possono essere successivamente variati in senso sfavorevole per il cliente solo se questa possibilità è prevista dal contratto e della variazione deve essere data comunicazione al cliente che può entro quindici giorni recedere dal contratto.

33.2 Il deposito bancario
Con il deposito bancario il cliente consegna una somma di denaro alla banca che ne acquista la proprietà ed è obbligata a restituirla nella stessa specie monetaria. Ha nell’interesse sel cliente la funzione di custodia e ha nell’interesse della banca una funzione di credito poiché dai depositi dei clienti la banca ricava il denaro che impiega per la propria attività di finanziamento.
Sulle somme depositate dal cliente la banca deve corrispondere gli interessi che normalmente sono molto inferiori al tasso legale per i depositi liberi e interessi più alti per i depositi vincolati.
Il deposito bancario è un contratto in conto corrente per il quale la banca apre presso di sé un conto a nome del cliente e l’apertura di questo conto attribuisce al contratto bancario il carattere di contratto a esecuzione continuata. Il deposito di conto corrente permette al depositante di eseguire successivi versamenti presso la banca nell’ambito del medesimo contratto. Il conto corente ordinario è stipulato da sogetti tra i quali intercorrono permanenti rapporti di affari che determinano una serie di contratti reciproci e un meccanismo analogo opera quando le operazioni bancarie sono in conto corrente ma rispetto al conto corrente ordinario il cliente può disporre in ogni momento senza dover attendere le scadenze del conto corrente ordinario. Il deposito bancario può essere documentato su di un apposito libretto di deposito a risparmio.

33.3 L’apertura di credito, anticipazione bancaria
Con l’apertura di credito la banca si obbliga a tenere a disposizione del cliente una determinata somma di denaro per un dato tempo o per un tempo indeterminato. L’apertura di credito produce effetto obbligatorio poiché la banca si fa debitrice del cliente per la somma accreditatagloi e il cliente acquista verso la banca il diritto di utilizzare il credito concessogli. L’apertura di credito è normalmente in conto corrente il che comporta che il cliente può utilizzare più volte il suo credito e ripristinare la sua disponibilità. L’apertura di credito può essere allo scoperto ossia senza garanzie reali o personali, oppure garantita da ipoteca o pegno.
Una sottospecie dell’apertura di credito garantita è l’anticipazione bancaria contraddistinta dal fatto che la garanzia offerta alla banca è costituita da pegno di titoli o di merci. La banca anticipante rilascia all’anticipato un documento nel quale le merci o i titoli dati in pegno sono individuati e provvede alla loro custodia e restituirà le merci o i titoli quando sarà stata rimborsata sall’anticipazione.
Le banche sono solite effettuare anticipazioni su crediti così il venditore dà in pegno alla banca i relativi crediti ottenendo subito l’anticipazione del loro importo. La banca riscuoterà i crediti ricevuti in pegno e detratti i rimborsi spettantile verserà l’eventuale residuo al cliente.

33.4 Lo sconto bancario
Lo sconto bancario è il contratto con il quale il cliente vende il proprio credito alla banca che gli corrisponde un importo inferiore all’importo nominale del credito. Lo sconto può avere ad oggetto crediti risultanti da cambiali o da assegni bancari trasmessi dal cliente alla banca tramite girata. Se la cambiale o l’assegno non sono pagati dal debitore la banca può agire in base al contratto di sconto e richiedere al cliente la restituzione della somma anticipatagli. La banca può a sua volta utilizzare il credito scontato per scontarlo presso un'altra banca dando luogo al cosiddetto risconto.

33.5 Il conto corrente di corrispondenza, il credito documentario, i servizi bancari accessori
Le operazioni bancarie in conto corrente sono modalità comuni a diversi contratti bancari mentre il contratto di conto corrente bancario è un contratto bancario a sé stante. È il contratto che ha per oggetto l’esecuzione da parte della banca e dietro corrispettivo di incarichi affidatile dal cliente come l’incasso di crediti e il pagamento di bollette. La banca utilizza per eseguire gli incarichi ricevuti ciò che dal conto risulta a credito del cliente a titolo di deposito o di apertura di credito.
La banca unisce altre funzioni accessorie come il servizio delle cassette di sicurezza. Si tratta di una locazione perché la banca non si obbliga a custodire gli oggetti che il cliente vi abbia risposto e si obbliga solo a consentire l’uso della cosa locata e a mantenerla idonea all’uso convenuto. Il deposito di titoli in amministrazione avviene quando azioni, obbligazioni e altri titoli possono verso compenso essere affidati alla banca in custodia che ne assume l’incarico di provvedere all’esercizio dei diritti inerenti ai tioli.


33.6 I contratti di borsa: la vendita a termine, il riporto
La borsa è il mercato dei capitali rappresentati da strumenti finanziari, i lmercato cioè delle azioni e delle obbligazioni. Dalla borsa valori va distinta la borsa merci che è il mercato delle merci prodotte in serie o delle derrate agricole. Il mercato di borsa è sottoposto al controllo di un apposito organo pubblico, la Consob. Sono detti contratti di borsa quei contratti che si sono formati attraverso la pratica delle borse e si muovono nello schema generale della compravendita e si dipartono in due categorie: quella dei contratti a contanti che vanno eseguiti entro tre giorni dalla stipulazione e contratti a termine che prevedono una esecuzione differita nel tempo. Secondo lo schema comune della vendita a termine di titoli di credito il venditore si impegna a trasferire al compratore titoli di una data specie e quantità alla fine del mese corrente o di quello successivo e il compratore si limita a pagare alla stessa scadenza.
Il riporto è anch’esso un contratto di applicazione più vasta del corrispondente contratto di borsa. È un contratto di vendita e allo stesso tempo di ricompera sui titoli nel quale un soggetto (riportato) trasferisce la proprietà di titoli di credito di una data specie ad un altro soggetto (riportatore) per un determinato prezzo e il riportatore si obbliga a trasferire al riportato alla scadenza del termine stabilito altrettanti titoli della medesima specie verso il rimborso del prezzo che può essere un prezzo aumentato (riporto) o diminuito (deporto).

CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO: I CONTRATTI DI ASSICURAZIONE E DI RENDITA

34.1 Il contratto di assicurazione
Il concetto base è il rischio cui sono esposti i beni o la vita dei singoli e il contratto di assicurazione ha la funzione di trasferire il rischio del singolo alla impresa di assicurazione e l’assicuratore si obbliga verso il corrispettivo pagamento di un premio a rivalere l’assicurato del danno prodotto dal verificarsi di un evento avverso detto sinistro. La compagnia di assicurazione forma con i premi pagati dall’insieme dei clientiun fondo premi dal quale attinge per indennizzare i singoli colpiti da un sinistro e così il danno prodotto dal sinistro viene distribuito tra tutti coloro che ad esso sono esposti e riportato alla misura del premio pagato all’assicurazione.
La funzione del contratto di assicurazione sta nel trasferimento del rischio dall’assicurato all’assicuratore dietro il corrispettivo di un premio. Perciò se il rischio non è mai esistito il contratto è nullo e i premi eventualmente pagati dovranno essere restituiti. Se invece il rischio cessa di esistere dopo la conclusione del contratto questo si scioglie. Il rischio può diminuire o all’opposto aggravarsi e l’assicuratore ha facoltà di sciogliere, con il recesso, il contratto di assicurazione salvo che non peferisca ridurre o aumentare l’entità del premio. L’equilibrio causale del contratto può essere alterato dalle dichiarazioni inesatte o dalla reticenza dell’assicurato che traggono in inganno l’assicuratore. Se l’assicurato aveva agito con dolo o con colpa grave l’assicuratore può entro tre mesi dalla scoperta della inesattezza della dichiarazione chiedere l’annullamento del contratto.
Il rischio che il contratto trasferisce all’assicuratore è quello al quale le cose o la vita dell’assicurato sono esposte per il caso fortuito o per forza maggiore ma sono escluse, salvo patto contrario, i casi di terremoto, guerra, insurrezione e tumulto o per il fatto doloso o colposo di terzi. Non sono invece indennizzati idanni che dipendono da dolo dell’assicurato e, salvo patto contrario, da colpa grave.
L’assicurato è il soggetto esposto al rischio dedotto in contratto. Nell’assicurazione per conto altrui l’assicurato è indicato nel contratto, nell’assicurazione stipulata con la clausola per conto di chi spetta l’assicurato è la persona che risulterà esposta al rischio assicurato al momento del sinistro. Può accadere che l’assicurato sia persona diversa dal beneficiario dell’assicurazione.
Il contratto di assicurazione appartiene alla categoria dei contratti di adesione e sebbene siano contratti in serie l’assicurato occupa la posizione di proponente e la sua proposta rimane ferma per quindici giorni al fine di consentire all’assicuratore di eseguire accertamenti sulla consistenza del rischio. Il contratto è consensuale e comincia a decorere dalla mezzanotte del giorno della sua conclusione ma resta sospeso fino a che il contraente non paga il premio o la prima rata di esso. La durata dell’assicurazione è fissata dal contratto e se eccede i dieci anni ciascuna delle parti può trascorso il decennio recedere dal contratto. Il ocntraente ha quindici giorni dalla scadenza di ciascuna rata per pagare i premi, se non paga l’assicurazione resta sospesa. Il contratto deve essere provato per iscritto e il documento che ne fornisce prova è la polizza di assicurazione.

34.2 L’assicurazione contro i danni
L’assicurazione contro i danni copre i rischi cui sono esposti i beni o i diritti patrimoniali dell’assicurato. È dominata dal principio indennitario e cioè il diritto dell’assicurato verso l’assicuratore è il diritto al risarcimento del danno subito. Questo principio si articola di varie regole. Anzitutto l’interesse dell’assicurazione nel senso che può validamente assicurarsi solo chi è esposto al rischio dedotto nel contratto altrimenti è nullo, per quanto riguarda il limite del risarcimento il pagamento dovuto dall’assicuratore non può avere altra natura che di risarcimento del danno e non può superare l’entità del danno subito. Con surrogazione dell’assicuratore si intende il principio indennitario che comporta che l’assicuratore una volta pagata l’indennità si sostituisce all’assicurato nell’esercizio dell’azione di danni verso gli eventuali terzi responsabili.
La regola è che se la cosa assicurata viene alienata il contratto di assicurazione si trasmette ma entrambe le parti possono sottrarsi recedendo dal contratto entro dieci giorni.
Il referente dell’assicurazione della responsabilità civile è il principio per il quale il debitore risponde dell’adempimento delle sue obbligazioni con l’intero suo patrimonio. Con questa forma di assicurazione l’assicuratore si obbliga a rimborsare l’assicurato di quanto questi debba pagare a terzi in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto di assicurazione esclusa solo la responsabilità dovuta a fatti dolosi. Le imprese di assicurazione possono a loro volta assicurarsi presso altre imprese, ossia riassicurarsi, per il rischio che il fondo premi non basti a fronteggiare gli impegni assunti.

34.3 L’assicurazione sulla vita
L’assicurazione sulla vita può assumere due forme: assicurazione per il caso di morte, se l’assicuratore si obbliga a pagare al beneficiario dell’assicurazione una somma o una rendita alla morte dell’assicurato, oppure assicurazione per il caso di sopravvivenza se l’assicuratore si obbliga a pagare all’assicurato o al terzo beneficiario una somma o una rendita fissa nel caso che l’assicurato sia ancora in vita. Ci si può anche assicurare sulla vita di un terzo purchè con il consenso di questo. L’assicurazione sulla vita ha carattere previdenziale, può essere contratta per qualsiasi somma e tutto dipende dall’ammontare del premio che questi è disposto a pagare.
Il premio varia a seconda dell’entità del rischio. Il cambiamento di professione in pendenza del contratto può comportare aggravamento del rischio. Il suicidio dell’assicurato intervenuto entro breve tempo (nei due anni successivi) dalla stipulazione del contratto legittima l’assicuratore a non pagare la somma assicurata salvo patto contrario. La designazione del beneficiario fatta dall’assicurato perde effetto ove il beneficiario per qualunque motivo attenti alla vita dell’assicurato.

34.4 L’assicurazione dei rischi della navigazione
L’assicurazione dei rischi della navigazione marittima trasferisce per contratto all’impresa di assicurazione i rischi cui sono esposti il proprietario della nave, l’armatore, il noleggiatore, il vettore o il caricatore per tutti gli accidenti della navigazione.
L’assicurazione contro i rischi della navigazione aerea si segnala per il fatto che il vettore ha l’obbligo di assicurare i passeggeri contro gli infortuni di volo ed è inoltre obbligatoria l’assicurazione della responsabilità civile contro i danni che l’aeromobile possa cagionare a terzi sulla superficie.




34.5 Il contratto di rendita
Nel caso di alienazione di un bene può essere previsto che l’acquirente anziché pagare un prezzo corrisponda una rendita all’alienante ossia si obblighi a corrispondergli periodicamente una somma di denaro. La rendita può essere perpetua quando è dovuta senza limiti di tempo e passa agli eredi oppure vitalizia e dura fino alla morte dell’avente diritto. La rendita perpetua può essere costituita solo con l’alienazione di un immobile (rendita fondiaria) o mediante la cessione di un capitale (rendita semplice).il credito del beneficiario deve essere però garantito da ipoteca. Della rendita vitalizia ne è applicazione il contratto di alimenti con il quale ci si obbliga a corrispondere a una persona per tutta la sua vita quanto occorre al suo sostentamento. La rendita perpetua è redimibile in qualsiasi momento per volontà del debitore. Con il riscatto il debitore il debitore si libera pagando una somma pari alla capitalizzazione della rendita annua al tasso di interesse legale (ossia la rendita annua moltiplicata per venti).

CAPITOLO TRENTACINQUESIMO: I CONTRATTI NELLE LITI

35.1 La transazione
La transazione è un contratto con il quale le parti facendosi reciproche concessioni pongono fine ad una lite già insorta tra loro o che può insorgere. L’essenza di questo contratto sta nelle reciproche concessioni delle parti in cui ciscuna di esse rinuncia parzialmente alla propria pretesa o alla propria contestazione. Le reciproche concessioni possono anche consistere nella costituzione modificazione o estinzione di rapporti diversi da quelli che formano oggetto di lite. Non è possibile transigere su materia sottratta alla disponibilità delle parti come ad esmpio in materia di diritti della personalità. La transazione presuppone l’incertezza sull’esito della lite ed è quindi annullabile la transazione du lite già decisa con sentenza passata in giudicato. Salvo patto contrario la transazione non comporta novazione, non determina cioè l’estinzione del precedente rapporto da cui è nata la lite. Se una delle parti non adempie gli obblighi nascenti dalla transazione l’altra può chiederne la risoluzione con l’effetto di poter riaprire la lite originaria. Il contratto di transazione deve essere provato per iscritto.

35.2 Il sequestro convenzionale, la cessione dei beni ai creditori, l’anticresi
Il sequestro convenzionale è il contratto con il quale due o più parti affidano ad un terzo una o più cose rispetto alle quali sia nata fra esse controversia perché le custodisca e le restituisca a quella fra le parti litiganti cui la cosa o le cose spetteranno quando la controversia sarà finita.
La cessione dei beni ai creditori ha la funzione di evitare al debitore di subire i fastide e le spese dell’esecuzione forzata: è il contratto con il quale il debitore incarica i suoi creditori o alcuni di essi di liquidare tutti o alcuni dei suoi beni e di ripartirne fra loro il ricavato per soddisfare i loro crediti. Il debitore è liberato solo dal giorno in cui i creditori ricevono il ricavato della liquidazione dei suoi beni e nella misura di quanto essi realizzano mentre il residuo va al debitore. Dalla data del contratto il debitore non può più disporre dei propri beni ma i creditori cessionari, se la cessione ha riguardato solo una parte dei beni del debitore, non possono agire su altri beni prima di aver liquidato quelli ceduti. L’amministrazione dei beni spetta ai creditori cessionari. Al contratto possono partecipare alcuni soltanto dei creditori e in tal caso il contratto non vincola gli altri creditori che possono agire esecutivamente anche sui beni ceduti.
L’anticresi è un contratto che presuppone tra le parti un preesistente rapporto obbligatorio avente per oggetto il pagamento di una somma di denaro. Con questo contratto il debitore si obbliga a consegnare un immobile al creditore affinchè questi ne goda e percepisca i frutti imputandoli a pagamento del proprio credito prima per gli interessi e poi per il capitale. Non può eccedere la durata di dieci anni e se ne richiede la forma scritta a pena di nullità nonché la registrazione.



PARTE SESTA

CAPITOLO TRENTASEIESIMO: LE ASSOCIAZIONI

36.1 Il concetto di associazione
Le associazioni sono innanzitutto delle istituzionio delle formazioni sociali e con questo si intende generalmente ogni forma di stabile organizzazione collettiva attraverso la quale vengono perseguiti scopi superindividuali. L’istituzione prende vita da un atto di autonomia contrattuale che è il contratto di associazione. Fra i contratti l’associazione si caratterizza come contratto plurilaterale con cominione di scopo dove le prestazioni di ognuna delle parti sono dirette al conseguimento di uno scopo comune in antitesi ai cosiddetti contratti di scambio, come contratto di organizzazione dove le prestazioni delle parti non vanno a diretto vantaggio delle altre ma sono destinate allo svolgimento di una attività. L’associazione si distingue dagli altri tipi di società per due caratteri specifici e cioè che l’organizzazione collettiva è costituita per il perseguimento di uno scopo di natura ideale o di natura non economica (partiti politici, sindacati), è un’organizzazione a struttura aperta e il contratto associativo è aperto a nuove adesioni senza comportare modificazione dell’atto costitutivo. Connesso con questo è il criterio che distingue le collettività organizzate per la realizzazione di un interesse di serie e collettività organizzate per la realizzazione di un interesse di gruppo. Queste ultime sono le socirtà lucrative e le altre le associazioni e le cooperative.

36.2 Associazione riconosciuta e associazione non riconosciuta come persona giuridica
Il codice civile distingue fra le associazioni riconosciute come persone giuridiche e le associazioni non riconosciute come persone giuridiche. Le prime sono le associazioni che hanno chiesto ed ottenuto questo riconoscimento, le seconde quelle che non l’hanno chiesto o avendolo chiesto non l’hanno ottenuto. Alcuni tipi di società (società di persone) sono privi di personalità giuridica ed altri (società di capitali e cooperative) ne sono dotati. Le società del primo tipo non possono conseguire la personalità giuridica, quelle del secondo tipo acquistano giuridica esistenza dal momento in cui conseguono la personalità giuridica. Le associazioni conseguono il riconoscimento della personalità giuridica in virtù dell’iscrizione nel registro delle persone giuridiche. Le società all’opposto conseguono la personalità giuridica con modalità speciale e la legge permette loro di acquistare la personalità giuridica con l’isrizione nel registro delle imprese.
La condizione giuridica delle associazioni non riconosciute è per molti aspetti parificata a quella delle associazioni riconosciute come persone come persone giuridiche e ad entrmbi compete la qualità di soggetti di diritto distinti dalle persone dei membri. I tratti che sono comuni e i tratti che differenziano i due tipi di associazione sono anzitutto che le associazioni riconosciute hanno un patrimonio che appartiene all’associazione mentre le associazioni non riconosciute hanno un fondo comune sul quale possono soddisfare le proprie ragioni i creditori dell’associazione ma non i creditori personali dei membri: tra patrimonio e fondo comune c’è dunque identità di condizione giuridica.
Le società riconosciute possono acquistare beni sia mobili che immobili e possono acquistarli sia a titolo oneroso sia a titolo gratuito. Le associazioni non riconosciute possono anch’esse acquistare beni, mobili e immobili, sia a titolo oneroso che a titolo gratuito.
Delle obbligazioni assunte da una associazione riconosciuta risponde l’associazione con il suo patrimonio mantre per le associazioni non riconosciute le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune e che delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidamente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’obbligazione.
L’elemento che differenzia le associazioni non riconosciute sta nella diversa posizione degli amministratori che nelle associazioni non riconosciute sono personalmente responsabili delle obbligazioni assunte in nome dell’associazione.
L’associazione non riconosciuta ha rappresentanti che agiscono in nome e per conto dell’associazione, non degli associati, e fanno acquistare diritti o assumere obbligazioni all’associazione.
L’associazione riconosciuta è sottoposta a controlli dell’autorità governativa anzitutto in sede di riconoscimento e successivamente in occasione di eventuali modificazioni dell’atto costitutivo o delle statuto. A nessun controllo pubblico sono invece sottoposte le associazioni non riconosciute.
Solo le associazioni riconosciute sono soggette a registrazione in un apposito registro delle persone giuridiche.
Le prerogative specifiche che si ottengono con il riconoscimento sono la liberazione degli amministratori da ogni personale responsabilità per le obbligazioni assunte in nome dell’associazione e gli oner sono la dimostrazione di disporre di un patrimonio di per sé sufficiente al raggiungimento dello scopo.

36.3 Il contratto di associazione e le sue vicende
L’atto costitutivo dell’associazione è un contratto che si determina in ragione del fatto dal fatto che le prestazioni, cui le parti sono obbligate, siano suscettibili di valutazione economica. Il contratto di associazione ha natura consensuale e necessita della forma scritta a pena di nullità degli eventuali apporti immobiliari in proprietà e in godimento ultranovennale o a tempo indeterminato. La forma dell’atto pubblico è titolo per il riconoscimento della personalità giuridica. Spesso il contratto di associazione si scompone in due documenti: l’atto costitutivo e lo statuto che giuridicamente formano un unico contratto. Requisiti essenziali sono lo scopo dell’associazione, le condizioni per l’ammissione degli associati e le regole sull’ordinamento interno.
L’acquisto della qualità di associato può essere simultaneo lla costituzione dell’associazione e può anche essere successivo ad essa poiché il ocntratto di associazione si inserisce nella categoria dei contratti aperti. L’aderente si pone, al pari delle parti originarie, nella posizione di contraente del contratto di associazione.
L’atto costitutivo o lo statuto deve indicare le condizioni per l’ammissione degli associati ed è inammissibile una clausola che vietasse nuove adesioni all’associazione o che all’opposto ne permettesse a chiunque l’ingresso o che infine rimettesse all’ammissione di nuovi associati all’arbitrio degli amministratori. Non attribuisce a questi ultimi un diritto all’ammissione né di conseguenza li legittima ad adire il giudice contro la deliberazione che respinga la richiesta di ammissione.
Il diritti e gli obblighi degli associati trovano la propria fonte nel ocntratto di associazione così, in ogni associazione, i contributi degli associati sono dovuti nella misura stabilita di anno in anno dagli organi dell’associazione.
È comunemente accolto il principio secondo il quale i soci delle associazioni debbono avere parità di diritti e di doveri e sebbene gli statuti di molte associazioni distinguono fra diverse categorie disuguaglianze di tal genere debbono considerarsi inammissibili nelle associazioni come sono inammissibili nelle società cooperative. La qualità di associato designa la posizione di parte nel rapporto contrattuale di associazione, il recesso corrisponde alla vicenda risolutiva del rapporto contrattuale prevista per i contratti in generale. La facoltà di recesso è riconosciuta all’associato e a ciascuna parte del contratto è dato di provocare lo scioglimento del vincolo che la univa alle altre parti. L’esclusione dell’associato è subordinata alla ricorrenza di gravi motivi e riconosce per implicito a ciascun associato un diritto alla permanenza nell’associazione. Questo diritto della parte viene meno solo in presenza di gravi motivi, nell’ipotesi di un suo inadempimento che non sia di scarsa importanza ed è rimesso al giudice il compito di stabilire se il motivo addotto a sostegno della esclusione integri o no gli estremi della gravità. La deliberazione di esclusione deve essere motivata e la motivazione dovrà enunciare un fatto determinato o una serie di fatti determinati che vengono ascritti all’associato e valutati come integranti l’estremo dei gravi motivi.
L’associazione si estingue per le cause previste dall’atto costitutivo per deliberazione dell’assemblea. Il verificarsi di una causa di estinzione ancora non determina l’estinzione dell’associazione ma la colloca in stato di liquidazione e solo quando tutti i debiti siano stati adempiuti si determina la vera e propria estinzione dell’associazione. Se residua un avanzo attivo è destinato dalla pubblica autorità ad altri enti che perseguono scopi analoghi.

36.4 Gli organi dell’associazione
L’organizzazione interna dell’associazione si articola in una pluralità di organi investiti della funzione di dare attuazione al contratto di associazione. Gli associati compongono uno di questi organi, l’assemblea e a questa si affianca l’organo formato dagli amministratori al quale può affiancarsi un ulteriore organo di controllo chiamato collegio dei probiviri.
L’assemblea degli associati ha una competenza necessaria e inderogabile per alcune materie come le modificazioni dell’atto costitutivo e dello statuto e la revoca degli amministratori. All’organo amministrativo deve ritenersi riservata una competenza esclusiva per ciò che attiene alle decisioni operative. L’assemblea è l’organo formato dall’intera collettività degli associati che delibera su tutte le materie che rientrano nella sua competenza con la presenza di almeno la metà degli associati ed è frequente che l’assemblea sia formata dai delegati. L’assemblea è convocata dagli amministratori, deve essere convocata almeno una volta l’anno per l’approvazione del bilancio e quando se ne ravvisa la necessità. La convocazione può essere motivatamente da un decimo degli associati. Lo statuto non può sostituire il metodo di assemblea con il sistema del referendum né il singolo associato può esprimere il proprio voto per corrispondenza. È invece ammessa la rappresentanza degli associati mediante delega scritta. Gli associati dispongono ciascuno di un solo voto e ogni diversa disposizione delleo statuto è nulla. Le deliberazioni assembleari devono constare da verbale che può essere redatto da notaio o dal segretario dell’assemblea. Sono annullabili le deliberazioni dell’assemblea contrarie alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto. Sorte delle deliberazioni prese dall’assemblea in violazione della legge è dunque la loro annullabilità e non pregiudica i diritti acquisiti dai terzi di buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione stessa.
Gli amministratori sono l’altro ogano necessario dell’associazione. Gli associati non possono astenersi dal nominare gli amministratori ed esercitare direttamente i poteri legislativamente attribuiti all’organo amministrativo. Gli amministratori sono responsabili del loro operato e debbono risarcire il danno che abbiano cagionato all’associazione. La responsabilità degli amministratori verso l’ente ha natura di responsabilità contrattuale e occorre che il danno subito dall’ente sia conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento. Se più amministratori sono responsabili verso l’ente la loro responsabilità sarà solidale. Gli amministratori di associazioni riconosciute sono responsabili anche nei confronti dei creditori e la responsabilità verso costoro è responsabilità da fatto illecito. Sugli amministratori incombe più in generale la responsabilità per ogni fatto illecito che nell’esercizio delle loro funzioni abbiano commesso a danno di terzi o di singoli associati.

CAPITOLO TRENTASETTESIMO: LE FONDAZIONI E I COMITATI

37.1 Le fondazioni
La fondazione può essere definita comela stabile organizzazione predisposta per la destinazione di un patrimonio privato ad un determinato scopo di pubblica utilità. Anche la fondazione trae origine da un atto di autonomia privata tuttavia dal contratto di associazione differisce sotto alcuni aspetti. L’atto costitutivo della fondazione è un atto unilaterale produttivo di effetti giuridici in virtù della sola dichiarazione di volontà del fondatore. Il patrimonio può assumere rilievo preponderante rispetto all’organizzazione e si riduce quindi ad un’attività di mera erogazione delle rendite del patrimonio oppure può assumere rilievo preponderante l’elemento organizzativo e allora il patrimonio può assolvere la funzione affatto strumentale di ocnsentire il funzionamento di una complessa organizzazione.
La fondazione può essere costituita per atto fra vivi per il quale è richiesta la forma dell’atto pubblico oppure per testamento. Il fondatore non partecipa in quanto tale all’esecuzione dell’atto di fondazione, egli si spoglia in modo definititvo della disponibilità dei beni che destina allo scopo e non concorre nella loro amministrazione che è compito degli amministratori. L’associazione ha organi dominanti e la fondazione organi serventi.
La destinazione del patrimonio dello scopo costituisce l’oggetto di un impegno contrattuale. La posizione degli amministratori della fondazione è altresì diversa da quella degli amministratori dell’associazione. Essi sono i soli arbitri della gestione e la loro carica può essere a vita e il fondatore non può, così come non possono i suoi eredi, ingerirsi in alcun modo nell’amministrazione.
La gamma di scopi perseguibili attraverso la fondazione è più ristretta di quella dell’associazione poiché questa può perseguire qualsiasi scopo di natura non economica purchè non vietato dalla legge. Il vincolo di destinazione non può cessare né per volontà del fondatore né per deliberazione degli amministratori né per provvedimento dell’autorità governativa.
La fondazione consegue la personalità giuridica con il riconoscimento che si consegue grazie all’iscrizione nel registro delle persone giuridiche.
Le associazioni possono indifferentemente operare tanto come associazioni riconosciute quanto come associazioni non riconosciute e la mancanza del riconoscimento comporta solo una parziale diversità di condizione giuridica; per le fondazioni non è prevista dalla legge una altrettanto generale possibilità di operare quali fondazioni non riconosciute.

37.2 I comitati
Può accadere che l’esigenza di perseguire fini di tale natura sia avvertita da persone che non dispongano di mezzi patrimoniali adeguati e costoro possono farsi promotori di una pubblica sottoscrizione e raccogliere in questo modo i fondi necessari per realizzare lo scopo. Il fenomeno si scompone in due fasi. Nella prima fase i componenti il comitato, detti promotori, annunciano al pubblico lo scopo da perseguire ed invitano ad effettuare offerte di denaro o di altri beni. Nella seconda fase i fondi formati da queste offerte, dette oblazioni, vengono quindi destinati allo scopo annunciato. Coloro che provvedono alla conservazione e destinazione dei fondi sono gli organizzatori e in quanto tali sono responsabili personalmente e solidamente del proprio operato. Solo se i fondi raccolti siano insufficienti allo scopo la destinazione può essere modifica non per volontà dei promotori ma per provvedimento dell’autorità governativa.
Si è in presenza di una fondazione costituita anziché per liberalità di una sola persona per quella della moltitudine di oblatori. Gli organizzatori si trovano rispetto a questi fondi nella stessa posizione degli amministratori di una fondazione.
Se il riconoscimento della personalità giuridica non viene chiesto o concesso i componenti il comitato assumono responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni assunte.

CAPITOLO TRENTOTTESIMO: LE SOCIETA’

38.1 Il concetto di società
Il nostro è un sistema composto da una pluralità di tipi di società ciascuna delle quali presenta proprie caratteristiche. Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni per l’esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili. Le società che hanno per oggetto un’attività commerciale devono costituirsi secondo uno dei tipi regolati nel codice civile quindi il sistema delle società si presenta come un sistema chiuso.
Di regola la società si costituisce per contratto al quale possono partecipare due o più persone salva l’eccezionale figura della società a responsabilità limitata costituita per atto unilaterale. La società, anche se costituita da due sole parti, è un contratto potenzialmente plurilaterale e nuove parti possono aggiungersi alle parti originarie.
I conferimenti sono le prestazioni alle quali le parti del contratto si obbligano e qui le parti conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di una attività e l’interesse di ciascuna parte non è senz’altro realizzato dalle prestazioni delle altre ma si realizza per effetto dell’attività comune cui le prestazioni di ciascuna parte sono preordinate. Sono menzionati separatamente i conferimenti de beni e servizi. Conferisce servizi il soci oche si obbliga ad una prestazione di fare e si impegna nei confronti degli altri soci. I beni conferiti formano un fondo comune vincolato a quella specifica destinazione che è l’esercizio dell’attività economica. Chi li conferisce non potrà più utilizzarli individualmente ma solo collettivamente. Al termine della società ciascun socio riavrà il bene conferito.
Perché possa dirsi in presenza di una società occorre che questa attività sia volta alla realizzazione di utili i quali dovranno, una volta realizzati, essere distribuiti fra i soci. Una attività di impresa può essere esercitata per realizzare iltre che scopi di natura economica anche scopi di natura ideale o comunque non economica. Altre volte può accadere che l’impresa sia esercitata a scopo di lucro ma i lucri realizzati non vengono distribuiti fra le parti. L’esercizio dell’impresa ha la funzione di procurare i mezzi finanziari necessari per lo svolgimento di una ulteriore attività.

38.2 Società e comunione
Il contratto di società dà vita a un fondo sociale e i beni conferiti dai soci cessano di essere beni di questo e si trasformano in patrimonio della società. Un rapporto di comunione si costituisce fra più persone per il solo fatto che più persone si trovano ad essere proprietarie di un medesimo bene e comunque i partecipanti ad esso vengono in considerazione come proprietari e soltanto come tali. La contrapposizione è fra diversi modi di utilizzazione della cosa poiché nella società i beni conferiti dalle parti vengono utilizzati per l’esercizio in comune di una ttività allo scopo di dividerne gli utili e l’intento delle parti è di farne uso quali mezzi di produzione. La condizione giuridica dei beni sociali è profondamente diversa da quella dei beni in comunione. Sui beni sociali è impresso uno specifico vincolo di destinazione che ne consenta l’utilizzazione solo per l’esercizio dell’attività di impresa e ne esclude ogni altra utilizzazione.
Per la società semplice è stabilito che il socio non può servirsi senza il ocnsenso degli altri soci delle cose appartenenti al patrimonio sociale per fini estranei a quelli della società. La società non si scioglie e i beni non possono essere ripartiti fra i soci se non quando sia decorso il termine per il quale fu contratta o quando sia stato conseguito l’oggetto sociale o questo sia diventato impossibile. E se per qualsiasi ragione uno dei soci cessa di fare parte della società egli o i suoi eredi non hanno diritto alla restituzione del conferimento, il bene conferito resta alla società ed al socio uscente o ai suoi eredi va solo una somma di denaro che corrisponda al valore della sua quota.

38.3 Società di persone e società di capitali
Il nome di società di persone viene usato per indicare tre tipi di società: la società semplice, la società in nome collettivo e la società in accomandita semplice. I caratteri dei primi tre tipi sono la responsabilità illimitata e solidale dei soci per le obbligazioni sociali, di tutti i soci nella società in nome collettivo e di tutti i soci, salvo patto contrario, della società semplice nonché dei soci accomandatari nella società in accomandita semplice (i soci accomandanti hanno responsabilità limitata). Assumere responsabilità illimitata significa per il socio rispondere dell’adempimento delle obbligazioni sociali con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Il potere di amministrazione inerisce direttamente alla qualità di socio e ciascun socio, per il solo fatto di essere socio, è amministratore della società.
Altra caratteristica è l’intrasferibilità della qualità di socio senza il ocnsenso degli altri soci. Se uno dei soci muore la sua quota non si trasmette agli eredi ed è necessario il consenso degli altri soci se uno dei soci voglia vendere la propria quota di partecipazione.
Alle società di persone si oppongono le società di capitali dove i soci vengono in considerazione solo in ragione della quota di capitale da essi sottoscritta. I soci godono del beneficio della responsabilità limitata cioè esi rischiano nell’impresa solo il denaro che hanno conferito in società.
Il potere di amministrazione è dissociato dalla qualità di socio e tale qualità gli conferisce solo il potere di concorrere con il proprio voto nella nomina degli amministratori. I soci formano uno solo di questi organi che è appunto l’assemblea, c’è poi il consiglio di amministrazione che può essere composto da non soci e c’è infine il collegio sindacale che ha la funzione di controllare l’amministrazione della società.
La qualità di socio è liberamente trasferibile e la sostituzione della persona del socio non richiede alcuna modificazione del contratto di società e si attua esclusivamente per volontà dei cedenti e del cessionario.
Nelle società per azioni e in accomandita per azioni la circolazione della qualità di socio è facilitata dal fatto che tale qualità è rappresentata da un documeto, l’azione.

CAPITOLO TRENTANOVESIMO: LE SOCIETA’ DI PERSONE

39.1 La società semplice
Nel nostro sistema giuridico è semplice la società che non presenta elementi di identificazione ulteriori rispetto a quelli previsti dal codice civile per la società in genere. La società è regolata dalle disposizioni per la società semplice quando ha per oggetto l’esercizio di una attività commerciale. La società semplice si presta, in astratto, ad una serie illimitata di utilizzazioni che si estende per tutto l’ambito delle attività definibili come attività economica. È diventata il prototipo dell’intera categoria delle società di persone perciò alle norme sulla società semplice si dovrà guardare come alla disciplina generale delle società di persone mentre le altre norme come la disciplina specifica del tipo.
Il contratto di società semplice non è soggetto a forme speciali e cale per esso la libertà delle forme salvo quelle richieste dalla natura dei beni conferiti. Il contratto di società può formarsi anche oralmente è può altresì formarsi tacitamente ossia desumersi dal comportamento concludente delle parti (società di fatto). Dalla società di fatto si deve distinguere la società occulta che non può essere una società di fatto poiché l’esistenza del contratto non viene esteriorizzata. Ai terzi è dato di provare che i debiti assunti, in nome proprio, dall’imprenditore apparentemente individuale sono in realtà debiti di una società della quale egli è l’amministratore e di invocare la responsabilità illimitata e solidale degli altri soci. La società apparente ricorre quando due o più persone si comportano in modo da ingenerare nei terzi l’opinione che esse agiscano come soci e sono assoggettati alle medesime conseguenze che sarebbero derivate dalla effettiva esistenza della società.
Il contratto sociale può essere modificato soltanto con il consenso di tutti i soci. Le modificazioni possono avere carattere soggettivo e consistere nella immissione di nuovi soci nella società oppure possono avere carattere oggettivo e riguardare il egolamento contrattuale voluto dai soci al momento della costituzione della società.
L’amministrazione è l’attività di esecuzione del contratto sociale e spetta a ciascun socio ma il principio vale solo per i soci con responsabilità illimitata. L’amministrazione spetta a ciascun socio disgiuntamente dagli altri e può concludere da solo ogni operazione che rientri nell’oggetto della società senza essere tenuto a richiedere l’approvazione degli altri soci. In caso di opposizione decide la maggioranza dei soci. La derogabilità di questo sistema di amministrazione si manifesta anzitutto nella possibilità di pattuire una forma di amministrazione congiuntiva quindi sarà necessario il consenso di tutti i soci amministratori per il compimento delle operazioni sociali. Il principio secondo il quale tutti i soci concorrono nell’amministrazione della società è derogabile da parte dell’atto costitutivo e può anche essere stabilitoche la persona o le persone degli amministratori siano designate eventualmente per una durata limitata nel tempo. Se gli amministratori sono più di uno e non è determinato il sistema di amministrazione essi amministrano disgiuntamente. A ciascun socio non amministratore è riconosciuto un duplice diritto: un diritto di informazione in qualsiasi momento e un diritto al rendiconto che il socio acquista al termine di ogni anno.
Salvo patto contrario ciascun socio ha diritto di percepire la sua parte di utili dopo l’approvazione del rendiconto. In linea di principio le parti spettanti ai soci nei guadagni si presumono proporzionali ai conferimenti e se il valore dei conferimenti non è determinato dal contratto le parti si presumono uguali. Le parti sono però escluse dal pattuire il cosiddetto patto leonino secondo il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite.
La società acquista diritti ed assume obbligazioni per mezzo dei soci che ne hanno rappresentanza. Questa spetta a ciascun socio amministratore e ne deriva che il diritto acquistato o l’obbligazione assunta è definibile come diritto o obbligazione sociale anche se il diritto è stato acquistato o l’obbligazione è stata assunta da un solo socio. Se il contratto ha instaurato il sistema di amministrazione congiuntiva anche il potere di rappresentanza deve essere esercitato con le stesse modalità e che occorrerà la partecipazione all’atto di tutti i soci amministratori. Delle obbligazioni sociali risponde anzitutto la società e la responsabilità è illimitata e solidale per tutti i soci secondo alcune regole. Sono in linea di principio illimitatamente e solidamente responsabili per le obbligazioni sociali tutti i soci. È ammesso il patto sociale di limitazione della responsabilità o di esclusione della solidarietà. Il patto di limitazione della responsabilità o di esclusione della solidarietà non vale per i soci che hanno agito in nome e per conto della società.
Il creditore particolare del socio non può agire sul patrimonio sociale ma può far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al socio suo debitore e chiedere la liquidazione della sua quota.
Lo scioglimento del rapporto sociale può essere scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, scioglimento dell’intero rapporto sociale. La morte del socio non determina lo scioglimento della società e il codice ammette che i soci superstiti preferiscano sciogliere la società oppure che preferiscano continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano.
A ciascun socio è riconosciuta la facoltà di recedere dalla socieà e può farlo, a proprio arbitrio, quando questa sia stata contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci, se la società è contratta a tempo determinato solo quando sussiste una giusta causa.
Sono cause di esclusione del socio le gravi inadempienze delle obbligazioni, la sua interdizione anche temporanea dai pubblici uffici, la sopravvenuta inidoneità del socio a svolgere l’opera conferita o il perimento della cosa conferita in godimento non imputabile agli amministratori. L’esclusione è deliberata dalla maggioranza dei soci per quote di interesse.
Il socio che recede o i suoi eredi hanno diritto ad una somma di denaro che rappresenti il valore della quota in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento. Sono cause di scioglimento della società il decorso del termine sempre che i soci non abbiano deliberato la proroga della società in modo espresso o tacito, il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo (per esempio l’insabile discordia tra i soci), il venire meno della pluralità dei soci oppure per altre cause previste nel contratto sociale. Il verificarsi di una causa scioglimento produce l’effetto di porre la società in liquidazione. Il patrimonio sociale non è più un patrimonio destinato all’esercizio di una impresa, gli amministratori non possono più utilizzarlo a questo fine ma essi possono compiere solo gli atti necessari alla sua conservazione. Da questo sorge un preciso diritto del socio che è il diritto al rimborso dei conferimenti e alla ripartizione del residuo attivo. La liquidazione può svolgersi secondo le modalità concordate fra i soci oppure secondo un procedimento convenzionale. Solo quando tutti i creditori sociali siano stati soddisfatti la società potrà dirsi estinta e i soci potranno restare comproprietari dei beni del patrimonio sociale oppure potranno ripartirselo in natura.

39.2 La società in nome collettivo
La società in nome collettivo occupa la posizione di tipo generico di società commerciale: quando due o più persone esercitano in comune allo scopo di dividerne gli utili una attività commerciale. È la società nella quale tutti i suoi soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali e il patto di limitazione della responsabilità o di esclusione della solidarietà non è opponibile ai terzi.
La società in nome collettivo è soggetta a quella particolare forma di pubblicità legale che è data dall’iscrizione nel registro delle imprese e se l’obbligo di pubblicità viene adempiuto la società assume una determinata condizione giuridica che si suole descrivere come della società in nome collettivo regolare, altrimenti essa è una società in nome collettivo irregolare. La mancata iscrizione della società nel registro delle imprese viene in rilievo solo per formulare una disciplina differenziata dei rapporti tra la società e i terzi. La condizione di società in nome collettivo regolare offre un triplice vantaggio. Anzitutto c’è un’accentuazione del vincolo di destinazione impresso sui beni sociali o una più intensa autonomia patrimoniale, poi la responsabilità è illimitata e solidale dei soci per le obbligazioni sociali non è una responsabilità diretta ma è una responsabilità sussidiaria e infine i poteri di rappresentanza dei soci amministratori sono regolati da una norma che dice che le limitazioni non sono opponibili ai terzi se non sono iscritte nel registro delle imprese o se non si prova che i terzi ne hanno avuto conoscenza.
L’atto costitutivo deve essere redatto per scrittura privata autenticata o per atto pubblico e deve contenere le generalità dei soci, la ragione sociale, la sede della società, l’oggetto sociale, i conferimenti di ciascun socio e le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti e la quota di ciascun socio negli utili e nelle perdite nonché la durata della società.
Oltre che l’atto costitutivo devono essere iscritte nel registro delle imprese le sue successive modificazioni e in mancanza dell’iscrizione le modificazioni e gli altri fatti non sono opponibili ai terzi a meno che non si provi che questi ne erano a conoscenza.

39.3 La società in accomandita semplice
La società in accomandita semplice si distingue dalla socieà in nome collettivo per la presenza, accanto ad uno o più soci, degli accomandatari, aventi gli stessi diritti e gli stessi obblighi sei soci in nome collettivo, di uno o più soci accomandanti, la posizione dei quali differisce da quella dei soci in nome collettivo sotto tre aspetti che sono il fatto di non partecipare all’amministrazione della società, di godere del beneficio della responsabilità limitata e sono necessariamente soci capitalisti.
La coesistenza dei soci accomandanti deve permanere per tutto il corso della società. La società agisce sotto una ragione sociale costituita dal nome di almeno uno dei soci accomandatari. L’amministrazione della società può essere conferita solo ai soci accomandatari. La società in accomandita semplice che non sia iscritta nel registro delle imprese assume la condizione giuridica di società in accomandita semplice irregolare.
Dal contratto di società in accomandita semplice si distingue quello di associazione in partecipazione che è un contratto di scambio con il quale un imprenditore (associante) riceve da un altro soggetto (associato) un determinato apporto e gli attribuisce in cambio una partecipazione agli utili. L’associato in partecipazione è dunque un finanziatore esterno all’impresa.

CAPITOLO QUARANTESIMO: LE SOCIETA’ DI CAPITALI

40.1 La società per azioni
La società per azioni è un tipo di società contraddistinto da due caratteri: l’uno risiede nella limitazione di responsabilità dei soci alla somma o al bene conferito, l’altro consiste nel fatto che le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da azioni.
Il patrimonio della società è formato dall’insieme dei conferimenti esguiti dai soci, esso può aumentare o diminuire in conseguenza degli utili o delle perdite. Diversa dalla nozione di patrimonio sociale è la nozione di capitale sociale dove la prima indica un complesso di beni e la seconda designa un’entità numerica la quale esprime in termini monetari il valore complessivo dei conferimenti promessi o eseguiti dai soci ed è una quantità rigida per la cui modificazione bisogna modificare l’atto costitutivo. Per costituire validamente una società per azioni occorre che sia stato sottoscritto per intero il capitale sociale ma è sufficiente che siano stati versati i tre decimi dei conferimenti in denaro. Una volta costituita la società può ingiungere ai soci di esguire la restante parte del conferimento e se il socio non adempie gli amministratori faranno vendere le sue azioni o dichiareranno decaduto il socio. Il valore del patrimonio sociale non deve scendere al di sotto di un terzo del capitale sociale. Il patrimonio sociale è la sola garanzia offerta ai creditori.
La partecipazione dei soci alla società è una partecipazione per quote di capitale ed è il numero delle quote sottoscritte o acquistate che dà la misura della partecipazione di ciascun socio alla società. Le quote di partecipazione dei soci sono a loro volta rappresentate da azioni che sono un bene mobile che può formare oggetto di diritti e del quale si può disporre come di qualsiasi altro bene mobile. L’azione ha un proprio valore nominale rapportato al capitale sociale e pari al quoziente della divisione del capitale sociale per il numero delle azioni. Successivamente le azioni acquistano un valore reale che può essere maggiore o minore di quello nominale.
Unico correttivo della responsabilità limitata è la determinazione di un capitale sociale minimo fino a giungere oggi a un minimo di 120.000 euro per le società per azioni e di 10.000 euro per le società a responsabilità limitata.
Il fenomeno dei gruppi è quello per il quale a ciascuna società per azioni non sempre corrisponde una distinta impresa ma corrisponde solo un frammento dell’impresa. La figura che domina la scena dell’economia contemporanea è quella del gruppo di società, operante sotto il controllo di una società madre che detiene tutte o almeno in maggioranza le azioni delle società controllate. La frammentazione dell’impresa in una pluralità di società raggiunge gli estremi quando si separano tra loro e si dà luogo ad una società-gruppo (holding pura) che non svolge alcuna attività di produzione o di scambio e si limita ad amministrare le proprie partecipzioni azionarie. La produzione industriale all’estero dà luogo ad una proliferazione di società tante quante sono i mercato esteri e queste multinazionali hanno il vantaggio di separare i rischi del mercato nazionale da quello estero.
La responsabilità limitata rende possibile una parziale traslazione del rischio connesso alle attività economiche della classe imprenditoriale ad altre classi sociali e l’insolvenza che colpirà la società lascerà in tutto o in parte insoddisfatti i crediti.
Regola base dell’ordinamento interno della società per azioni è il principio maggioritario, i soci deliberano in assemblea a maggioranza di voti e vincolano tutti i soci anche se non intervenuti o dissenzienti. È una maggioranza di capitale e formano una maggioranza i soci che detengono una maggiorfrazione di capitale. Maggioranza e minoranza si presentano come entità relativamente statiche fra le quali non c’è possibilità di ricambio. Questa rigida contrapposizione ha precise ragioni e si basa sulla diversa funzione cui è preordinata la detenzione di azioni di amggioranza o di minoranza. Si parla degli azionisti di maggioranza come del capitale di comando e degli azionisti di minoranza come capitale di risparmio.
La regola generale è che le azioni hanno uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti e ogni azione attribuisce il diritto ad una parte proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto risultante dalla liquidazione. La legge ha consentito l’emissione di azioni privilegiate nella ripartizione degli utili ma che attrbuiscono il voto solo nelle assemblee straordinarie. E si è consentita l’emissione, per una quota che non superi la metà del capitale sociale, le azioni di risparmio prive del diritto di voto e privilegiate nella ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale.

40.2 La società per azioni in mano pubblica
È in amno pubblica la società per azioni della quale lo Stato o altri enti pubblici detengono la totalità o la maggioranza delle azioni. Il codice civile assoggetta la società in mano pubblica alle stesse norme applicabili alla società in mano privata. Nel caso della società in mano pubblica sono sottoposti al diritto comune non solo gli esterni rapporti di impresa ma anche gli interni rapporti di organizzazione. Ne era sorta un sistema a forma di piramide alla base del quale vi era una moltitudine di società per azioni con partecipazione statale e al vertice della quale si collocava il parlamento della Repubblica. Prima della riforma del 1992 in posizione intermedia fra la base e il vertice si collocavano gli enti di gestione delle partecipazioni statali che erano enti pubblici (economici) del tutto simili a una holding. Alla base della piramide si collocavano le società operanti ossia le società per azioni che operavano direttamente attività economiche.




40.3 Il contratto di società per azioni e le sue vicende
La formazione del contratto di società per azioni è necessaria ma non sufficiente poiché occorre l’iscrizione nel registro delle imprese. Il contratto deve contenere le generalità dei soci, la denominzione (in qualunque modo formata) e la sede della società, l’oggetto sociale (ossia la specie di attività economica) che vale a limitare la sfera dei poteri degli organi sociali e una deroga all’oggetto sociale per un singolo caso non è ammissibile, l’ammontare del capitale sottoscritto e versato (sottoscritto per intero e versato per almeno tre decimi e fino al conferimento le azioni sono definite non parzialmente liberate), il valore nominale e il numero delle azioni (con indicazione se nominative o al portatore) che non possono emettersi per somme inferiori al loro valore nominale, il valore dei crediti e dei beni conferiti in natura, le norme secondo le quali gli utili debbono essere ripartiti, i benefici eventualmente accordati ai promotori o ai soci fondatori, il sistema di amministrazione adottato, il numero dei componenti il collegio sindacale, la nomina dei primi amministratori e sindaci e del revisore contabile, l’importo globale delle spese per la costituzione poste a carico della società e la durata della società. Da quest’ultima norma si desume che il contratto di una società per azioni è un contratto a tempo determinato (salva la possibile proroga). La società per azioni deve costituirsi per atto pubblico e la forma solenne è qui richiesta a pena di nullità.
A seguito della riforma l’omologazione è divenuta una fase solo eventuale cosicchè il notaio che ha verbalizzato la deliberazione dell’assemblea, verificato l’adempimento delle condizioni di legge, dovrà chiederne l’iscrizione nel registro delle imprese entro trenta giorni. Solo qualora il notaio ritenga non adempiute le condizioni stabilite dalla legge ne dà comunicazione tempestiva agli amministratori. Questi nei trenta giorni successivi possono convocare l’assemblea e fatte le opportune modifiche possono ricorrere al tribunale affinchè ordini l’iscrizione nel registro delle imprese. È stata inoltre fissata la regola per la quale ad ogni modifica dello statuto deve essere depositato nel registro il testo integrale dello statuto modificato. Il decreto del tribunale che omologa l’atto costitutivo ordina l’iscrizione della società nel registro delle imprese e se entro un anno dal versamento dei decimi non ha avuto luogo l’iscrizione le somme versate devono essere restituite ai sottoscrittori. Quindi per la società di azioni l’iscrizione nel registro delle imprese ha efficacia costitutiva della società.
Esistono tre casi, espressamenti elencati, nei quali esiste la possibilità di pronunciare la nullità della società e questi casi di nullità dell’atto costitutivo sono trasformate in cause di scioglimento. Quindi può essere pronunciata la nullità se vi è mancata stipulazione dell’atto costitutivo sotto forma di atto pubblico, illiceità dell’oggetto sociale e mancanza nell’atto costitutivo o nello statuto di ogni indicazione riguardante la denominazione della società o i conferimenti o l’ammontare del capitale sottoscritto o l’oggetto sociale. Ogni altra possibile anomalia dell’atto costitutivo è sanata con l’iscrizione della società nel registro delle imprese.
Si ha modificazione dell’atto costitutivo ogniqualvolta i patti intercorsi tra i soci al momento della costituzione della società e consacrati nell’atto costitutivo vengono sostituiti con altre pattuizioni nel corso dell’attività sociale e quando vengano introdotte clausole statuarie destinate ad aggiungersi alle pattuizioni originarie anche senza arrecare alcuna modifica ad esse. Richiedono una deliberazione di assemblea straordinaria e sono sottoposte allo stesso sistema di pubblicità cui è sottoposto l’atto costitutivo. Non sono possibili modificazioni di fatto dell’atto costitutivo. Non sono modificazioni dell’atto costitutivo i mutamenti come la sostituzione della persona del socio. L’atto costitutivo è modificabile con votazione a maggioranza.
I soci dissenzienti dalle deliberazioni riguardanti il cambiamento dell’oggetto sociale o del tipo di società hanno diritto di recedere dalla società e di ottenere il rimborso delle proprie azioni ed è nullo ogni patto che esclude il diritto di recesso o ne rende più gravoso l’esercizio. La nuova riforma ha distinto due ordini di cause di recesso: cause di recesso indisponibili (non eliminabili per modificazione statutaria) e cause di recesso disponibili, eliminabili percioò con modificazione statutaria. Sono inoltre previsti a protezione dell’integrità del patrimonio sociale l’inefficacia del recesso ove la società revochi la deliberazione che lo legittima, l’offerta in opzione delle azioni del socio recedente agli altri soci, il collocamento presso terzi delle azioni non optate, il rimborso delle azioni mediante l’acquisto da parte della società a fronte di riserve disponibili o se mancano utili o riserve disponibili la convocazione dell’assemblea per deliberare la riduzione del capitale sociale o lo scioglimento della società.
Fra le modificazioni dell’atto costitutivo occupano una posizione particolare quelle che consistono nella variazione del capitale sociale indicato nell’atto costitutivo. L’aumento di capitale può essere gratuito oppure a pagamento. Il primo è quello che si attua senza un corrispondente aumento del patrimonio sociale. Determina l’effetto di immobilizzare i fondi sarebbero altrimenti liberamente disponibili e potrebbero essere distribuiti ai soci a titolo di dividendo. Per l’aumento gratuito di capitale sono previste due modalità che sono o l’emissione di nuove azioni oppure l’aumento del valore nominale delle azioni in circolazione. L’aumento a pagamento è strumento di finanziamento della società e in questo caso spetta ai vecchi azionisti il diritto di opzione cosicchè le azioni di nuova emissione devono essere offerte in opzione ai soci e gli estranei potranno sottosriverle solo dopo che sia inutilmente trascorso il termine indicato nell’offerta di opzione. Dall’esercizio del diritto di opzione nasce un ulteriore diritto di prelazione e coloro che lo esercitano sono preferiti nell’acquisto di azioni che siano rimaste non optate.
Una riduzione del capitale sociale è obbligatoria nel caso particolare che il capitale sociale sia diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite. Gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea per gli opportuni provvedimenti e se la perdita non risulta diminuita di oltre un terzo l’assemblea che approva il bilancio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite. Se per la perdita di oltre un terzo del capitale questo scende al di sotto del minimo legale gli amministratori devono convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale oppure la trasformazione del tipo o lo scioglimento della società.
Il verificarsi di una causa non determina senz’altro la cessazione del rapporto sociale ma dà luogo ad una fase che è la liquidazione del patrimonio sociale al termine del quale las ocietà potrà dirsi estinta. Le cause di scioglimento possono essere il decorso del termine (se non è stato prorogato), il conseguimento dell’oggetto o la sua divenuta impossibilità, l’impossibilità di funzionamento o la continuata inattività dell’assemblea, la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, l’incapacità patrimoniale della società di procedere alla liquidazione della quota del socio recedente, la deliberazione dell’assemblea di scioglimento anticipato e altre cause previste dall’atto costitutivo. Determinano inoltre lo scioglimento della società la dichiarazione di fallimento e il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa. Incombe sugli amministratori l’obbligo di procedere al loro accertamento e alla iscrizione nel registro delle imprese di una dichiarazione che la attesti. Se gli amministratori non adempiono l’acceertamento della causa di scioglimento è eseguita con decreto del tribunale e tali effetti si producono dalla data della iscrizione del decreto nel registro delle imprese.
La traformazione della società è la modificazione del tipo di società e incide sulla disciplina normativa del rapporto sociale. La traformazione si attua mediante una deliberazione modificativa dell’atto costitutivo. I soci a responsabilità illimitata non sono liberati dalla responsabilità per le obbligazioni sociali anteriori alla trasformazione salvo che i creditori abbiano dato il loro consenso alla trasformazione. A ciascun socio viene assegnato un numero di azioni proporzionale al valore della sua quota quale risulta dall’ultimo bilancio approvato. Bisogna però distinguere fra trasformazione omogenea e trasformazione eterogenea. Tra le molteplici forme della prima quella più rilevante è la trasformazione di una società di persone in una società per azioni. La trasformazione si attua mediante una deliberazione modificatica dell’atto costitutivo a maggioranza. Quando sia invece una società di capitali a trasformarsi in una società di persone occorre il consenso dei soci che a seguito della trasformazione assumeranno responsabilità illimitata. La nuova riforma ha previsto anche la trasformazione eterogenea sotto il duplice aspetto della trasformazione da società di capitali e in società di capitali. Una società di capitali può con deliberazione a maggioranza trasformarsi in un consorzio o in una società cooperativa.. per il quale è però necessaria una maggioranza dei due terzi degli aventi diritto al voto. Per quanto riguarda l’ipotesi inversa è prevista solo per le associazioni riconosciute ossia per quelle che garantiscono una accertata consistenza patrimoniale. La trasformazione è deliberata con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consorziati e nelle associazioni quella dei tre quarti. La trasformazione delle associazioni può essere esclusa dall’atto costitutivo o per legge. Ha effetto trascorsi sessanta giorni dall’ultimo degli adempimenti pubblicitari previsti salvo che risulti il consenso dei creditori.
La fusione tra società è il fenomeno per il quale una sola società prende vita da una o più società esistenti. Vi è la forma mediante costituzione di nuova società e mediante incorporazione. Il procedimento ha tre fasi. La prima ha per protagonisti gli amministratori delle società che partecipano alla fusione i quali devono redigere un progetto di fusione dal quale risulti l’atto costitutivo della società risultante dalla fusione. La seconda fase ha per protagoniste le assemblee delle società partecipanti alla fusione e il progetto deve essere approvato da ciascuna delle società che vi partecipano e tali deliberazioni devono essere omologate e iscritte nel registro delle imprese al fine di permettere ai creditori di opporsi. La terza fase ha di nuovo protagonisti gli amministratori delle società partecipanti alla fusione che questa volta operano congiuntamente e da essi viene redatto l’atto di fusione il quale necessita dell’atto pubblico. I diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione non si estinguono e la nuova società assume i diritti e gli obblighi delle società estinte.
Fenomeno inverso rispetto alla fusioneè la scissione delle società. Può avvenire mediante il trasferimento di tutto o in parte del patrimonio di una società preesistenti o mediante il suo trasferimento a nuove società. Opera su un duplice piano: in senso oggettivo scinde un patrimonio sociale in due o più patrimoni sociali e in senso soggettivo moltiplica una società in due o più società. A tutela dei creditori è previsto che essi possano fare opposizione alla scissione e nei loro confronti le società sono responsabili in solido nei limiti del patrimonio netto ad esse trasferito o rimasto.

40.4 Le partecipazioni azionarie
La società può, a date condizioni, acquistare proprie azioni o azioni di altre società. L’acquisto delle proprie azioni non può eccedere la decima parte del capitale ed è subordinato ad una triplice condizione: che esso sia autorizzato dall’assemblea, che sia fatto con somme prelevate da utili distribuibili e che si tratti di azioni interamente liberate. Il diritto di voto inerente alle azioni acquistate è sospeso finchè esse restano in proprietà della società.
L’acquisto di azioni di altre società è in linea generale permesso ed è descritto come la frammentazione dell’impresa nei gruppi di società. L’acquisto di azioni di altre società è vietato in due ipotesi: in primo luogo quando fra le due società si instaura un rapporto di partecipazione reciproca e inoltre la società non può acquistare né sottoscrivere azioni o quote della società controllante se non con somme prelevate dalle riserve, esclusa la riserva legale. La legge dispone che le azioni o le quote acquistate in violazione delle norme devono essere alienate secondo modalità da definirsi in sede di assemblea entro un anno. In mancanza la società controllante deve procedere al loro annullamento e alla corrispondente riduzione di capitale.
La società controllata da altra società non può esercitare diritto di voto nelle assemblee di questa. Per società controllata si intende la società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili (controllo azionario di diritto), oppure che detenga dei voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante (controllo azionario di fatto) o infine quando la società si trova sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali. Questa serie di regole tende ad evitare che gli amministratori della società dominante possano acquistare nella assemblea della propria società una posizione di potere personale e se la partecipazione azionaria fosse di maggioranza affrancarsi da ogni responsabilità nei confronti della società da essi amministrata. Alle prime due ipotesi è equiparata quella del controllo indiretto attuato per interposizione di una terza società o di persone.
Ad evitare una moltiplicazione illusoria della ricchezza è rivolta la norma la quale vieta alle società di costituire o di aumentare il capitale mediante sottoscrizione reciproca di azioni, anche per interposta persona. Si vuole evitare così il fenomeno per cui una medesima somma di denaro permetta la costituzione di due società.
Un secondo ordine di limiti stabilisce che l’assunzione di partecipazioni in altre imprese non è consentita se per la misura e per l’oggetto della partecipazione ne risulta sostanzialmente modificato l’oggetto sociale determinato dall’atto esecutivo.
L’aspirazione alla responsabilità limitata ha condotto al riconoscimento della società per azioni con un unico socio limitatamente responsabile. Può essere sia ul fondatore della società creata dunque per atto unilaterale o può essere il socio nel quale si concentrano tutte le azioni successivamente alla fondazione. Perché l’azionista possa fruire del beneficio della responsabilità limitata occorre che siano stati eseguiti per intero i conferimenti in denaro e che gli amministratori della società abbiano depositato per l’iscrizione nel registro delle imprese una dichiarazione contenente le generalità dell’unico socio. Se poi si ricostituisce la pluralità dei soci sull’amministratore grava analogo dovere di pubblicità.

40.5 Le obbligazioni
Le obbligazioni sono, come le azioni, titoli di credito emessi in serie, identici tra loro e destinati al grande pubblico degli investitori. Non rappresentano quote di partecipazione della società e non attribuiscono ai loro possessori la qualità di socio: gli obbligazionisti sono semplici creditori della società e il rapporto sottostante al titolo è un mutuo. Una figura si colloca in posizione intermedia ed è quella delle obbligazioni convertibili in azioni e secondo la prassi corrente la società delibera contemporaneamente l’emissione di obbligazioni e l’aumento del capitale sociale per un ammontare corrispondente. Le obbligazioni convertibili offrono tempo per decidere se restare nella condizione di obbligazionista oppura optare per quello di azionista.
La possibilità di emettere obbligazioni è un privilegio delle società per azioni e in accomandita per azioni ed è subordinata ad una serie di garanzie. Anzitutto le obbligazioni non possono essere emesse per somma eccedente il capitale versato e il capitale sociale non può essere ridotto se non in proporzione delle obbligazioni già rimborsate, il predetto limite del capitale e delle riserve può essere superato se le obbligazioni emesse in eccedenza sono destinate alla sottoscrizione da parte di investitori qualificati, il predetto limite non opera se le obbligazioni sono garantite da ipoteca su immobili di proprietà sociale e il predetto limite non si applica alle società con azioni quotate nei mercati regolamentari e l’emissione di obbligazioni deve essere deliberata dagli amministratori. Ciascuna obbligazione deve indicare la denominazione, l’oggetto e la sede della società, il capitale sociale e le riserve esistenti al momento dell’emissione, la data della deliberazione, l’ammontare complessivo delle obbligazioni emesse, il valore nominale di ciascuna e il modo di pagamento e rimborso nonché la garanzia da cui sono eventualmente assistite.
L’organizzazione del gruppo si articola in una assemblea degli obbligazionisti che a sua volta nomina. Ogni tre anni, un rappresentante comune anche non obbligazionista. All’assemblea spetta in particolare di deliberare sulle modificazioni delle condizioni del prestito. Al rappresentante comune spetta di dare esecuzione alle deliberazioni dell’assemblea e la sua figura si esprime con l’esigenza della società di avere sempre dinanzi a sé un interlocutore abilitato a trattare per conto degli obbligazionisti.

40.6 Gli organi della società
L’organizzazione interna della società per azioni si articola in una pluralità di organi, ciascuno dei quali investito di una propria competenza. L’assemblea può ordinaria o straordinaria e la loro differenza attiene alla materia da trattare a seconda del carattere degli oggetti posti in deliberazione. Altra differenza sono i quorum costitutivi o deliberativi diversi e il verbale dll’assemblea straordinaria deve essere redatto da un notaio.
L’assemblea ordinaria approva il bilancio, nomina e revoca gli amministratori, i sindaci e il presidente del collegio sindacale, determina il loro compenso, delibera sulla loro responsabilità, sugli altri oggetti attribuitile dalla legge e approva l’eventuale regolamento dei lavori assembleari. Può inoltre deliberare sulla revoca degli amministratori, sulla determinazione dell’utile da dividere ai soci e l’autorizzazione all’acquisto delle proprie azioni.
L’assemblea straordinaria delibera sulle modificazioni dell’atto costitutivo, sulla nomina e sui poteri dei liquidatori. L’assemblea può validamente deliberare solo nelle materie che siano espressamente attribuite alla sua competenza e delibera su altri oggetti attinenti alla gestione della società solo se riservati alla sua competenza dall’atto costitutivo. La sua è una competenza speciale e ogni materia che non rientra in questa competenza è di competenza degli amministratori.
All’assemblea spettano i supremi atti di governo della società: essa nomina, ogni tre anni, gli amministratori e può revocarli in qualunque tempo. Dalla competenza dell’assemblea esula la gestione dell’impresa che è di competenza esclusiva degli amministratori che hanno il diritto di respingere ogni ingerenza dell’assemblea e disattendere ogni direttiva di essa e la sorte delle deliberazioni che eccedono la competenza dell’assemblea è la loro inefficacia.
Il bilancio d’esercizio consta di tre documenti: lo stato patrimoniale, il conto economico e la nota integrativa. La funzione del bilancio è duplice: la prima è dimostrare il valore del patrimonio sociale, la seconda è di esporre gli utili distribuibili al termine dell’esercizio stesso. La prima di queste funzioni garantisce l’interesse dei terzi creditori mentre la seconda è preordinata al soddisfacimento di uno specifico interesse degli azionisti. Il bilancio deve essere redatto in modo da poter assolvere compiutamente la sua funzione informativa e il codice pone limiti massimi alla valutazione degli elementi dell’attivo dal momento che il valore effettivo dei songoli elementi dell’attivo può essere superiore al limite massimo imposto alla loro valutazione. Il bilancio d’esercizio è redatto dagli amministratori che è però solo un progetto di bilancio che l’assemblea può approvare o meno, e in quest’ultimo caso gli amministratori dovranno riformularlo e ripresentarlo all’assemblea. L’assemblea che approva il bilancio delibera anche sulla distribuzione degli utili ai soci. L’utile distribuibile diventa dividendo solo se la maggioranza assembleare decida di ripartirlo fra i soci, fanno eccezione le azioni di risparmio ai possessori delle quali è riconosciuto il diritto alla percezione annua di un dividendo minimo.
L’invalidità delle deliberazioni assembleari è di due specie: nullità (speciale) e annullabilità (generale). La deliberazione è nulla solo se ha un oggetto impossibile o illecito, è invece annullabile in ogni altro in cui risulti presa non in conformità della legge o dell’atto costitutivo. Specifiche cause di invalidità delle deliberazioni si riconducono al concetto di abuso di diritto di voto. Una prima ipotesi è quella del voto espresso in conflitto di interessi e così se il voto dell’azionista in conflitto di interessi è stato determinante agli effetti del calcolo della maggioranza assembleare allora ssume rilievo il modo con il quale ha votato e la deliberazione può essere impugnata qualora possa recare danno alla società. Una regola generale dell’abuso del diritto di voto è che non lo si può esercitare per realizzare interessi particolari estranei alla causa del contratto di società.
Quando l’interesse della società lo esige il diritto di opzione può essere limitato o escluso con la deliberazione di aumento di capitale approvata da tanti soci che rappresentino almeno la metà del capitale ma tale limitazione è invalida se ispirata da un interesse extra-sociale.

40.7 Continua: gli amministratori e i sindaci
La nuova riforma ha previsto oltre a un ordinario sistema di amministrazione due sistemi alternativi detti l’uno sistema dualistico e l’altro sistema monistico che valgono solo in quanto lo statuto li abbia esplicitamente adottati
Gli amministratori costituiscono il potere esecutivo della società per azioni e sono dotati di poteri decisionali. Hanno una competenza generale che si estende a tutti gli atti diretti a conseguire l’oggetto sociale. Possiedono inoltre potere di iniziativa verso l’assemblea: spetta ad essi convocarla e fissare l’ordine del giorno.
L’organo amministrativo può essere formato da una sola persona (amministratore unico) oppure essere formato da una pluralità di persone (consiglio di amministrazione). La nomina degli amministratori spetta all’assemblea fatta eccezione per i primi amministratori nominati nell’atto esecutivo. Sono nominati per un periodo di tre anni e sono rieleggibili. L’assemblea può sempre revocarli senza alcuna necessità di motivare le ragioni della revoca. Il consiglio di amministrazione agisce collegialmente e delibera a maggioranza assoluta dei presenti. La violazione di norme di legge o di atto costitutivo non dà luogo ad azioni di nullità o di annullamento delle deliberazioni consiliari. L’azione di annullamento è ammessa in una sola ipotesi: in quella della deliberazione presa con il voto determinante dall’amministratore in conflitto di interessi con la società. La legge stabilisce che l’amministratore che in una determinata operazione ha un interesse in conflitto deve darne notizia agli altri e al collegio sindacale e ad astenersi dal voto. La riforma del 2003 dispone che le deliberazioni consiliari che non sono prese in conformità alla legge o allo statuto possono essere impugnate dal collegio sindacale o dagli amministratori dissenzienti. L’annullamento delle delibere consiliari rende nulli i diritti dei terzi in amla fede conservando però quelli dei terzi in buona fede. Il presidente del consiglio di amministrazione convoca il consiglio fissando l’ordine del giorno, regola i lavori consiliari e dichiara l’esito delle votazioni. Lo statuto può attribuirgli altri poteri come la rappresentanza legale della società oppure può fare di lui un presidente esecutivo con poteri decisionali. I direttori generali sono dipendenti dell’azienda investiti di compiti di alta gestione.
Nelle società per azioni di grandi dimensioni il consiglio di amministrazione non attende in modo continuo alla gestione sociale e conferisce ad uno o più amministratori la qualità di consiglieri delegati.
La rappresentanza della società spetta agli amministratori. Per quanto riguarda l’estensione dei poteri la regola è che i limiti statutari ai poteri di rappresentanza degli amministratori non sono opponibili ai terzi. I poteri di rappresentanza degli amministratori si estendono a tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale. L’estraneità all’oggetto sociale degli atti compiuti dagli amministratori in nome della società non può essere opposta ai terzi in buona fede. Gli amministratori sono responsabili del loro operato in una triplice direzione: nei confronti della società, nei confronti dei creditori sociali e nei confronti di singoli soci o singoli terzi. La responsabilità verso la società investe ciascun amministratore in ragione del fatto di avere personalmente partecipato all’atto che ha causato il danno. Per liberarsi dalla personale responsabilità per gli atti o le omissioni degli altri il singolo amministratore dovrà far annotare il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio. Se più amministratori appaiono responsabili la loro responsabilità sarà solidale.
L’azione sociale di responsabilità è deliberata dall’assemblea ma non comporta automaticamente la revoca degli amministratori, per avere effetto la revoca deve essere presa con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale.
Gli amministratori sono responsabili anche nei confronti dei creditori sociali per l’osservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.
Per quanto riguarda la responsabilità verso soci o terzi l’azione è riconosciuta al socio in quanto sia stato, come singolo socio, danneggiato direttamente dagli amministratori. L’azione è inoltre riconosciuta ad ogni terzo anche diverso dal creditore sociale.
Il collegio sindacale è l’organo di controllo della società per azioni. È composto da membri nominati dall’assemblea e gli è attribuita la funzione di controllare l’amministrazione della società e di vigilare sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo. Si compone di tre o cinque membri effettivi e di due supplenti, funziona collegialmente e delibera a maggioranza. La nuova riforma ha considerato ineleggibili alla carica di sindaco il coniuge, i parenti o gli affini degli amministratori entro il quarto grado, coloro che sono legati alla società o alle società controllanti o controllate. Per assicurare che la carica di sindaco sia attribuita a persone tecnicamente preparate il codice ha previsto che almeno uno dei sindaci deve essere scelto fra gli iscritti nel registro dei revisori contabili e gli altri tra gli iscritti negli albi professionali. Per quanto riguarda i sistemi alternativi il sistema dualistico interpone fra l’assemblea e l’organo di amministrazione un consiglio di sorveglianza (nominato dall’assemblea) e che nomina gli amministratori. Nel sistema monistico il controllo della gestione è affidato a un comitato per il controllo che è eletto dal consiglio di amministrazione. Ha inoltre la facoltà di chiedere agli amministratori notizie sull’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari. La legge gli aggiunge forme di auto-tutela delle minoranze contro l’illecito operato degli amministratori e consiste nel potere riconosciuto a ciascun socio di sollecitare l’attività di controllo del collegio sindacale su specifici fatti e se la denuncia proviene da un socio o più che rappresentino almeno un ventesimo del capitale sociale allora il collegio sindacale dovrà indagare senza ritardo sui fatti denunciati.

40.8 Controlli esterni sull’amministrazione
Più energica forma di auto-tutela è quella prevista se vi è il fondato sospetto di gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri degli amministratori e i soci che rappresentano il decimo del capitale sociale possono denunciare i fatti al tribunale. Questo dispone l’ispezione dell’amministrazione a spese dei soci richiedenti. In caso fossero trovate irregolarità il può disporre gli opportuni provvedimenti cautelari e convocare l’assemblea e nei casi più gravi revocare egli stesso gli amministratori e nominare un amministratore giudiziario. Questi provvedimenti possono essere adottati su richiesta del pubblico ministero e in questo caso le spese per l’ispezione sono a carico della società. Una forma di controllo esterno è la Consob (commissione nazionale per le società e la borsa) e le sue funzioni sono circoscritte alle società con azioni quotate in borsa e che ha essenzialmente il compito di promuovere una più ampia informazione del pubblico circa la situazione patrimoniale e le interne vicende della società e dei gruppi di società.

40.9 Le altre società di capitali
La società in accomandita per azioni è una società per azioni modificata dalla presenza di uno o più soci accomandatari, illimitatamente e solidamente responsabili per le obbligazioni sociali ead essa si applicano le norme relative alla società per azioni. La denominazione sociale sotto la quale la società agisce deve essere costituita dal nome di almeno uno dei soci accomandatari. La qualità di socio accomandatario è strettamente collegata alla carica di amministratore: non si può essere amministratori senza essere soci accomandatari né si può essere soci accomandatari senza essere amministratori.
La creazione delle società a responsabilità limitata attiene al benificio esteso al settore della media e piccola impresa per la quale è richiesto un capitale sociale minimo di 10.000 euro quindi assai inferiore a quella delle società per azioni.
L’elemento che la differenzia dalle società per azioni è che le quote di partecipazioni dei soci non possono essere rappresentate da azioni e quindi la società a responsabilità limitata non può fare ricorso al mercato del risparmio e deve trarre i propri mezzi finanziari dalle risorse di un ristretto gruppo di soci.
In seguito alla riforma alla società a responsabilità illimitata è stata attribuita massima autonomia dello statuto. Secondo il nuovo modello l’atto costitutivo può concentrare tutti i poteri in capo ai soci ed attribuire ad essi anche l’amministrazione della società e dissociare il potere di amministrazione dalla qualità di socio e attribuire l’amministrazione a uno o più soci soltanto nominati con decisione collettiva dei soci. Sono invece riservate alla collettività dei soci l’approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili nonché le modificazioni dell’atto costitutivo.
La struttura della società a responsabilità limitata è fondalmentalmente la stessa di una società per azioni. Gli amministratori sono di regola soci ma l’atto costitutivo può consentire che l’amministrazione sia affidata a non soci. La presenza del collegio sindacale è obbligatoria solo se l’atto costitutivo lo richiede o quando il capitale sociale è uguale o superiore al capitale minimo richiesto per la società per azioni e quando manca il collegio sindacale il controllo sull’amministrazione è esercitato direttamente dai soci.
A differenza di quanto accade nelle società per azioni dove le quote, rappresentate da azioni, sono tutte uguali nella società a responsabilità limitata possono essere di diverso ammontare. Le quote sono in linea di principio trasferibili ma l’atto costitutivo può vietarne il trasferimento anche per causa di morte. La riforma del 2003 ha determinato nuove regole sul recesso del socio e ha stabilito che se la società è stata contratta a tempo indeterminato il socio può in ogni momento recedere dalla società con un preavviso di sei mesi, se la società è stata costituita a tempo determinato il socio ha il diritto di recedere in ogni momento se le quote sono intrasferibili e ha in ogni caso diritto di recedere nelle ipotesi previste dall’atto costitutivo. Il trasferimento della quota si attua con effetto tra le parti in virtù del consenso da esse manifestato e perché il trasferimento acquisti efficacia nei confronti della società occorre l’iscrizione del trasferiemento stesso nel libro dei soci. I creditori particolari del socio possono espropriare la quota con la conseguenza che questa viene sottoposto a vendita forzata.
È ammessa la società a responsabilità limitata con un unico socio e l’innovazione assume un duplice aspetto: la società può essere costituita per atto unilaterale e l’unico socio può fruire della responsabilità limitata sia se si tratta di persona fisica sia di persona giuridica. A tutela dei terzi la fruizione della responsabilità limitata è sottoposta a due condizioni e cioè che le generalità dell’unico socio devono essere rese pubbliche mediante l’iscrizione nel registro delle imprese e i conferimenti in denaro devono essere interamente versati.

CAPITOLO QUARANTUNESIMO: LE SOCIETA’ COOPERATIVE

41.1 Lo scopo mutualistico
I tipi di società fin qui considerati si sogliono ricomprendere sotto la denominazione di società lucrative. Il fenomeno economico-sociale cui si dà il nome di cooperazione è quello per il quale un gruppo di utenti o un gruppo di lavoratori di un determinato settore imprenditoriale si organizza in società per esercitare l’attività di impresa in quel determinato settore. Alla gestione capitalistica dell’impresa è sostituita l’autogestione dell’impresa da parte degli utenti o dei lavoratori. Il fine è di realizzare anziché il profitto l’immediato vantaggio dei soci in quanto utenti o in quanto lavoaratori e cioè di vendergli a un minor prezzo o retribuirli con un maggior salario. Alle società cooperative si applicano le norme per la società per azioni. Alcuni limiti differenziali sono il limite massimo della partecipazione di ciascun socio al capitale della società (nessun socio può avere una quota di capitale superiore a 100.000 euro), il limite minimo al numero di soci che per la società cooperativa devono essere almeno nove. Sono aggiunti poi altri limiti agli effetti dell’iscrizione della cooperativa nei registri prefettizi che prevedono che per la società cooperativa di consumo devono esserci almeno cinquanta soci e per quelle di produzione almeno venticinque. Le cosiddette piccole cooperative possono essere composte da solo tre soci e per loro valgon le regole delle società a responsabilità limitata. Le cooperative hanno una variabilità del capitale sociale che non è determinato in un ammontare prestabilito ed è quindi strutturalmente aperta all’ingresso di nuovi soci. Ogni socio dispone di un solo voto qualunque sia il valore della sua quota.

41.2 L’attuazione dello scopo mutualistico
Il fenomeno cooperativo si scompone in una duplicità di rapporti: il rapporto di società e la molteplicità di rapporti di scambio. L’impresa viene esercitata al fine di offrire ai soci più vantaggiose occasioni di acquisto o di lavoro.
Le cooperative possono in teoria attribuire ai soci il vantaggio mutualistico in un duplice modo: direttamente applicando loro costi più bassi oppure indirettamente attribuendo loro un salario pari a quello delle società lucrative per poi versare loro somme di denaro, i ristorni, corrispondenti alla differenza fra prezzi praticati e costi. Il ristorno non è corrisposto ai soci in proporzione della quota di capitale sottoscritta ma proporzionalmente alla quantità e qualità degli scambi mutualistici.
La riforma del 2003 ha introdotto la distinzione fra le cooperative amutualità prevalente e le altre cooperative. Le cooperative di consumo vendono ai soci e ai non soci e le cooperative di lavoro utilizzano oltre che il lavoro dei soci anche quello dei non soci.
I caratteri per i quali una cooperativa è a mutualistica prevalente sono lo svolgere la loro attività prevalentemente in favore dei soci, avvalersi prevalentemente delle prestazioni lavorative dei soci e avvalersi prevalentemente degli apporti di beni da parte dei soci. Per l’accertamento devono evidenziare che i ricavi delle vendite dei beni verso i soci sono superiori al cinquanta per cento del totale, che il costo del lavoro dei soci è superiore al cinquanta per cento del totale e che il costo della produzione per beni conferiti dai soci è superiore al cinquanta per cento del costo totale dei servizi. Per le cooperative a mutualità prevalente vale una serie di regole che devono essere previste nei loro statuti e cioè il divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori, il divieto di distribuire le riserve fra i soci cooperatori e l’obbligo di devoluzione in caso di scioglimento dell’intero patrimonio sociale.
Per quanto riguarda le altre cooperative devono imporre un limite statuario alla ripartizione dei dividendi fra i soci e un limite di legge in forza del quale l’utile di bilancio può essere distribuito solo se l’indebitamento è superiore a un quarto del patrimonio netto.
In tutte le cooperative il trenta per cento degli utili netti attuali deve essere destinato a riserva legale. Si intende infine che una società che operi solo con terzi e che non abbia altra entrate che non siano utili sarà da qualificare come società lucrativa. Nelle società cooperative per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il suo patrimonio. Le quote di aprtecipazione dei soci possono essere rappresentate da azioni.
Le cooperative sono sottoposte ad un complesso sistema di controlli esterni e in particolare due specie di controlli: quelli che concernono il fenomeno cooperativo nel suo insieme e che si concretano nella tenuta di registri prefettizi e di uno schedario generale della cooperazione e controlli che concernono le singole cooperative e che si avvalgono dello strumento dell’ispezione.

CAPITOLO QUARANTADUESIMO: GLI ENTI PUBBLICI

42.1 Persone giuridiche pubbliche e private
Alle organizzazioni collettive fin qui considerate si attribuisce il carattere di personalità giuridiche private e ad esse si oppongono quelle con il carattere di personalità giuridiche pubbliche o enti pubblici. Agli enti pubblici il codice civile stabilisce che ad essi non si applicano le norme del codice civile sulle persone giuridiche private. Sono enti pubblici anzitutto lo stato e gli altri enti pubblici territoriali che si distinguono per il potere sovrano che detengono. Li si definisce come enti territoriali perché sono enti esponenziali di una data comunità stanziata su un determinato territorio.
Dagli enti pubblici territoriali si distinguono altri enti pubblici ai quali sono affidati compiti specifici. Una serie vasta e importante è quella degli enti pubblici economici che esercitano una attività commerciale. Altro criterio di classificazione è quello che identifica gli enti strumentali dello Stato che mette in evidenza l’esistenza di enti che svolgono attività proprie dello Stato o di altro ente territoriale. La ragione di questa preferenza è l’esistenza di una più efficiente e più razionale organizzazione del pubblico potere. Il loro rapporto strumentale o di servizio si manifesta nel fatto che lo Stato ha spesso il potere di nominare e di revocare gli amministratori e sempre quello di formulare direttive per l’attuazione dei fini istituzionali dell’ente (direttive)
Gli enti pubblici territoriali hanno la cosiddetta doppia capacità, di diritto pubblico e privato. La prima è la potestaà sovrana che l’ente pubblico può esercitare sulle cose e nei confronti delle persone e il suo potere di emanare atti autoritativi. La seconda è invece l’attitudine dell’ente pubblico di essere titolare di diritti e di doveri e di compiere atti giuridici. Al contrario gli enti pubblici strumentali hanno solo capacità di diritto privato. Tutti gli enti pubblici perseguono fini pubblici e soddisfano interessi valutati come pubblici interessi.
Si è in presenza di una persona giuridica pubblica quando l’ordinamento giuridico sottrae un determinato ente alle norme del codice civile per sottoporla ad una speciale disciplina normativa creata per essi. I termini della contrapposizione tra persona giuridica pubblica e privata cessano di esistere poiché si applicano alle persone giuridiche sottoposte a diritto comune mentre l’ente è regolato dal diritto singolare. Alla disciplina del codice civile sono sottratte quelle persone giuridiche le quali rivestono uno spiccato interesse pubblico.
La struttura organizzativa degli enti pubblici territoriali presenta analogie con quella delle associazioni e delle società mentre la struttura degli enti pubblici strumentali tende a riprodurre lo schema delle fondazioni. I primi hanno un organo assembleare e i secondi solo organi esecutivi.

42.2 La capacità di diritto privato degli enti pubblici
Tutti gli enti pubblici hanno capacità di diritto privato e c’è perfetta identità tra una persona giuridica privata e una persona giuridica pubblica. Sono così applicabili agli enti pubblici tutte le noeme che i libri della proprietà delle obbligazioni e della tutela dei diritti formulano con generico riguardo alle persone. Secondo i principi dello stato di diritto i poteri sovrani possono essere esercitati solo nei casi ed entro i limiti fissati dalla legge e sono integralmente sottoposti al diritto comune.
Un significativo banco di prova del principio che assoggetta lo Stato e gli altri enti pubblici al diritto comune è costituito dalla disciplina del fatto illecito commesso dai loro funzionari e dipendenti e al riguardo valgono le regole secondo le quali dei fatti illeciti compiuti da funzionari e dipendenti sono direttamente responsabili coloro che li hanno commessi (è esclusa però la responsabilità per colpa lieve) e che del danno risponde inoltre lo Stato o l’ente pubblico da cui dipende colui che lo ha cagionato.

PARTE SETTIMA

CAPITOLO QUARANTOTTESIMO: LE SUCCESSIONI A CAUSA DI MORTE

48.1 I rapporti trasmissibili a causa di morte
Alla morte della persona alcuni suoi diritti e alcune sue obbligazioni si estinguono, altri diritti e altre obbligazioni si trasmettono ai successori e la stessa regola vale per i contratti. Si estinguono i diritti e gli obblighi non patrimoniali. Può però accadere altra persona assuma il medesimo obbligo ma il nuovo obbligato ne sarà titolare a titolo originario. Si estinguono i diritti della personalità. Per contro i diritti patrimoniali assoluti del defunto, ossia la proprietà e gli altri diritti reali di godimento e le garanzie reali, si trasmettono ai suoi successori salvo che non potessero durare oltre la vita del primo titolare e ugualmete si trasmettono le situazioni passive.
Si trasmettono ai successori i diritti patrimoniali relativi, ossia i diritti di credito, e le obbligazioni del defunto, ossia i suoi debiti, esclusi quelli che abbiano carattere strettamente personale. Carattere strettamente personale è ravvisabile nel debito che abbia per oggetto una prestazione di fare.
Più complesso discorso vale per i contratti in corso di esecuzione alla morte di uno dei contraenti e si può dire che il contratto non si estingue e che il successore del contraente subentra nell’esercizio dei diritti. Se muore una delle parti in un contratto preliminare di vendita questo si trasmette al successore che sarà obbligato a concludere il contratto definitivo. Alla regola della successione sono sottoposti anche i contratti aventi carattere personale tranne per alcuni casi quali i contratti che obbligavano il defunto a una prestazione di fare, inesigibile a carico degli eredi e i contratti che riflettevano propensioni del tutto personali del contraente defunto che i suoi successori sono liberi di non condividere (così non si trasmette di regola agli eredi la partecipazione al contratto di associazione. Si trasmette agli eredi la quota di partecipazione a società per azioni e a società a responsabilità limitata. La maggior parte dei beni fanno capo a società di capitali e la loro trasmissione a causa di morte avviene in forma indiretta.
Può accadere che la morte colpisca una delle parti prima che il contratto sia concluso. La morte del proponente toglie ogni efficacia alla proposta. Alla regola fa eccezione la proposta irrevocabile che è vincolante per l’erede del defunto. Per quanto riguarda il caso in cui proponente o accettante sia un imprenditore non piccolo se questi muore prima della conclusione del contratto la sua proposta o accettuazione contrattuale conserva efficacia. Il favore legislativo è dunque per la continuità dei rapporti.

48.2 L’eredità e le diverse forme della successione
L’insieme dei rapporti giuridiciche alla morte della persone si trasmettono ai suoi successori prende il nome di eredità, la persona della cui eredità si tratta è l’ereditando, la persona che acquista l’eredità prende il nome di erede (o di coeredità e coeredi se sono più di uno).
La successione si apre al momento della morte nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto dove si eseguono le prime formalità e si compiono gli atti di accettazione dell’eredità. Gli eredi hanno un termine per accettare l’eredità. Di per sé la morte del soggetto produce solo una situazione giuridica che è detta delazione dell’eredità cioè il suo patrimonio è destinato all’eredità ma non si conoscono ancora i suoi eredi. Può assumere due forme: delazione per legge o per testamento. Nel primo caso opera in due situazioni: quando l’ereditando non aveva fatto testamento (e allora gli succedono i parenti legittimi) e nel caso in cui l’ereditando aveva pregiudicato i diritti che la legge riserva ai parenti legittimari.
Sicchè si fa capo a tre forme di successione. La successione testamentaria avviene se l’ereditando aveva fatto testamento e quindi l’eredità si devolve alle persone da lui indicate. La successione legittima (intestata) avviene se l’ereditando non aveva fatto testamento e quindi si devolve l’eredità ai parenti indicati dalla legge. Qui acquista rilievo il grado di parentela che la legge considera entro il sesto grado e se mancano parenti entro questo grado i beni relitti vanno allo Stato. La successione necessaria opera in due casi e cioè se l’ereditario aveva fatto testamento ma aveva trascurato determinati parenti ai quali la legge riconosce il diritto di succedergli o se, morto senza testamento, aveva donato i suoi beni in misura tale da ledere il diritto di successione dei parenti che possono fare azione di riduzione per riacquistare tale diritto.
Esiste un limite alla facoltà di disporre dei propri diritti poiché questa facoltà può essere esercitata solo per una quota (quota disponibile) del proprio patrimonio mentre un’altra quota (riserva) è invece attribuita per legge a determinati parenti.
Si suole dire che la morte di una persona determina la vocazione (testamentaria o per legge), o chiamata, dei successori: la vocazione è il titolo in base al quale l’erede è chiamato a succedere.
Fondamentale è la distinzione fra successione a titolo universale e a titolo particolare. Si ha il primo caso quando tutti i beni (o una quota di essi) vanno a un solo successore per cui acquista la totalità dei rapporti trasmissibili del defunto. Il successore a titolo particolare è invece la persona alla quale vanno uno o più beni determinati.

48.3 Capacità a succedere e successione per rappresentazione
Non tutti coloro che sono chiamati alla successione, per testamento o per legge, possono succedere. Occorre che siano capaci di succedere e che non ne siano indegni. Sono capaci di succedere sia le persone fisiche sia gli enti riconosciuti o non come persone giuridiche. Sono capci di succedere non soltanto le persone già nate al momento dell’apertura della successione ma anche quelle che a quel tempo siano solo concepite e si presume già concepito al tempo dell’apertura della successione chi è nato entro 300 giorni dalla morte dell’ereditando. Per testamento inoltre si possono lasciare i propri beni al figlio non ancora concepito di una data persona già vivente.
Indegne di succedere sono le persone che abbiano commesso gravi reati nei confronti del defunto o dei suoi parenti e chi ha falsificato il testamento o ha indotto il testatore a fare testamento o a mutarlo. Perché costoro succedano occorre che il defunto li avesse riabilitati.
Si ha successione per rappresentazione nel caso in cui una persona non voglia o non possa succedere cioè non accetti l’eredità o vi rinunci oppure che muoia prima dell’apertura della successione o sia indegna di succedere. La rappresentazione fa subentrare i discendenti alla persona che non possa o non voglia succedere. Ha luogo in linea retta e in linea collaterale solo a favore dei fratelli e delle sorelle. La divisione dell’eredità per stirpi per cui i nipoti dell’ereditario riceveranno complessivamente solo la quota che sarebbe spettata al loro ascendente. Il successore che non può o non vuole succedere prende il nome di rappresentato mentre chi assume il suo posto nella successione è il rappresentante. Questi ha un proprio diritto a succedere anche se fosse incapace o indegno. Quando mancano i presupposti della successione per rappresentazione può avere luogo l’accrescimento e la quota rimasta vacante andrà a coloro che avrebbero concorso con l’erede mancante.

48.4 L’accettazione dell’eredità e la separazione dei beni
Il momento della delazione coincide con quello dell’apertura della successione. L’atteggiamento che assumono i chiamati è l’accettazione dell’eredità. L’accettazione produrrà i suoi effetti retroattivamente dal momento dell’apertura della successione. Prima dell’accettazione tuttavia il chiamato alla successione può esercitare le azioni possessorie e può compiere atti conservativi e di amministrazione temporanea. L’accettazione è necessaria solo per l’acquisto dell’eredità: i legato si acquistano immediatamente senza bisogno di accettazione. Il legatario deve chiedere all’erede la consegna del bene legatogli dal testatore. Può accadere che l’erede prenda possesso dei beni prima di accettare. Se invece non ne prende possesso l’eredità viene a trovarsi nella condizione di eredità giacente e il pretore del mandamento nomina un curatore che cessa dal suo incarico quando l’eredità viene accettata.
L’erede ha dieci anni di tempo per accettare e per chi è erede sotto condizione dal momento in cui si avvera. L’accettazione può essere espressa o tacita e quella espressa si fa per atto pubblico o scrittura privata e non può essere una accettazione parziale. L’accettazione è tacita quando l’erede si comporta come tale compiendo un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare. Implica accettazione la vendità dell’eredità ed ogni altro atto di disposizione dei diritti di successione. Implica accettazione la rinuncia alla successione fatta verso corrispettivo o a favore di altri chiamati. Quando l’erede tarda ad accettare il giudice può fissargli un termine affinchè si decida e se l’erede muore prima di accettare il diritto di successione passa ai suoi eredi. L’accettazione è un atto che si può impugnare solo per violenza o per dolo ma non per errore.
L’accettazione dell’eredità può essere un’accettazione pura e semplice oppure un’accettazione con beneficio di inventario. La prima fa si che i beni del defunto si confondano con il patrimonio dell’erede ma egli può accettare l’eredità con beneficio di inventario per cui il patrimonio del defunto diverrà suo ma resterà separato dagli altri suoi beni. Da ciò derivano due conseguenza e cioè che i creditori del defunto e i legatari non potranno pretendere più di quanto corrisponde al valore dell’eredità ed essi avranno diritto di preferenza sul patrimonio ereditario di fronte ai creditori dell’erede, infine l’erede non potrà sottrarre ai creditori del defunto i beni ereditari diminuendone il valore o alienandoli. Questa accettazione si fa con atto ricevuto da notaio e va trascritta, se ci sono dei beni immobili, e inserita nel registro delle successioni. Perché essa abbia effetto occorre, entro tre mesi, l’erede compia l’inventario dei beni ereditari.
Il pagamento dei creditori e dei legatari può avvenire in tre modi. L’erede può pagare gli uni e gli altri man mano che si presentano, l’erede può seguire una procedura concorsuale simile al fallimento che passa attraverso le fasi dell’accertamento dei debiti e nella graduazione i creditori sono preferiti ai legatari, l’erede può rilasciare i beni ereditari a creditori e legatari. L’erede decade dal beneficio di inventario se non esegue l’inventario nei termini di legge o se aliena i beni ereditari senza autorizzazione. Quando un erede è incapace o è un ente diverso dalle società chi rappresenta l’incapace deve accettare con beneficio di inventario.
Un analogo interesse a tenere separati il patrimonio del defunto e quello dell’erede possono averlo anche i creditori del defunto e i legatari. Perciò creditori e legatari possono chiedere entro tre mesi dall’apertura della successione la separazione dei due patrimoni. Le conseguenze saranno che sul patrimonio ereditario potranno soddisfarsi creditori e legatari separatisti con preferenza rispetto agli altri, se i beni ereditari non saranno sufficienti essi potranno aggredire anche i beni propri dell’erede che abbia accettato senza beneficio di inventario.
L’erede può rinunciare all’eredità e la rinuncia è un atto unilaterale che va compiuto con le stesse formalità che sono rischieste per l’accettazione. La rinuncia non può essere sottoposta a termine o a condizione e può essere impugnata per violenza o per dolo ma non per errore. In caso di rinuncia i creditori possono impugnare la rinuncia ma con il limitato effetto di potersi soddisfare sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro creditori.
All’erede che abbia accettato l’eredità spetta un’azione detta petizione di eredità. Con essa l’erede chiede l’accertamento della sua qualità di erede e quindi la consegna dei beni ereditari ed è un’azione imprescrittibile. Se nel frattempo il possessore dei beni li avesse alienati ad un terzo l’erede può agire anche nei confronti di questi fatti salvi però i diritti di chi abbia acquistato in buona fede dall’erede apparente.

48.5 La comunione ereditaria e la divisione
Se gli eredi sono due o più tra essi si instaura una situazione di contitolarità dei diritti e delle obbligazioni. I beni e i diritti reali del defunto formano la comunione ereditaria e i coeredi partecipano alla comunione in proporzione alla loro quota. Rispetto alla normale situazione di contitolarità si hanno delle differenze. Anzitutto i crediti e i debiti ereditari danno luogo ad obbligazioni parziarie e non solidali e il coerede può alienare la sua quota ma prima deve offrirla ai suoi coeredi e se non lo fa i coeredi possono riscattarla presso l’acquirente rimborsandogli il prezzo pagato e infine ciascuno dei coeredi può chiedere la divisione ma questa non ha luogo se il testatore l’ha vietata (divieto che comunque non dura più di cinque anni) e non può avere luogo se qualcuno dei chiamati è un concepito.
Alla divisione del patrimonio erditario si può arrivare in tre modi. La divisione amichevole è fatta con il consenso di tutti i coeredi ed è un contratto. La divisione giudiziale avviene se i coeredi non sono d’accordo e ciascuno di loro può chiederla all’autorità giudiziaria, se i coeredi hanno quote uguali le porzioni di ciascuno vengono estratte a sorte altrimenti si vendono i beni e si divide tra i coeredi la somma ricavata. La divisione fatta può essere fatta anche dal testatore.
La divisione amichevole può essere impugnata solo per violenza e dolo e in ogni caso se siano toccati a uno dei condividenti beni che valgono meno di tre quarti il valore della sua quota la divisione può essere rescissa. La divisione ha effetto retroaativo cosicchè i beni assegnati ai condividenti si considerino come pervenuti loro a causa di morte.
Se i coeredi sono discendenti del defunto nell’assegnare a ciascuno la sua porzione si tiene conto delle donazioni che egli abbia ricevuto dal defunto. È la cosiddetta collazione che mira ad evitare disparità di trattamento tra eredi che abbiano già ricevuto dall’ereditando ancora in vita ed eredi che non abbiano ricevuto. L’ereditando può tuttavia rendere palese la sua diversa volontà con la dispensa della collazione. La collazione giova solo ai discendenti e al coniuge e non ad altri eredi. Il concetto di donazione va inteso in senso ampio intendendo ciò che si è ricevuto per donazione direttamente o indirettamente. La collazione si può fare in due modi e cioè in natura quando il coerede rende in natura il bene che in vita gli aveva donato il defunto o per imputazione quando il coerede trattiene il bene ma detrae dalla quota ereditaria il valore del bene stesso. La collazione dei beni mobili si fa solo per imputazione. Se il valore di ciò che si è ricevuto in donazione è superiore al valore della quota erditaria il donatario potrà evitare l’esborso rinunciando all’eredità. Se uno dei coeredi aveva debiti verso l’ereditando deve imputare alla propria quota l’ammontare dei debiti.

CAPITOLO QUARANTANOVESIMO: LA SUCCESSIONE PER LEGGE

49.1 La successione legittima
Il fondamento della successione per legge è nel rapporto di famiglia che unisce l’ereditando e gli eredi. Il rapporto familiare è assunto in senso molto ristretto mentre nella successione necessaria è assunto in modo molto esteso. Nel primo caso lo stretto rapporto di famiglia è concepito dalla legge come costitutivo di un diritto alla successione sottratto al potere dispositivo dell’ereditando, nel secondo caso il vincolo familiare è concepito come titolo per la successione che opera solo in mancanza di una diversa disposizione dell’ereditando. L’ordine è il seguente: se ci sono figli i beni vanno a loro in parti uguali e al coniuge va metà del patrimonio o un terzo se concorre con dei figli; se non ci sono figli due terzi vanno al coniuge e un terzo a genitori, fratelli e sorelle; se nessuno di costoro sia sopravvissuto i beni vanno ai parenti senza distinzione di linea fino al sesto grado tenendo presente le norme sulla rappresentanza. Quando non ci sono parenti entro il sesto grado i beni vanno allo Stato che li acquista senza bisogno di accettazione ma risponde dei debiti ereditari entro il valore dei beni ereditati.

49.2 La successione necessaria dei legittimari
Se l’ereditando ha un coniuge o altri discendenti o ascendenti una quota dell’eredità è riservata a questi anche contro la sua espressa volontà. Questa quota è detta riserva o legittima, mentre al resto del patrimonio ereditario si dà il nome di disponibile. La riserva può arrivare a coprire fino a tre quarti del patrimonio ereditario. Per chi muoia senza lasciare né coniuge né figli la disponibilità si estende fino a due terzi, se gli sopravvivono ascendenti altrimenti egli potrà disporre liberamente dell’intero patrimonio. Queste norme limitano la libertà di donare potendo i diritti degli stretti congiunti essere stati lesi da donazioni che l’ereditando abbia fatto in vita a favore di altri.
I parenti che hanno diritto di succedere nella quota di riserva sono il coniuge, i figli, gli ascendenti legittimi e quelli adottivi. Essi succedono nella misura e nell’ordine seguenti: al coniuge spetta la metà del patrimonio che si riduce ad un terzo o un quarto se concorre con uno o più figli oltre al diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare; ai figli o ai loro discendenti vanno un mezzo o due terzi del patrimonio da dividersi in parti uguali, se c’è un solo figlio in terzo del patrimonio va a lui e un altro al coniuge, se i figli sono più di uno ad essi va complessivamente la metà del patrimonio e un quarto va al coniuge; in amncanza di figli agli ascendenti del morto è riservato un terzo del patrimonio che si riduce a un quarto se concorrono con il coniuge.
La quota disponibile e la riserva si calcolano detraendo dal valore del patrimonio relitto i debiti ma aggiungendovi le donazioni elargite dal testatore in vita. La lesione dei diritti dei legittimari non influisce sulla validità del testamento. Al legittimario che non abbia ricevuto nulla o abbia ricevuto meno di quanto per legge gli spetta compete una specifica azione che è l’azione di riduzione. Prima bisogna tenere conto delle eventuali donazioni che a sua volta il legittimario avesse ricevuto dal defunto, egli deve imputarle alla quota di riserva salvo che l’ereditando non lo abbia da ciò espressamente dispensato. L’esercizio dell’azione di riduzione dà luogo a una pronuncia di inefficacia totale o parziale. L’azione spetta al legittimario o ai suoi eredi o ai suoi aventi causa, la rinuncia preventiva all’azione di riduzione è nulla. Il legittimario deve agire per la riduzione delle quote spettanti agli eredi e dei legati. Le doanzioni si riducono cominciando dall’ultima e risalendo via via alle precedenti.
Alla inefficacia della disposizione impugnata con l’azione di riduzione consegue l’obbligazione del beneficiario della disposizione dichiarata inefficace di restituire l’immobile che aveva formato oggetto dell’atto di disposizione e le soluzioni possibili sono: la separazione del bene in natura se possibile, la totale acquisizione del bene all’eredità se il bene non è divisibile e se il donatario o il legatario ha in esso una eccedenza maggiore del quarto della porzione disponibile, solo se l’eccedenza non supera il quarto il donatario o il legatario può ritenere l’immobile compensando in denaro i legittimari. Se l’immobile donato era stato dal donatario ipotecato o gravato da diritti altrui il legittimario lo consegue libero da pesi e se il donatario lo aveva alienato può ottenerne la restituzione dal terzo acquirente.
Il legittimario che sia stato interamente pretermesso dall’ereditando acquista la qualità di erede solo in virtù della sentenza che accoglie la sua domanda di riduzione (che ha effetto retroattivo). Per contro il legittimario non diventa erede se mancano i presupposti della riduzione. Può anche accadere che il defunto lasci al legittimario un legato in sotituzione di legittima: egli può rinunciare al legato e chiedere la legittima.



CAPITOLO CINQUANTESIMO: LA SUCCESSIONE TESTAMENTARIA E LA DONAZIONE

50.1 Il testamento
Il testamento è definito come un atto revocabile con il quale per il tempo in cui avrà cessato di vivere taluno dispone di tutte le proprie sostanze o di parte di esse. Si deve dunque considerare dunque il testamento come atto unilaterale che consiste della sola dichiarazione di volontà del testatore e che è destinato a produrre effetti ma comunque testamento e accettazione restano due atti unilaterali distinti. La capacità di agire per fare testamento è la comune capacità di agire e si tratta di un atto personalissimo che non può essere compiuto mediante un rappresentante.
La revocabilità del testamento in ogni momento è parte della sua essenza, il testatore può revocarlo o modificarlo fino all’ultimo istante della sua vita. È una libertà alla quale neppure l’interessato può rinunciare e ogni clausola che dichiari irrevocabile il testamento è nulla così come sono nulli i patti successori instituti, ossia dei contratti con iquali si dispone della propria successione oppure ci si obbliga a disporre testamento a favore di una determinata persona. Alla revocabilità del testamento si collega anche il divieto di testamento congiuntivo con il quale due o più persone dispongono insieme della propria successione e di testamento reciproco con il quale due o più persone si istituiscono insieme e reciprocamente le une successori delle altre. Il testamento può essere revocato in modo espresso con un apposito atto pubblico o in modo tacito distruggendo o cancellando il testamento oppure formandone uno nuovo il cui contenuto è incompatibile con quello precedentemente formato.
La causa di morte non esprime solo il concetto per cui il testamento è un atto che produce effetti solo dal momento della morte del suo autore, la morte qui attiene alla causa dell’atto.
Con il testamento si dspone di tutte le proprie sostanze o di parte di esse. Rispetto alla donazione c’è però questa sostanziale differenza data dal fatto che la morte è comunque destinata ad aprire la successione mentre il donante può decidere se donare o meno. La sopravvenienza di figli o di altri discendenti comporta revoca del diritto del testamento che è concepito dalla legge come formato dal testatore nella presupposizione di non avere discendenti cui lasciare le proprie sostanze. Il testamento è un atto formale e la forma vuole essere garanzia della effettività della volontà del testatore e deve essere redatto in una delle seguenti forme: testamento olografo cioè scritto di mano del testatore, testamento pubblico che è scritto dal notaio dopo che il testatore gli ha esposto le sue ultime volontà davanti a due testimoni, testamento segreto che è scritto su un qualunque foglio di carta anche da persona diversa del testatore e che il testatore in persona davanti a due testimoni consegna ad un notaio. Il testamento olografo e segreto devono essere pubblicati davanti a un notaio. Il testamento può contenere anche disposizioni non patrimoniali e la legge ammette che un atto possa avere forma di testamento ma non contenere alcuna disposizione patrimoniale, distinguendo così il contenuto tipico del testamento e quello atipico.
Tra vocazione testamentaria e vocazione legale la legge introduce una gerarchia secondo la quale non si fa luogo alla successione legittima se non quando manca in tutto o in parte quella testamentaria.

50.2 L’istituzione di erede ed i legati
Le disposizioni patrimoniali possono essere l’istituzione di erede a titolo universale e se sono più di uno succedono per la quota determinata dal testatore o per quote uguali, oppure può limitarsi a indicare una persona come quella a cui lascia tutti i suoi beni o una frazione aritmetica di essi; uno o più legati, ossia disposizioni a titolo particolare che hanno per oggetto beni determinati. Il legato è di specie quando ha per oggetto la proprietà di una cosa o altro diritto del defunto, è di genere quando ha per oggetto cose determinate solo nel genere e in questo caso il legato è valido a meno che non si trattasse di cosa di genere da prendersi dal suo patrimonio e in tal caso il legato ha effetto solo per la quantità che vi si trova. Il legato può essere posto a carico di un determinato erde, detto onerato, oppure a carico di tutti e allora gli eredi rispondono illimitatamente. Può anche prevedere la costituzione di una fondazione sempre nel rispetto dei diritti dei legittimari.
Si dubita della validità di una disposizione testamentaria solo negativa, ossia della diseredazione di persona e si intende che la diseredazione non può però pregiudicare i diritti dei legittimari.
Le persone dell’erede e del legatario devono essere determinate o determinabili, ogni incertezza al riguardo rende nulla la disposizione. La volontà del testatore non può desumersi da altro se non dal testamento e altre fonti possono essere utilizzate solo se richiamate dal testamento. È nulla invece la disposizione che faccia dipendere l’indicazione dell’erede o del legatario dal mero arbitrio del terzo. Tuttuavia le disposizioni generiche a favore dei poveri non sono nulle e vanno a vantaggio del comune del luogo dell’ultimo domicilio del testatore con l’onere di sestinarle a opere di pubblica assistenza. L’erronea indicazione della persona dell’erede non impedisce efficacia della stessa se dal contesto del testamento o altrimenti risulta in modo certo a chi o a che cosa il testatore intendeva riferirsi.
Alcune persone sono incapaci di ricevere per testamento e cos’ sono il tutore del testatore e il notaio che abbia ricevuto il testamento o le persone che abbiano scritto il testamento segreto. Il principio per cui il beneficiario deve essere determinato dal testamento si manifesta dalle norme sulla disposizione fiduciaria. Può accadere che una disposizione testamentaria designi come erede o come legatario una determinata persona la quale si era impegnata con separato patto concluso con il testatore a ritrasferire i beni ad un’altra persona una volta aperta la successione. Ciò è nullo e non obbliga l’erede o il legatario e il terzo beneficiario del patto fiduciario non ha azione in giudizio. Una particolare ipotesi di disposizione fiduciaria è quella che mira ad eludere una incapacità di ricevere per testamento. Qui la nuillità colpisce la stessa disposizione testamentaria e il codice introduce la presunzione per cui si considerano persone interposte i genitori, il coniuge e i discendenti dell’incapace di ricevere.

50.3 La condizione, il termine, l’onere
L’efficacia della istituzione di erede e quella del legato possono dipendere dal verificarsi di una condizione sia sospensiva sia risolutiva. È condizione sospensiva la condizione che subordina, ad esempio, l’istituzione di erede o il legato alla condizione che l’istituto abbia un figlio o consegua un titolo di studio. L’erede può accettare ma in attesa che l’evento dedotto in condizione si avveri è nominato un amministratore dell’eredità e l’avveramento della condizione produrrà effetto retroattivo. È sottoposta a condizione risolutiva la disposizione che sia destinata a perdere efficacia al verificarsi di un evento futuro ed incerto cioè sotto condizione che l’erede non faccia o non dia qualche cosa per un determinato tempo. Anche l’avverarsi della condizione risolutiva produce effetto retroattivo ma l’erede o il legatario non è tenuto a restitutire i frutti già maturi.
Solo i legati possono essere sottoposti a termine, iniziale o finale. Le condizioni impossibili o illecite e il termine apposto alla istituzione di erede si considerano come non apposti. Si considera generalemente illecita la condizione che limiti in modo eccessivo la libertà altrui. Diverso è il caso della condizione che subordini l’efficacia della disposizione testamentaria al matrimonio con una determinata persona per la quale la condizione illecita rende nulla la stessa disposizione se è rivelatrice di un motivo illecito. In un caso specifico la condizione illecita rende nulla la disposizione ed è il caso della condizione di reciprocità.
Una disposizione accessoria prorpia dei soli atti di liberalità è l’onere che è una prestazione di dare, fare o non fare imposta al beneficiario dell’atto di liberalità. Alla disposizione testamentaria gravata da onere si dà il nome di disposzione modale e il successore designato ad adempierlo si dice onerato.
Nella istituzione di erede l’onere può anche superare il valore del patrimonio ereditario mentre il legatario è tenuto all’adempimento entro il valore della cosa legatagli. Il rapporto fra attribuzione patrimoniale e onere può agire come limite dell’attribuzione patrimoniale oppure può costituire il fine in vista del quale le stessa attribuzione patrimoniale è stata disposta.
L’onere impossibile o illecito si considera come non opposto. La disposizione è nulla se l’onere impossibile o illecito ha costituito il solo motivo determinante della disposizione.
L’onere è una obbligazione personale dell’onerato l’adempimento della quale è sottoposto ai comuni principi sull’adempimento delle obbligazioni. L’inadempimento non dà luogo alla risoluzione della disposizione testamentaria e tuttavia la risoluzione può essere chiesta se l’onere ha costituito il solo motivo determinante della disposizione.

50.4 Le sostituzioni e l’accrescimento
Se la persona istituita o legatario non può o non vuole succedere si applicano le già ricordate norme sulla rappresentazione. In caso di successione testamentaria tuttavia l’applicazione di queste norme può essere prevenuta dal testatore: questi può indicare una o più persone (sostituti) destinate a succedere nell’ipotesi che l’istituto erede o legatario non possa o non voglia accettare. Se questa condizione si avvera il sostituto succede direttamente al testatore.
Se non è prevista la sostituzione né sussistono i presupposti per la rappresentazione può avere luogo l’accrescimento: se più persone sono state istituite eredi congiuntamente e nell’universalità dei beni o per quote uguali, o se è stato legato a più persone lo stesso oggetto, la quota dell’erede o la porzione del legatario che non può o non vuole accettare si devolve agli altri salvo che l’accrescimento non sia stato escluso dal testatore. L’accrescimento opera di diritto, consiste cioè in un fenomeno di automatica espansione della quota originariamente spettante all’erede e non occorre un apposito atto di accettazione. Se l’accrescimento non può avere luogo si devolve agli eredi legittimi.
In conclusione la devoluzione successiva si attua nell’ordine seguente: sostituzione (se prevista dal testatore), rappresentazione (se è possibile), accrescimento (se ne sussistono i presupposti e non è escluso dal testatore) e successione legittima.
Va qui osservato che un fenomeno analogo può verificarsi anche nelle successioni legittime: se uno dei chiamati alla successione rinuncia all’eredità la sua quota si accresce a coloro che avrebbero concorso col rinunziante, salvo il diritto di rappresentazione. Se il rinunciante è solo l’eredità si devolve alla successiva categoria di eredi legittimi.
La sostituzione federcommissaria ha perduto la sua originaria importanza e si è ridotta a questo: gli ascendenti o il coniuge di un interdetto possono istituire erede l’interdetto con l’obbligo di conservare il patrimonio ereditario e di restituirlo alla sua morte alla persona o all’ente che si è preso cura di lui.

50.5 L’invalidità del testamento
L’invalidità del testamento o di sue singole disposizioni può assumere due forme: nullità e annullabilità. Anche qui la nullità deve ritenersi generale forma di invalidità: il testamento è nullo quando sia contrario a norme imperative. Perciò comporta nullità la violazione del divieto di testamento congiuntivo e di testamento reciproco mentre è espressamente comminata la nullità delle disposizioni a favore di persona incapace di ricevere.
Il motivo illecito rende nulla la disposizione se risulta dal testamento ed è il solo che ha determinato il testatore a disporre. Qui c’è l’esigenza che l’illecito risulti dall’atto. Una specifica applicazione della nullità per illiceità del motivo è quella della disposizione con onere illecito che ne costituisca il solo motivo determinante.
I difetti di forma producono nullità solo se rendono incerta l’autenticità della disposizione: in particolare se si tratta di testamento olografo non scritto di pugno dal testatore o mancante della sottoscrizione oppure di testamento segreto mancante di queste sottoscrizioni. L’azione di nullità può essere esercitata da qualunque interessato ed è imprescrittibile. Non può tuttavia essere esercitata nel caso della cosiddetta conferma del testamento ossia da chi conoscendo la causa di nullità ha dopo la morte del testatore confermato la disposizione in modo espresso o tacito. Si ritiene che la norma non si applichi nel caso di testamento falso o di testamento con contenuto illecito. Altro della conferma è la conversione del testamento nullo e una specifica ipotesi è quella del testamento segreto mancante dei suoi requisiti di legge che vale come testamento olografo se ne possiede i requisiti.
Le cause di annullabilità sono due (oltre all’annullabilità per difetti di forma) e cioè annullabilità per incapacità di disporre nel caso del testamento fatto dal minore o dall’incapace naturale, l’annullabilità per vizi della volontà per cui il testamento è annullabile per errore per violenza e per dolo. La rilevanza dell’errore risulta accentuate dalla norma che consente l’annullamento della disposizione testamentaria per errore sul motivo anche di fatto, purchè il motivo risulti dal testamento e sia stato il solo che ha determinato il testatore a disporre. La volontà effettiva prevale sulla dichiarazione nel caso di errore ostativo quando dal testamento o altrimenti risulti in modo non equivoco la volntà del testatore. L’azione di annullamento si prescrive nel termine di cinque anni.

50.6 La donazione e le altre liberalità fra vivi
Il codice civile colloca la donazione, sebbene atto fra vivi, nel libro delle successioni. Entrambi sono atti di liberalità e sono sottoposti a norme per vari aspetti identiche o analoghe. Le donazioni dell’ereditando, se ledono i diritti dei legittmari, sono assoggettabili a riduzione.
La donazione è un contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione. Per la donazione è richiesta, a pena di nullità, la forma solenne dell’atto pubblico. La proposta del donante e l’accettazione del donatario possono risultare da un medesimo atto pubblico o da atti pubblici separati e nel secondo caso il contratto si perfeziona con la notifica del donatario al donante della propria accettazione, e fino a quel momento sia il donante sia il donatario possono revocare la loro dichiarazione. La donazione è un contratto consensuale ed è un contratto con effetto reale mentre una donazione con effetti solo obbligatori è quella con la quale il donante assume verso il donatario un’obbligazione e si tratta, e non può essere altrimenti, di una prestazione di dare.
Lo spirito di liberalità esprime anzitutto l’assenza di costrizione, essa non è esclusa dal fatto che il donante, come nel caso della donazione rimuneratoria, sia animato da riconoscenza o considerazione dei meriti del donatario. Ugualmente non sono donazioni le elargizioni che si fanno in conformità agli usi anche se si tratta di elargizioni fatte in occasione di servizi resi.
Una causa di liberalità può essere presente in atti unilaterali come la remissione del debito o la fideiussione. Le liberalità risultanti da atti diversi dalla donazione vengono solitamente designate con il nome di libertà atipiche.
Ogni atto di liberalità è atto a titolo gratuito, ossia senza corrispettivo, ma non tutti gli atti a titolo gratuito sono atti di liberalità. Un criterio di distinzione è quello che dà rilievo alla natura dell’interesse, patrimoniale o non patrimoniale, che il disponente mira a soddisfare. Per identificare il concetto di liberalità concorrono due elementi: l’assenza di costrizione permette di distinguere l’atto di liberalità dall’adempimento delle obbligazioni naturali e dalle cosiddette liberalità d’uso, la natura non patrimoniale dell’interesse del disponente consente di separare l’atto di liberalità dall’atto gratuito privo di cause di liberalità.
La donazione che ha per oggetto somme di denaro o altre cose mobili di modico valore è valida anche in mancanza dell’atto pubblico, purchè vi sia stata la consegna (donazione manuale). Ma il modico valore della cosa donata si valuta in rapporto alle condizioni economiche del donante.
Identico alle norme sul testamento è il trattamento della donazione dell’incapace naturale, della donazione al tutore, della donazione al concepito o al non ancora concepito da persona vivente, del motivo illecito. È ammesso l’onere e la legge lo sottopone a norme sostanzialmente identiche all’onere apposto al legato, sono permesse le sostituzioni, la nullità della donazione non può essere fatta valere da chi ha dato conferma, espressa o tacita, all’atto.
La donazione può essere revocata dal donante in due casi: per sopravvenienza di figli o discendenti e per ingratitudine del donatario entro un anno dalla conoscenza del fatto. Se il donatario aveva alienato il bene dovrà restituirne il valore mentre i diritti del terzo sono salvi.
Non è ammessa la donazione di beni futuri, il mandato a donare è valido entro limiti molto ristretti mentre è esclusa la donazione dei beni di persona incapace. Il donante è responsabile del proprio adempiemento solo per dolo o per colpa grave. Per evizione che il donatario soffre delle cose donategli il donante è tenuto alla garanzia solo se questa è stata espressamente promessa o se l’evizione dipende da suo dolo. La garanzia per i vizi della cosa donata è dovuta solo se pattuita o se il vizio dipende da dolo del donante. Il donatario non potrà ritenere di avere definitivamente acquisito il diritto donatogli fino a quando non saranno trascorsi almeno dieci anni dalla morte del donante e finchè il donante è in vita il donatatrio è esposto alla revoca della donazione per ingratitudine o per sopravvenienza di figli. Finchè non sono trascorsi dieci anni dalla morte del donante il donatario e i suoi aventi causa rischiano di subire l’azione di riduzione dei legittimari del donante.
 

 

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